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di Pietro Orsatti su Terra - 31 maggio 2009
A Paganica, a pochi minuti da Onna, epicentro del terremoto dello scorso 6 aprile, sta prendendo forma un’idea nata quasi per caso. Dopo una telefonata di un camallo genovese, forze diverse si sono unite per mettere insieme libri e raccogliere soldi. Si tratterà anche di un “presidio civile”.



Questa volta il cronista non può evitare di scrivere in prima persona.
Certe storie vanno raccontate bene, anzi vanno raccontate dall’inizio. Poi se le storie sono due e si intrecciano, a distanza di più di vent’anni, e se chi le racconta si trova anche nella condizione di esserne coinvolto in termini personali e non solo come testimone, la cosa diventa abbastanza complicata. I responsabili del “Domenicale” di Terra non me ne vorranno, spero, se per mettere giù questo pezzo mi trovo a scriverne parti in prima persona. E allo stesso tempo, spero, non me ne vorranno i lettori. Non è mia abitudine usare la prima persona, ma a volte è indispensabile.
E a volte capitano una serie di coincidenze e di incroci, di storie e di persone che potremmo definire, nel loro agire insieme, “il frutto della magia della società civile”. Perché quando sono le persone e non le organizzazioni, quando sono le teste, le braccia e i cuori a mettersi insieme, senza diffidenze, di slancio, le cose a volte “magicamente” si incastrano e tutto prende forma e sostanza. È necessario raccontarla bene questa storia per poi spiegare cosa è avvenuto e sta avvenendo. Una mattina di fine aprile.
È una mattina di fine aprile sull’autostrada Avezzano-L’Aquila. Due non più giovani, barbuti, assonnati (e anche panzoni) cronisti  stanno tornando per l’ennesima volta a L’Aquila per fare il proprio lavoro, per raccontare il dopo terremoto. Squilla un telefonino. È un lavoratore portuale genovese, Massimo, un camallo, che uno dei due cronisti conosce da tempo e che chiede al giornalista se sa a chi rivolgersi per dare aiuto (grazie alla propria capacità di lavoro e alle proprie braccia) alle popolazioni terremotate perché c’è un gruppo di portuali che, nonostante la propria volontà di partire fin dalle prime ore dopo il sisma, è stato bloccato dai mille laccioli burocratici tessuti dalla Protezione civile, anche giustamente. «Sento un po’ di gente in giro e ti faccio sapere», chiude la telefonata il giornalista.
Poi, dopo aver parlato con il proprio collega, gli torna in mente una discussione analoga di qualche giorno prima: una persona in contatto con alcuni imprenditori che stava cercando un progetto concreto in cui indirizzare dei fondi, senza farli svanire nel pentolone dei mille conti correnti ecc ecc. Altra telefonata: «Ma tu ci staresti a cercare dei soldi per una biblioteca per bambini a Paganica, una frazione a pochi minuti da Onna?». La risposta è secca: «Sì». È iniziata (o meglio si è sintetizzata) così questa storia, nel tempo fra due gallerie di autostrada.
Oggi è stato individuato un luogo e un partner locale (la polisportiva di Rugby di Paganica), un’amministrazione attenta (la delegazione di Paganica del Comune di L’Aquila), una struttura e un imprenditore che costruiscono biostrutture. E poi i camalli, la redazione di Site.it. e poi Antimafia duemila, EcoTv, Libera Informazione, left-Avvenimenti, Terra, la redazione di “Report”, la casa editrice Socialmente e altri ancora che si stanno unendo giorno dopo giorno. Chi per promuovere l’iniziativa, chi per versare soldi o raccogliere materiali, altri ancora per mettere a disposizione il proprio tempo e anche le proprie braccia. Tutti impegnati secondo le proprie modalità affinché questo piccolo progetto vada in porto. Una biblioteca per bambini, attrezzata, funzionante e soprattutto “non provvisoria” nel territorio di Paganica. E non solo. All’interno della piccola struttura verrà anche posta una “redazione”, un piccolo polo di appoggio informativo per giornalisti e testate indipendenti al fine di monitorare la ricostruzione, e un ciclostile professionale per rendere autonome le comunità locali per quanto riguarda la produzione di informazione nei campi e nelle aree provvisorie durante la ricostruzione. Un presidio di “legalità civile” permanente. Una piccola cosa. Ma oggi, molto. Una serie di coincidenze, di dettagli che si sommano. La magia sta qua. E anche il dolore. Anche se il dolore affonda nel passato, a più di vent’anni fa.
Non è mai troppo tardi. L’ho scritto recentemente ai miei fratelli, l’ho pensato oggi ricordando i miei vent’anni. Quello che siamo è anche quello che siamo stati. C’è un luogo particolare nella mia memoria, un posto che fa da spartiacque fra adolescenza e inizio dell’età adulta. Il posto è un piccolo rifugio alpino sulla cresta che domina Campo imperatore da un lato e dall’altro guarda il Corno grande del Gran Sasso. Il Duca degli Abruzzi, per me e per il mio gruppo di amici, è stato il luogo di “iniziazione”. Eravamo, fra la fine degli anni Settanta e primi anni Ottanta, un piccolo agguerrito e anche politicizzato gruppo di soci “giovani” della sezione romana del Cai (Club alpino italiano). Dopo alcuni anni di frequentazione, ci siamo ritrovati, noi giovinastri un po’ scavezzacollo e chiassosi, a gestirlo. Per più di quindici anni il “gruppo” ha tenuto aperto il rifugio, lo ha “ristrutturato” per ben due volte, ha sudato, sputato sangue, schiacciato vertebre portando sulle spalle, lungo il sentiero che dall’osservatorio astronomico conduceva al piccolo edificio in pietra, viveri, materiali, bombole del gas, acqua potabile. Mi ricordo, se lo ricorda benissimo la mia schiena, quando entrammo per la prima volta dopo che il Duca era stato “abbandonato” per alcuni anni. Grande emozione e anche sconforto.

