di Giorgio Bongiovanni
Ha fatto il giro di tutta Italia la notizia dell’arresto a Palermo di Mario Di Ferro, chef e titolare del lussuoso ristorante “Villa Zito”. Il gip ha disposto la misura cautelare per aver fornito ai suoi clienti, di cui molti vip, alcune dosi di cocaina. Tra questi, come noto, c’era anche Gianfranco Miccichè, ex presidente dell’Ars ed ex candidato alla Regione Sicilia. Il senatore di Forza Italia (almeno per ora) non deve rispondere ai magistrati di quelle dosi acquistate da Di Ferro perché non indagato. Ma non pensi certamente di potersi sottrarre dal giudizio dell’opinione pubblica che vede il parlamentare nuovamente incappare in vizi indegni per un uomo delle istituzioni. Già negli anni in cui era al Ministero dell’Economia, infatti, Miccichè finì su tutti i giornali per questioni riguardanti l’uso di certe sostanze. Alla fine l’inchiesta si fermò al solo pusher. “Dicerie”, le aveva definite. “Voci mai confermate”. Dicerie, a suo dire, sarebbero anche quelle che lo riguardano, sempre per fatti di droga, in questi giorni. E che vedrebbero un Miccichè presentarsi a Villa Zito addirittura a bordo di auto blu, quella concessagli per recarsi in Parlamento, lampeggianti e scorta per rifornirsi di cocaina dallo chef. Immagini disdicevoli immortalate anche da alcune telecamere. “Andavo lì per stare bene con gli amici, per rilassarmi, con persone di enorme simpatia. Non per comprare droga”, si è difeso il senatore. Peccato che ci sono prove incontrovertibili a suo carico. Tra queste, nell’ordinanza per Di Ferro e cinque dei suoi dipendenti, ci sono intercettazioni nitide (a proposito, con la riforma Nordio sarebbe stato impossibile sapere questi fatti) e ben 411 contatti tra Micciché e il titolare del locale. Inoltre, stando alle indagini, il forzista comprava fino a “cinque” o anche “dieci dosi” alla volta. E da Di Ferro sarebbe andato almeno 15 volte dal 19 novembre 2022 al 1° aprile scorso.
I due, secondo la procura, erano persino arrivati a parlare in codice tra loro: “Ti mando la pasta al forno”, diceva Di Ferro al senatore. Un modo di interloquire simile a quello delle organizzazioni mafiose, che utilizzano i termini più singolari per evitare di finire nei guai qualora intercettati. Nonostante ciò e nonostante la polemica giustamente montata sullo scandalo, Miccichè, irriducibile berlusconiano e delfino, al tempo, dell’uomo della mafia Marcello Dell’Utri (condannato per concorso esterno, pena scontata), si dice “a posto con la coscienza”. Noi invece diciamo che dovrebbe vergognarsi e poi dimettersi. Miccichè non ha pudore, non conosce il senso dello Stato, né tantomeno l’etica. Figurarsi quella “questione morale” che Enrico Berlinguer ricordava ai parlamentari tutti, di ogni colore. Miccichè deve dimettersi perché ha macchiato, col suo agire, l’istituzione che rappresenta, il Senato. E ha persino tradito la sua premier Giorgia Meloni che solo tre giorni fa ha apertamente dichiarato guerra alle sostanze stupefacenti in occasione della “Giornata contro le droghe”.
Ma oltre allo sfregio, Miccichè deve lasciare il Parlamento perché ricattabile. Chiunque assuma droghe lo diventa, soprattutto se si tratta di una figura politica come la sua. Miccichè deve dimettersi subito perché avrebbe coscientemente contribuito, anche se con l’acquisto di piccole dosi, al finanziamento di Cosa Nostra. L’ex presidente dell’Ars dovrebbe sapere bene che a Palermo la cocaina non circola senza prima essere passata dalle mani delle famiglie di Cosa Nostra o senza che queste ne acconsentano la vendita al dettaglio. E infatti non è un caso che l’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido, sia nata in maniera del tutto imprevista da un'altra, per mafia, dove lo chef Di Ferro è stato intercettato perché avrebbe avuto dei rapporti proprio con "un esponente di spicco di Cosa nostra" e per "concordare un appuntamento riservato". Rifornirsi di cocaina a Palermo, per il cui smercio Cosa Nostra in Europa è seconda solo alla ‘Ndrangheta, significa contribuire, anche se con poco rispetto alle grandi somme a cui è abituata Cosa Nostra, a ingrossare le tasche di un’organizzazione stragista. Con buona pace dei martiri della giustizia caduti per mano di Cosa Nostra, alla quale inflissero duri colpi proprio a partire dal sequestro di enormi carichi di droga (soprattutto eroina) con cui Cosa Nostra riuscì a spadroneggiare indisturbata per decenni. Alcuni di quei martiri erano i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a cui è dedicato l’Aeroporto di Punta Raisi. Un omaggio che il senatore Miccichè non ha mai gradito. "L'aeroporto di Palermo lo intitolerei ad Archimede - diceva nel 2012 - o ad altre figure della scienza, figure positive”. Alla luce di tutto ciò, è oltremodo evidente, per concludere, che il senatore Miccichè debba presentare subito le dimissioni perché non è degno di vestire alcuna carica pubblica.
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