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Dita puntate contro Erdogan: salì al potere dopo il sisma del '99 e raccolse 4,6 mld di dollari per progetti e ricostruzioni, dove sono finiti?

Continua a salire il bilancio dei morti del terremoto che il 6 febbraio ha colpito la Turchia. Si calcolano 31.643 vittime e 80.278 feriti. Numeri che continuano a salire. Nel frattempo vigili del fuoco, volontari ed esercito da una settimana esatta lavorano senza sosta, al freddo, per cercare di tirare fuori dalle macerie le persone ancora in vita. Devono prestare la massima attenzione per evitare crolli mentre scavano tra i calcinacci e gli spuntoni. Un movimento di troppo potrebbe costare carissimo per loro e per chi è ancora intrappolato. Sperano che le scosse di assestamento cessino o che siano lievi. La tensione è alle stelle e i soccorritori non possono lasciarsi trasportare dalle emozioni dilanianti che vivono in questi momenti concitati. Non hanno tempo per pensare, ad esempio, al fatto che probabilmente, come in molti nel resto del Paese stanno denunciando, questa tragedia poteva essere, se non evitata, almeno contenuta. In Turchia, infatti, da qualche giorno si sta levando un coro di indignazione diretto al governo e alla classe dirigente. Le domande che girano per la maggiore su giornali, televisioni nei café sono le stesse e rimbalzano di bocca in bocca: perché i soccorsi sono arrivati tardi e completamente alla rinfusa? E soprattutto come hanno fatto interi complessi urbani, stabilimenti e persino alberghi a cadere come birilli, o peggio, a sbriciolarsi su loro stessi così facilmente? Alla prima domanda il presidente Recep Tayyip Erdogan, in visita nella provincia di Hatay (una delle aree più colpite dal sisma) ha ammesso che ci sono stati dei “problemi iniziali”, accennando un timido “mea culpa” dell’esecutivo che però non giustifica la fallace distribuzione degli aiuti (tende, coperte, cibo e acqua). Alla seconda, invece, silenzio di tomba. Eppure Erdogan sa benissimo, come sanno tutti i turchi del resto, che la terra su cui vivono è ad elevatissimo rischio sismico. I turchi hanno vissuto le conseguenze dei terremoti per secoli. Hanno pianto decine di migliaia di morti e ora, tragicamente, ne piangono altre decine (forse addirittura centinaia come sostengono gli esperti).


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La Repubblica di Turchia è stata fondata nel 1923, esattamente cento anni fa. In un secolo il Paese è stato “scosso” da terremoti decine di volte perché è attraversato da due faglie, la anatolica e la africana, a nord e a sud, generate dalla spaccatura della placca arabica che giace nel sud est del Paese. La faglia anatolica interessa inoltre tutta la costa del Paese, rendendo altamente sismiche sia le città del Mar Egeo che del Mar Mediterraneo. Il sisma più forte venne registrato nel 1938, fu stimato in grado 7.8 e fece 32.968 vittime, l’ultimo di elevata portata avvenne nel 1999 (7.6 scala Richter). Morirono 17 mila persone. Al tempo Erdogan aveva lasciato da un anno la carica di sindaco Istanbul (la vecchia Costantinopoli) per fondare poco dopo l’Akp, il Partito per la giustizia e lo sviluppo grazie al quale la formazione di ispirazione islamica gli ha assicurato un trampolino di lancio per la poltrona da “sultano” su cui ancora siede. Ma a spingere Erdogan alla vittoria delle elezioni nel 2003 con l’Akp fu anche la scarsa risposta del governo, guidato dal primo ministro Bulent Ecevit, al terremoto di İzmit del 1999. Il giovane ed enigmatico Tayyip promise efficienza per curare le ferite del Paese colpito dal disastro e poi dal tifo. Una volta al potere Erdogan portò all'introduzione di una “tassa sui terremoti” per fornire sostegno economico e finanziare la ricostruzione. Secondo gli esperti, il governo raccolse un totale di 88 miliardi di lire turche (circa 4,6 miliardi di dollari) che avrebbero dovuto essere stati spesi per la prevenzione dei disastri e per imparare a gestire meglio le emergenze. Oggi la popolazione terremotata si chiede dove siano finiti tutti quei soldi. Ad ogni modo, il regno ventennale del fondatore dell’Akp è stato contrassegnato, oltre che dall’assottigliamento delle libertà civili o l’arresto arbitrario di giornalisti e oppositori politici, da speculazione edilizia, malversazione, complicità con affaristi e lobbisti senza scrupolo. Cioè tutti quegli illeciti che rimandano alla logica clientelare mafiosa.


