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Su Il Foglio l'assurdo invito a scuole e Università affinché non si parli di Stato-mafia

“Esiste un ampio schieramento di intellettuali che ritiene, già o meno in buona fede, che la mafia, o più precisamente le mafie, siano un super potere criminale che tutto decide e tutto dispone”. “E' chiaro che fino a quando nelle scuole si continueranno ad invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo Stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”.
E' con queste affermazioni che il professor Costantino Visconti, docente di diritto penale all'università di Palermo, intervistato da Ermes Antonucci per Il Foglio (dal titolo “No alla fuffa antimafia”), di fatto auspica bavagli e censure contro lo storico giornalista e il sostituto procuratore nazionale antimafia.
Proprio Di Matteo, attraverso le agenzie di stampa, ha voluto replicare a distanza a quelle parole. “Continuando a seguire con attenzione la ormai decennale, campagna denigratoria che il quotidiano 'Il Foglio' conduce nei miei confronti, mi sono oggi imbattuto in una intervista resa ad Ermes Antonucci da Costantino Visconti, professore ordinario presso l'ateneo di Palermo. Nel corpo della intervista il professore Visconti, dopo aver affermato che per sconfiggere la mafia 'bisogna affidarsi allo Stato'", aggiunge: "'E' chiaro che fino a quando nelle scuole si continueranno ad invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo Stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”. Quindi, ha proseguito il magistrato, "all'evidente auspicio del professore, mi sento di rispondere con una precisazione, che spero lo tranquillizzi, e con una preoccupazione. Sono più numerose di prima le scuole e le facoltà universitarie che mi chiedono di confrontarmi con gli studenti sul tema della lotta alla mafia ed io, nei limiti consentitimi dal mio ruolo, accetterò quelle proposte. Resta però - conclude Di Matteo - la preoccupazione, mi auguro condivisa da altri, per il fatto che un docente di un ateneo che è punto di riferimento culturale di migliaia di giovani, possa pretendere di indicare chi può confrontarsi con gli studenti e chi, invece, debba essere messo al bando”.
E' evidente che le parole del professor Visconti superino abbondantemente la critica o la differenza di opinione su argomenti come lo stato dell'arte delle organizzazioni criminali. E quando si invoca la censura o il bavaglio è sempre stucchevole.
Tuttavia, leggendo quell'intervista ci permettiamo anche noi di dissentire con le parole del docente di diritto penale dal momento che evidentemente dimostra di non aver mai ascoltato una conferenza di Di Matteo o Lodato nella sua interezza. Altrimenti saprebbe che nelle loro relazioni o nei loro interventi, si parla della presenza e dell'esistenza della parte sana dello Stato, si parla di mafia e si parla di Stato-mafia nel momento in cui, appunto, la forza delle organizzazioni criminali sta proprio nella capacità di intessere da sempre rapporti con il potere.
Altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile che le mafie esistano ancora oggi dopo oltre centocinquant'anni.
Altrimenti non si spiegherebbe perché ancora oggi fatturano miliardi e miliardi di euro grazie al traffico di stupefacenti (controllato principalmente dalla 'Ndrangheta) e perché si siano sviluppate non solo nell'intero Paese, ma anche nel resto del Mondo.
L'esistenza di un sistema criminale integrato non può essere messa in dubbio dai Visconti di turno.
Perché le inchieste, del passato e del presente, hanno dimostrato e dimostrano che Cosa nostra non fosse sola nell'ideazione e nell'esecuzione di determinati delitti eccellenti e stragi.
Come può essere definito se non uno Stato-mafia uno Stato che ha accettato per anni la presenza in Parlamento di tante figure indegne?
Basta ricordare personaggi come Marcello Dell'Utri (condannato definitivo a sette anni, pena scontata), Antonino D'Alì (condannato definitivo a sei anni sempre per concorso esterno), Nicola Cosentino (condannato definitivo a dieci anni per concorso esterno), o ancora il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (oggi deceduto) che come sancito da una sentenza definitiva pagava la mafia e che ha certamente incontrato un boss come Stefano Bontade.
Come va considerato uno Stato che ha accettato senza colpo ferire che uno degli uomini politici più potenti ed influenti che la storia d'Italia abbia avuto, come il sette volte Presidente del consiglio Giulio Andreotti (anche lui deceduto), abbia incontrato i capimafia di Palermo prima e dopo l'omicidio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, avvenuto il 6 gennaio 1980?
L'elenco è grande e si potrebbe continuare a parlare di tanti altri servi infedeli delle Istituzioni (politici, uomini delle forze dell'ordine, magistrati e così via) hanno avuto rapporti diretti con le mafie e che sono stati anche loro condannati. Secondo Visconti questa pletora di “colletti bianchi” dove vanno inseriti?
Spesso, negli anni più recenti, molti "benpensanti" hanno sostenuto che Giovanni Falcone non avesse mai creduto nell'esistenza di un "terzo livello" e che non avrebbe mai fatto processi come quello sulla trattativa Stato-Mafia, laddove, al di là dell'esito finale, si è ricostruito un pezzo grave e drammatico della storia della nostra Repubblica.
Eppure, leggendo le trascrizioni dell'audizione di Falcone nel novembre 1988 davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia (presidente Chiaramonte), si evince in maniera chiara come proprio il magistrato palermitano avesse individuato già prima del fallito attentato all'Addaura (avvenuto nel 1989), dopo il quale parlò al giornalista Saverio Lodato dell'esistenza di "menti raffinatissime", che vi fosse una relazione chiara e diretta tra Cosa nostra e centri di potere occulto. Collegamenti che dovevano essere approfonditi sul piano investigativo.
Il giudice, ucciso a Capaci nel 1992, ne parla proprio riferendosi alla morte di Mattarella.
Ma evidentemente questo documento è disconosciuto da Visconti.
Sicuramente Cosa nostra per Falcone era "l'organizzazione mafiosa per eccellenza" ma, come diceva già nell'aprile 1986, vi erano anche “realtà estremamente inquietanti e particolarmente complesse, fatte di ibridi connubi fra criminalità organizzata, centri di poteri extraistituzionali e settori devianti dello Stato, che hanno la responsabilità di avere tentato ad un certo punto perfino di condizionare il libero svolgimento della democrazia e di avere ispirato crimini efferati".
Queste sono considerazioni che non possono essere consegnati all'oblio, come magari i Visconti di turno vorrebbero.
Certamente la morte di Falcone e Borsellino ha portato ad una reazione dello Stato ed una parte di esso ha ottenuto risultati importanti (arresti, condanne, sequestri di beni ecc... ecc...) così come importanti risultati sono stati ottenuti nella ricerca della verità su tanti fatti inquietanti (stragi e non solo). Ma negare l'esistenza dell'altra faccia dello Stato, o sarebbe meglio dire dello Stato-mafia, è fatto grave. Proprio perché in ballo c'è il futuro delle giovani generazioni.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani


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La rubrica di Saverio Lodato

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