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borsellino paolo c olycomdi Aaron Pettinari
“Intendo avvalermi della facoltà di non rispondere”. Per due volte la formula è stata ripetuta ieri mattina, in aula, al processo Borsellino quater in corso a Caltanissetta che vede imputati per strage Salvo Madonia e Vittorio Tutino, mentre rispondono di calunnia i falsi pentiti Scarantino, Andriotta e Pulci.
Sul pretorio sono saliti Domenico Militello e Giacomo Pietro Guttadauro, i due poliziotti indagati nel nuovo filone d'inchiesta aperto dalla Procura nissena sul depistaggio compiuto sulle indagini per la strage di via d'Amelio. Quest'ultimi si occuparono del "picciotto" della Guadagna Vincenzo Scarantino, oggi loro accusatore principale, durante il periodo di detenzione a Pianosa. I pm nisseni Stefano Luciani e Gabriele Paci avevano chiesto lo scorso gennaio di riconvocare i due sottoufficiali in base all'articolo 210, quindi come imputati di reato connesso. In particolare il loro esame era stato chiesto per riferire sui colloqui investigativi avvenuti a Pianosa dal 4 al 16 luglio 1994. Colloqui che furono autorizzati dal pm Ilda Boccassini.
Guttadauro era un poliziotto di fiducia di Arnaldo La Barbera e di lui Scarantino racconta che si era presentato come “l'ispettore Valenti” e che lo chiamava “Giampiero” ed era sempre accanto all'ex questore di Palermo.
Lo scorso giugno, Scarantino, sentito al processo, durante il controesame ha raccontato però che il Giampiero Valenti sentito in aula non era quello che si trovava con lui a Pianosa.
Un sospetto già maturato quando fu sentito Valenti al processo: disse di aver svolto nel 1995 attività di protezione a Scarantino a San Bartolomeo al Mare (Imperia) durante il periodo di detenzione domiciiare, ma di non essersi mai occupato di colloqui investigativi né di sopralluoghi.

Il depistaggio
Sarebbe stato quindi Giacomo Pietro Guttadauro ad aver rivelato in gran segreto la deflagrazione di una Fiat 126, "fatta saltare in aria dalla Polizia a Bellolampo”, poco prima della strage di via D’Amelio, per testare l’esplosivo.
Assieme a Domenico Militello fu inviato a Pianosa, dal 4 al 13 luglio 1994, per occuparsi della sicurezza di Scarantino durante la detenzione. “Una protezione – aveva raccontato Scarantino - perché poteva essere che qualcuno mi faceva male”.
Secondo le accuse del picciotto della Guadagna, però, assieme a La Barbera lo avrebbero costretto anche ad imparare a memoria quei dettagli falsi, poi raccontati ai magistrati.
“Mi hanno prelevato all'aeroporto di Boccadifalco per fare i sopralluoghi e ho esplicitamente detto che non sapevo nulla della strage – ha raccontato ai pm Scaranitno - Poi il dottor La Barbera, Militello e Giampiero mi hanno mostrato le foto dei posti, sicché sono stato in grado di descriverli negli interrogatori fatti ai magistrati”.
Ed è anche su questi elementi che si basa la nuova indagine dopo che lo scorso gennaio è stata archiviata dal Gip nisseno Alessandra Giunta quella sui tre ex poliziotti del pool Falcone e Borsellino Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera indicati dai tre falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura come gli autori delle pressioni e delle violenze nel loro confronti al fine di ottenere dichiarazioni pilotate. Dominus di quella squadra investigativa era stato l'ex questore Arnaldo La Barbera (deceduto nel 2002), affiliato per un periodo ai Servizi segreti con il nome in codice di “Rutilius” e descritto nella richiesta di archiviazione dei pm nisseni come “protagonista assoluto dell’intera attività di depistaggio”.
Nel documento veniva evidenziato, inoltre, che non poteva sottacersi “come l’intera vicenda che ha avuto come epilogo la celebrazione dei primi due processi per la strage di via D’Amelio sia tra le più gravi, se non la più grave in assoluto, della storia giudiziaria di questo Paese. E non può che conseguentemente essere ritenuta grave ed inqualificabile la condotta di quegli investigatori che hanno significativamente contribuito ad allontanare la verità processuale, costruendo un castello di menzogne che ha condotto a risultati che lasciano davvero attoniti”.
Appare quindi evidente, pur non avendo trovato riscontri sufficenti per arrivare ad un processo, che
i tre falsi pentiti, Scarantino, Andriotta e Canura, non possono aver costruito ad arte il depistaggio autonomamente.

Rinvio di udienza
Ieri avrebbe dovuto deporre anche Rosaria Basile, moglie di Vincenzo Scarantino; la donna ha però inviato una comunicazione alla Corte d'Assise di Caltanissetta dicendo di essere impossibilitata a recarsi nel capoluogo nisseno e chiedendo di potere essere sentita in videoconferenza. Preso atto della comunicazione la Corte, anche per ragioni di sicurezza, ha disposto che Rosaria Basile venga ascoltata in videoconferenza nella prossima udienza, il 25 febbraio. Quel giorno deporranno anche i poliziotti Mario Bo e Vincenzo Ricciardi.

La Corte ha anche fissato quattro udienze, il 13, 14, il 27 e il 28 aprile per la requisitoria dei pubblici ministeri; la prossima settimana verranno fissate le date per gli interventi delle altre parti.

Foto © Olycom

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