Non è la prima volta che, nella città di Rosario, un giornalista viene minacciato di morte da parte del crimine organizzato. È successo altre volte, ma in questo caso la minaccia è stata molto più aggressiva, più forte e mirata. Il giornalista minacciato è Nelson Castro (in foto), dello staff TN, per il solo fatto di avere realizzato con la sua equipe un servizio giornalistico – sul luogo dei fatti - sull'assassinio dell'impiegato della stazione di servizio, Bruno Bussanich, finito con tre colpi di arma da fuoco pochi giorni fa. Il collega Castro è stato avvertito con un messaggio WhatsApp inviato ad uno dei suoi collaboratori: “Farai la fine di José Luis Cabezas”, riferendosi al fotografo assassinato anni fa dal gruppo mafioso dell'imprenditore Yabrán, dopo che la sua foto era stata pubblicata nella rivista Noticias.
Oggi, diversi anni dopo, in un’altra parte dell’Argentina, la minaccia criminale si ripete, in un contesto diverso, in un altro scenario e con altri protagonisti, ma l'evidenza che la criminalità organizzata - la mafia di Rosario - si considera padrona e signora di una regione del Paese è chiara e molto ben definita. E anche se nelle ultime ore, nell'ambito di una operazione di polizia, è stato arrestato un uomo, presunto responsabile - o almeno partecipe - della minaccia, l'episodio evidenzia il livello di penetrazione del narcoterrorismo a Rosario, che sta vivendo momenti cruciali, dopo quattro omicidi nel giro di pochi giorni, in un clima di terrore e paura generato dalla criminalità lì imperante.
Nulla di ciò che sta succedendo a Rosario ci sorprende più. Già da alcuni mesi, questa città della provincia di Santa Fe, è stata colpita dalla violenza criminale che è letteralmente funzionale al narcotraffico e ai gruppi di potere di stampo mafioso che operano dentro i confini provinciali.
La vicenda del giornalista Castro è stata resa nota da TN televisione: poco dopo che l’equipe di giornalisti ha raggiunto il luogo in cui ha perso la vita l’impiegato sopra menzionato, il collega Sebastián Domenech ha ricevuto tre messaggi da un numero sconosciuto che hanno colpito tutti. Ovviamente, l’obiettivo era quello di interrompere ogni attività giornalistica nella zona; un lavoro giornalistico volto ad affrontare tutto ciò che riguarda la violenza mafiosa che prevale nella città di Rosario.
La prima parte del messaggio consisteva in una minaccia di morte contro Castro: “Digli che se viene a Seguì ed Oroño (accanto ad una foto che ritrae il giornalista durante la diretta di TN, fermo in un angolo della città, ndr.), noi gli spareremo. Chi avvisa non è traditore. Che se ne vada via da Rosario, non lo vogliamo qui”, firmato: “La mafia”.
E poi sono arrivate le intimidazioni: “Che non si avvicini a Francia e Seguí e ad Oroño e Seguí. Fuori da Rosario”. E l'ultima parte del messaggio allude al fotografo assassinato dai compari di Alfredo Yabrán, nel 1997, a Pinamar: “Farà la fine di Cabezas”.
Una buona dose di violenza criminale, in tre messaggi di WhatsApp, si è abbattuto su una squadra televisiva, indirizzati in particolar modo al giornalista capo, cosa che mostra chiaramente come e in che modo la mafia di Rosario opera in questo momento. Non solo provocando un vero bagno di sangue, ma esercitando una brutale pressione ed intimidazione nei confronti del giornalismo, con assoluta noncuranza e con una tale sfacciataggine che colpisce tutti noi, pur trattandosi ormai di un fatto abituale.
A questa minaccia c’è stata una sola risposta da parte di Castro: “Abbiamo appresso l’accaduto arrivando, attraverso il racconto di Sebastián. Abbiamo fatto questo servizio ed ovviamente siamo colpiti, perché chiaramente è una dimostrazione di quello che sta succedendo qui. Stiamo sperimentando quello che vivono gli abitanti di Rosario, vivere, soffrire e patire”.
A Rosario, e nelle cosiddette zone complesse, c’è una massiccia presenza di forze di sicurezza. E c’è, inoltre, tra la popolazione, una paura generalizzata. La città è letteralmente semiparalizzata. C’è poco traffico di autobus e taxi. Le strade sono deserte, le attività commerciali molto ridotte. Le scuole pubbliche sono quasi inesistenti. E parallelamente sono in atto operazioni di polizia per individuare i responsabili degli ultimi crimini.
Rosario soffre, perché la sua gente vive la propria quotidianità vittima di un feroce attacco da parte del potere mafioso radicato in città da tempo, di fronte alla passività (“complicità?”) di un governo provinciale che potremmo dire, quasi senza timore di smentita, che è stato una sorta di promotore di tale caos.
Un caos intriso di sangue, dove l'anarchia criminale cerca ogni istante non solo di conquistare terreno, bensì soprattutto di guadagnare posizioni ancora più in alto, di prevalere e vincere il braccio di ferro contro il governo provinciale, dandogli messaggi della sua forza e potere, sotto forma di minacce al giornalismo.
Un modo di imporsi ideologicamente in un contesto di guerra allo Stato, ma, in concreto, in un contesto in cui il terrore imposto dall’ombra è diretto contro il popolo di Rosario, causando stragi e seminando le sue strade di cadaveri.
All'altro estremo, le forze dell'ordine (o del disordine) sono presenti in una città la cui popolazione è purtroppo vulnerabile, impaurita e sommersa nel più indescrivibile scoraggiamento.
Una popolazione che sta gradualmente prendendo coscienza che il suo futuro non sarà per niente incoraggiante, perché la sfiducia nelle istituzioni del potere non è un fatto isolato, e lascia più sospetti che certezze sulla loro onestà.
È così che si vive la quotidianità a Rosario. Così drammatica e così sconvolgente.
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