Riflessioni a margine di un "colpo di spugna"
Con un atto di sindacato ispettivo nr. 3 -01023, il Senatore Gasparri, rivolgendosi al Ministro della Giustizia, gli chiede quali iniziative intenda assumere nei confronti del Dott. Nino Di Matteo, per verificare l’eventuale sussistenza di responsabilità disciplinari e, a tutela della Magistratura, della Corte di Cassazione e dei suoi componenti, quali iniziative intenda adottare per verificare la sussistenza di reati derivanti dalle esternazioni contenute nel libro “Il colpo di spugna” scritto dal Dott. Di Matteo insieme a Saverio Lodato.
A sostegno di questa richiesta, il Senatore Gasparri, premette che nel citato libro “si leggono gravi affermazioni e pericolose insinuazioni lesive del prestigio della Suprema Corte di Cassazione insinuando, (sempre riferendosi al Dott. Di Matteo) che il massimo organo giudiziario di questo Paese abbia emesso una sentenza non fondata su ragioni giuridiche, bensì su motivazioni quantomeno di opportunità, se non di correità” o addirittura “insinuando, nemmeno velatamente, che la Corte di Cassazione sia un giudice espressione di uno Stato criminale che, in quanto tale ha paura di processare se stesso”.
Infine, si ritiene che “certe considerazioni, espresse dal Dott. Di Matteo, costituiscono indice inequivocabile della circostanza che, i veementi attacchi alla Suprema Corte, sono per se stessa ammissione degli autori del libro, fondati su loro opinioni e su una lettura orientata dal materiale probatorio”.
A sostegno della richiesta, il Senatore Gasparri si appella alla normativa in tema di “Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati…” che prevede che “il magistrato esercita le funzioni attribuitegli, con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni”.
Viene poi ricordato dal Senatore che, costituisce illecito disciplinare “l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro Magistrato “individuato nel caso specifico nella Suprema Corte, richiedendo al Ministro della Giustizia di “verificare se le riportate affermazioni all’indirizzo della Suprema Corte e dei giudici che hanno composto il collegio, possano essere ricondotte nell’ambito dell’illecito disciplinare in quanto si possa ritenere che rappresentino comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell’ambito dell’ufficio giudiziario ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori".
Alcune frasi, estrapolate dal libro “Il colpo di spugna" di Di Matteo e Lodato, che corredano l’atto di sindacato ispettivo presentato da Gasparri, a sostegno di una velata ma altrettanto esplicita richiesta, di avviare un’azione disciplinare nei confronti del Dott. Di Matteo, rendono in realtà estremamente pericolante l’impalcatura accusatoria costruita dal Senatore Gasparri.
Pericolante, pericolosa ma soprattutto poco convincente.
D’impatto verrebbe quasi la tentazione di replicare al Senatore Gasparri utilizzando quell’originale “modus comunicandi” da lui già adottato, appoggiando su un virtuale tavolino una bottiglia di cognac e una carota come lo stesso Gasparri ebbe a fare, in modo banalmente tragicomico, in sede istituzionale, peraltro altrettanto prestigiosa, quale la Commissione di Vigilanza Rai, offrendoli, con un fare perlomeno provocatorio e inadeguato, al giornalista Sigfrido Ranucci, convocato dalla stessa Commissione per essere audito in merito a alcune puntate della trasmissione Report.
Vorremmo in questo caso offrire carote e cognac al Senatore Gasparri, ma non caschiamo in questa penosa tentazione per rispetto nei confronti dell’uomo e del ruolo, sarebbe irriverente, ma soprattutto perché trasformerebbe in un cabaret di basso profilo un contesto di ben altro genere che invece ci sembra rappresentare, ahinoi, il palcoscenico dalle opache e nebulose atmosfere dove si sta recitando l’ultimo atto della libertà di espressione che ci ricordano le ultime ore di vita di Socrate condannato a morte, raccontate da Platone nel Fedone.
Saverio Lodato e Nino Di Matteo © Paolo Bassani
E allora, è forse più corretto garantire a questa riflessione il giusto profilo, prima di tutto e se mai ce ne fosse bisogno, ricordando chi è il Dott. Di Matteo con alcune parole da lui pronunciate parlando recentemente a
Di Matteo a Genova con 2000 studenti. “Io sono un Uomo dello Stato, ho conosciuto centinaia di persone dello Stato, anche le più umili, che fanno il loro dovere fino all’eroismo. Io vivo a contatto con Uomini dello Stato e vivo scortato da 32 anni".
Credo che a chiunque, venga veramente difficile credere che un Uomo di Stato di tale spessore possa interpretare il ruolo di distruttore dello Stato, di cui è egli stesso fra le massime espressioni, e delle istituzioni e organi che a vario titolo lo rappresentano.