Che ne è stato del Duca?

E poi un novembre a tirare su tavole da 4 metri lungo il sentiero per rifare il pavimento della cucina. Sotto quel tavolato ci mettemmo un foglio (avvolto nella plastica) con tutte le firme di chi aveva imprecato a portare su il materiale e poi a mano (al Duca la corrente elettrica è arrivata solo un decennio dopo, l’acqua mai) lo aveva montato. Ora quel pavimento è stato sostituito, dopo l’ultima ristrutturazione. Anche il Duca è stato danneggiato alle 3 e 32 del 6 aprile scorso. Come il forno di Paganica dove andavamo a comprare il pane “che dura una settimana”, come tanti luoghi dove siamo diventati “grandi”. Il Duca, la valle dell’Aterno, Paganica, Assergi, Campo Imperatore. Luoghi non solo della memoria, ma anche dei primi amori, di litigi feroci e di alleanze indissolubili, di amicizie e di dolore. Ci sono persone che sono scomparse, altre che sono cambiate, altre ancora si sono “rivelate” nel tempo. Qualcuno, come Luca, quella storia la vive ancora. È il gestore del Franchetti, sull’altro versante del Gran Sasso. Lo ammetto, non ho avuto il coraggio di andare a vedere il Duca. Paura non tanto di vedere i danni, che a quanto pare dopo un primo allarme si sono dimostrati abbastanza contenuti, quanto di ritrovarmi davanti al tempo che è passato, ai tanti sogni che non sono andati in porto. E forse del fiatone che mi avrebbe preso, inevitabilmente, già dall’inizio del sentiero.
Oggi c’è da mettere in piedi, come vent’anni fa, un’altra storia. Quasi negli stessi luoghi. Già la mattina del 6 aprile, scendendo dall’Altipiano delle Rocche per arrivare a Onna e poi a L’Aquila, con lo sguardo cercavo di vedere se c’era ancora quel puntino nero sulla cresta imbiancata di neve. Poi il prato, con le salme stese per il riconoscimento, e le macerie e lo sguardo delle persone e la fretta, la stanchezza e il lavoro. Ho posto il ricordo del Duca in un angolo. Ma il giorno che abbiamo individuato a Paganica il luogo dove posizionare la piccola biblioteca lo sguardo l’ho alzato ancora. E sulla cresta il puntino nero c’era, era lì, visibile, netto.
Certe cose, almeno, non cambiano. Come Luca che andrò a trovare la prossima volta che risalirò a L’Aquila. Lui con il suo lavoro, i miei stessi anni. Scelte radicali, nette. Portate fino in fondo. Un bicchiere di vino e qualche risata su quello che siamo stati e su quello che siamo. E poi ognuno a ricostruire un pezzo di sé, lui davanti alla vertigine di rocce del Corno Piccolo, io a scrivere e a mettere in relazione persone diverse per costruire una piccola biblioteca per bambini. Dove la terra è ancora in moto.

Tratto da: Facebook

VISITA:
biblipaganica.wordpress.com


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