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Kiboko Bahati: “I veri colpevoli sono il governo e l’esercito congolese”

A pochi giorni dalla prossima udienza che si terrà il 23 novembre, l’ultima prima della sentenza, la posizione dei presunti killer che avrebbero sparato e ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, si è ulteriormente aggravata .

La moglie di Kiboko Bahati, uno dei sei imputati, ha infatti accusato suo marito di essere un criminale dedito ai sequestri e di aver preso parte all’agguato in quanto fiancheggiatore di Marc Prince Nshimirimana, colui che avrebbe sparato sia al diplomatico italiano che al carabiniere.

Bahati ha sempre negato le accuse che gli sono state rivolte e insieme al suo legale, Joseph Azati, si è difeso sostenendo che i veri responsabili dell’attacco fossero il governo e l’esercito congolese, inoltre, si è difeso sostenendo che le accuse rivolte da sua moglie sarebbero false e da attribuirsi alla relazione che la donna avrebbe con il procuratore che rappresenta l’accusa, il tenente colonnello Joseph Malikidogo, costruite a tavolino per incastrare il marito insieme agli altri cinque imputati.

Oltre alle dichiarazioni rese da Bahati, anche quelle rilasciate dal 18enne Amidu Sembinja Babu che, balbettando in swahili, ha difatti sostenuto la sua innocenza e ritrattato la sua confessione precedente, utilizzata per accusare Nshimirimana di essere colui che aveva ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio. Babu, ha infatti sostenuto di essere stato obbligato sotto tortura a firmare le dichiarazioni oggetto delle precedenti accuse e, a sostegno delle sue ultime dichiarazioni Babu, ha dichiarato: “Non so né leggere né scrivere, non so cosa avevano scritto, ho firmato con la mia impronta”.

Durante le udienze precedenti, anche gli altri imputati, Issa Seba Nyani e Bahati Antoine Kiboko, anche loro accusati di omicidio, associazione a delinquere, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra, hanno sempre sostenuto che le confessioni rese inizialmente, in realtà, erano state estorte con la tortura.

I nostri clienti sono innocenti - ha ribadito durante l’udienza l’avvocato Eddy Kapepula Kanya -, e non è mai stata trovata l’arma del delitto”. In risposta alle parole pronunciate dal legale Kanya, il procuratore militare, con ironia, ha risposto: “Cosa vuole? L'ambasciatore non è morto di malattia, ma colpito da proiettili di arma da fuoco”.

Nonostante le perplessità, i fatti e le parole pronunciate nel tribunale militare di La Gombe, speriamo si possano chiarire definitivamente le dinamiche che hanno determinato la morte dell’ambasciatore italiano Attanasio, del carabiniere Iacovacci e del loro autista Milambo, sui presunti mandanti e su un sequestro tutt’altro che improvvisato.

Fonte: La Repubblica

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