Ma, se, a menti più elevate o intellettuali di ben altro profilo, questa immagine dovesse apparire un po' troppo patetica, se non avesse nemmeno senso ricordare che nei confronti di questo Uomo dello Stato grava ben altra sentenza “anch’essa passata in giudicato” e fortunatamente non attuata, di condanna a morte da parte della Mafia, se tutto ciò non ha alcun senso, allora possiamo semplicemente dire che il Dott. Di Matteo è principalmente un uomo libero.
Ed è con questa consapevolezza di Uomo di Stato ma anche di Uomo libero, che il Dott. Di Matteo, nell’iniziare l’intervista pubblicata nel libro “Il colpo di spugna”, non quale ultimo degli sprovveduti, come sembra che qualcuno lo voglia disegnare, ma ben conscio del suo ruolo, della autorevolezza della Corte di Cassazione e della delicatezza degli argomenti che avrebbe trattato (già ampiamente e in maniera definitiva affrontati nelle varie fasi del processo) premette che “le sentenze, anche quelle della Suprema Corte, si devono rispettare ma, come tutte le sentenze, si possono criticare”.
E, rileggendo il libro e gli stralci, peraltro decontestualizzati (tecnica di comunicazione molto attuale di questi tempi) utilizzati dal senatore Gasparri nel sostenere la sua tesi accusatoria, ci sembra che in fondo il Dott. Di Matteo la sentenza della Corte di Cassazione, pur esprimendo in merito il proprio parere, non abbia invitato alcuno a non rispettarla.
E, quale uomo libero e mai dimenticando di essere un magistrato, un Uomo dello Stato, ha raccolto fatti e testimonianze già di dominio pubblico, ampiamente analizzati e in merito alle quali, lui come giudice e i vari giudici nel corso delle molteplici udienze si erano già espressi.
“Repetita”, niente di nuovo sotto il Sole si potrebbe dire.
Ci troviamo di fronte a una sentenza di terzo grado con un iter processuale relativo alla vicenda della “trattativa Stato-Mafia”, chiuso definitivamente e pertanto senza alcun rischio di andare a interferire sul lavoro dei giudici.
Costituisce, allora, forse illecito raccogliere in un libro fatti già noti, sicuramente per consentire un'analisi da Uomo libero e per uomini liberi, oltre le dinamiche e gli artifici giudiziari?
Forse, ci sarebbe da pensare che possa dare fastidio il fatto che “repetita iuvant”, che ripetere le cose aiuta a ricordare, a far mente locale su aspetti semmai passati nel dimenticatoio dopo anni e anni di indagini, udienze e migliaia di pagine scritte, lette principalmente dagli addetti ai lavori e arrivate alla conoscenza dei cittadini attraverso mediazioni giornalistiche non sempre fedeli e intellettualmente oneste.
In assenza di elementi oggettivi che possano far affermare che sia stata violato da parte del Dott. Di Matteo, con le sue dichiarazioni, quell’atteggiamento di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio, che il suo status di Magistrato gli impone, dobbiamo ritenere che ciò che può urtare la suscettibilità disturbando la sensibilità di qualcuno, è il vedere i fatti di questa vicenda processuale raccolti in un libro e di facile consultazione.
Chi l’ha fatto è un Magistrato, è vero, ma, anch’egli ha il diritto che gli venga riconosciuto, garantito e mai negato, lo status di Uomo libero, la libertà di espressione.
Un diritto, peraltro, recentemente confermato dalla stessa Corte Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) con la sentenza del 20 febbraio 2024 (Danilet c. Romania – ricorso nr. 16915/21).
Con detta sentenza la Corte ha ritenuto che, nei confronti appunto della Signora Danilet, giudice presso un tribunale rumeno, vi sia stata la violazione dell’art.10 (libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e ha stabilito che “un magistrato che esprime la propria opinione sul funzionamento della giustizia, sullo stato di diritto e sulla democrazia (addirittura) utilizzando la propria pagina Facebook, non può subire una sanzione disciplinare (come aveva fatto il CSM rumeno nei confronti della giudice Danilet) perché altrimenti verrebbe leso il suo diritto alla libera espressione”.
Una posizione sicuramente di grande interesse quella della Corte Europea che si viene a esprimere con una sentenza che non potrà non fare giurisprudenza, tracciando una via da seguire, un necessario equilibratore in un sistema che talvolta presenta, come nel caso del giudice Danilet, che non è sicuramente un caso isolato, atteggiamenti fortemente lesivi della libertà di espressione.
E allora, come uomini e donne liberi, ieri come oggi, ci inorgoglisce affermare NOI SIAMO NINO DI MATTEO.
Ieri, in sua difesa per le minacce di morte ricevute dalla Mafia, oggi, a margine di un “colpo di spugna” e in difesa del diritto alla libertà di espressione, suo e di ogni cittadino/a.
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La rubrica di Saverio Lodato
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