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Cavalcando le problematiche infrastrutturali e le carenze abitative, nonché la mannaia del terremoto del 1999, con il suo governo ci fu un boom edilizio a livello nazionale in cui si prometteva una trasformazione economica e sociale nel processo. Negli anni immediatamente successivi all’ elezione di Erdogan, i permessi governativi per la costruzione di alloggi sono triplicati. Sono spuntati come funghi grattacieli e complessi residenziali, sono stati costruiti ponti dall’immensa Anatolia fino alle città di confine come Adana, Antiochia (le più colpite dal sisma del 6 febbraio). Dai primi anni 2000 la Turchia cominciò a fare affari con la chiunque. Dai taleban, ai curdi, ai “paperoni” del golfo, ai greci, fino agli israeliani. Una crescita economica seconda soltanto a quella di Pechino. Erdogan ha fatto guadagnare una cloaca di avidi costruttori e affaristi dell’ultim’ora. Contemporaneamente ha fatto realizzare quello che il sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino fece realizzare negli anni ’50 e ’60 nel capoluogo siciliano con il boom edilizio in odor di mafia passato alla storia come “sacco di Palermo”. Deburocratizzazione, decreti ad hoc e aggiramento di normative hanno probabilmente consentito la costruzione di migliaia e miglia di edifici con materiali scadenti o non a norma in aree dove era fortemente sconsigliato edificare. Oggi, guardando le fotografie drammatiche delle zone colpite dal sisma, si nota chiaramente l’effetto di una maxi speculazione. I palazzi costruiti a norma sono rimasti in piedi, gli altri sono diventati cumuli di polvere e calcinacci sotto i quali è rimasta schiacciata la gente. Il “sultano” ha costruito gran parte del proprio consenso su questa scacchiera infinita di palazzi senza regole e sui condoni che ne sono seguiti. Il crollo del palazzone che a Malatya si è spaccato in due trascinandosi decine di vite è l’emblema del fallimento della politica edilizia del governo turco.


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L’edificio era stato costruito nel 2019 con tanto di marchetta promotrice della società: “Realizzato nel rispetto delle ultime normative antisismiche. Qualità di prima classe”, recitava la pubblicità. Lo stesso è successo ad Antiochia, nella “città giardino” - così l’avevano chiamata i costruttori: il Güçlü Bahçe City, un parco edilizio realizzato nel 2019 in cui sono crollati due blocchi su cinque, come riporta La Repubblica. Eppure nel 2012 venne promulgata una legge che impone criteri antisismici severissimi. E nel 2018 il governo diede l’ennesima stretta sulle regole antisismiche introducendo standard più rigidi. Ancora non è dato sapere con quali materiali sono stati costruiti i palazzi crollati di Malatya e Antiochia, e decine di altre migliaia di edifici venuti giù come birilli, ma queste storie si moltiplicano sui tabloid indipendenti turchi perché la rabbia contro Erdogan sale di giorno in giorno per il mancato rispetto delle regole, per l’assenza di controlli e per i molti dubbi sui soldi effettivamente spesi in sicurezza dal governo, che sulla liberalizzazione edilizia ha costruito gran parte del boom economico della Turchia prima della crisi economica.
La stessa Banca Mondiale aveva avvertito Ankara nel 2021 sull’urgenza di una riqualificazione edilizia, smontando peraltro l’idea per cui solo nel 2018 sono effettivamente entrati in vigore standard rigidi di sicurezza antisismica. “Gli edifici costruiti prima del 2000, quando sono stati introdotti i moderni codici di costruzione per la resistenza sismica, sono considerati a maggior rischio di gravi danni in caso di terremoto”, si legge in un report dell’Istituto che finanziò il Paese con 265 milioni di dollari. “Decine di migliaia di edifici pubblici, costruiti prima del 2000, che forniscono servizi sanitari, educativi e pubblici essenziali ai cittadini, hanno urgente bisogno di un rafforzamento strutturale o di una ricostruzione”. Ma il governo ha fatto orecchie da mercante preferendo saziare gli appetiti della borghesia turca e di potentati religiosi, quelli che da vent’anni assicurano la poltrona all’uomo forte di Ankara. “Il regime di un solo uomo che ha creato è schiacciato sotto le macerie”, ha commentato il giornalista turco Can Dundar, in esilio in Germania, riferendosi al potentato del presidente turco, al quale ha dedicato anche una graphic novel dal titolo 'Il nuovo sultano’.


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Spinto dall'avidità di potere, ha preso in mano tutti i fili, ha preso il controllo di ogni istituzione. Assolutamente intollerante a qualsiasi obiezione, viene lasciato circondato da yes men”, ha aggiunto. Il risultato, ha spiegato, è che “la Turchia è in preda alla peggiore catastrofe della sua storia; centinaia di migliaia stanno urlando sotto le macerie; milioni stanno cercando di aiutare; ma con tutto il potere nelle mani di un solo uomo e quell'unico uomo che brilla per la sua assenza, come sempre accade in ogni crisi, lo Stato è paralizzato". Secondo il giornalista, inoltre, Erdogan era stato avvertito del pericolo terremoto ma non avrebbe tentato alcuna prevenzione. E non è l’unico a pensarla così.
Intanto Erdogan ha indetto per tre mesi lo “stato generale di emergenza” (SoE) per le dieci province colpite dal sisma. Una mossa che secondo l’opposizione, soprattutto secondo il partito filo-curdo democratico dei popoli (Hdp), è stata pensata ad hoc per consentirgli di rinviare il voto e nel mentre far passare la tempesta di contestazioni sempre più forte contro il suo esecutivo. L’altra mossa che ha realizzato con questo fine sono stati gli arresti sommari e senza processo di 31 presunti responsabili della costruzione di edifici apparentemente costruiti aggirando i criteri antisismici. Ad ogni modo, voto posticipato o meno, secondo Can Dundar, l’era di Erdogan è ormai tramontata. “Salito al potere con un terremoto, se ne andrà con un terremoto”.
(Prima pubblicazione: 14 Febbraio 2023)

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