L’indagine de Il Fatto Quotidiano solleva l’ipotesi del complotto. Militari e agenti dei Servizi congolesi sarebbero coinvolti
“Verità e giustizia”. Sono queste le due richieste che Salvatore Attanasio, padre dell’ambasciatore italiano della Repubblica Democratica del Congo, ucciso in un agguato a Goma il 22 febbraio 2021, rivolge per suo figlio alla politica, alla società civile e alla magistratura. Le conclusioni della Procura romana non convincono Attanasio che ritiene che l’omicidio di suo figlio non è dovuto a un tentativo di sequestro di persona finito male. L’omicidio dell’ambasciatore, morto insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista Mustapha Milambo, membro dello staff del World Food Programme, sarebbe stato pianificato da esercito e servizi congolesi, come sostiene un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano.
Luca Attanasio, ricorda il padre Salvatore, ha lasciato la moglie e le tre figlie piccole. Salvatore, intervistato da Adnkronos, si è chiesto: “come si fa a spiegare loro quel che è successo? La verità va trovata anche e soprattutto per queste tre creature”. Forte rimane infatti il dolore della famiglia per la perdita di un membro speciale come Luca che “è stato un figlio e un padre straordinario, credeva in un mondo migliore e lavorava ogni giorno per cambiarlo in meglio” - ha detto il padre - tanto da aver fondato l’associazione “Mamma Sofia” secondo il motto “ridisegnamo il mondo”. Il diplomatico “ci credeva fermamente, era un sognatore”, ha continuato il nonno delle bimbe, “la sua forza era credere nei sogni che aveva e tentare di realizzarli”.
Secondo le indagini dei pm di Roma, concluse il 9 febbraio di quest’anno, si è trattato di un tentativo di sequestro finito male. Gli imputati al processo sono Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, entrambi dipendenti del Programma alimentare mondiale (Pam) dell’Onu. Sono accusati di omicidio colposo e omesse cautele. Infatti i due dipendenti ONU avrebbero, “omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia […] ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Pam che percorreva la strada Rn2 sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare” ha scritto la Procura. Intanto i legali del World Food Programme vorrebbero fare appello all'immunità per i due diplomatici ONU imputati. Dovrebbero poi essere completate le indagini nel Paese Africano da parte dei carabinieri del Ros, fermi a causa di “mancanza di protezione e permessi”, ha detto Salvatore, nello svolgimento delle loro funzioni “in un territorio altamente pericoloso”. Il territorio di cui parla è la regione Kivu Nord, una zona piena di risorse minerarie controllate da gruppi armati locali, dove sfruttamento e violenza vanno a braccetto.
Ma per il padre di Attanasio qualcosa non torna, “sin da subito abbiamo capito che la storia del rapimento finito male era una messinscena […] ci sono troppe incongruenze”. Incongruenze come il check point incustodito situato a 100 metri dal luogo dell’omicidio e l’assassinio di solamente tre membri del gruppo composto da ben sette persone.
“Senza verità non c'è giustizia, pretendiamo che le nostre autorità completino il loro lavoro” ha detto ancora Salvatore, “siamo pronti a batterci fino all'ultimo dei nostri giorni per arrivare alla verità”, e lodando l’operato del ministero degli esteri ha affermato “sappiamo che la Farnesina è al nostro fianco”.
Luca è stato addirittura insignito da Mattarella, “dell'onorificenza di Gran Croce d'Onore dell'Ordine della Stella d'Italia”. E in quell’occasione il Presidente della Repubblica ha elogiato il defunto ambasciatore quale “esempio di come deve essere la diplomazia in Italia e nel mondo”, sulla cui morte però il padre continua a chiedere allo Stato italiano “verità e giustizia”. L’Europa sarebbe rimasta invece “muta e totalmente assente”, nonostante “le interpellanze di europarlamenti sulla vicenda di Luca, inviate al Parlamento europeo”.
Ma a dare man forte alle intuizioni della famiglia Attanasio arriva un’inchiesta de il Fatto Quotidiano. Il tentativo di sequestro finito male potrebbe invece essere un complotto di ufficiali di alto rango delle Forze Armate congolesi (Fardc). I testimoni sentiti dal Fatto, tutti legati alle indagini sul posto, hanno parlato di membri dell’intelligence, poliziotti e civili coinvolti nell’omicidio di Luca.
La rivelazione di questi nuovi testimoni, uno dei quali già udito dalla Procura di Roma che si sta occupando del caso, potrebbero far riaprire le indagini. La fonte principale ha asserito che il colonnello Jean Claude Rusimbi, sarebbe l’ideatore dell’omicidio. E il nome del colonnello viene fuori anche da altre testimonianze. Un rapporto ONU del 2020 lo definisce come persona di contatto fra le forze armate della Repubblica Democratica del Congo e le forze armate del Rwanda. Infatti militari congolesi e rwandesi, secondo i testimoni, avrebbero fatto parte del commando colpevole dell’assassinio di Attanasio. Per tale motivo a Rusimbi è stato chiesto di presentarsi davanti ai Procuratori locali, ma con l’intervento della Commissione d’inchiesta inviata da Kinshasa, la capitale congolese, i militari dell’esercito indagati sono tornati in libertà senza l’obbligo di testimoniare.
Sarebbe stato proprio il colonnello Ndaka, capo della Procura di Goma e uno dei capi della Commissione, a insabbiare l’indagine, sempre secondo le fonti. Jacques Mambo e Faustin Kanyatsi erano tra i rilasciati. Il primo, militare dell’intelligence, è sospettato di aver fatto sparire la valigetta di Attanasio e i cellulari dei sequestrati, mentre il secondo, agente dell’intelligence locale, ha affermato di non esser stato al corrente della presenza del commando nell’area, durata ben tre giorni, di cui però tutto il villaggio era a conoscenza.
Altra anomalia, che fa supporre il complotto pianificato invece del tentato sequestro, è il fatto che poco prima dell’attentato era passato sulla stessa strada un convoglio con europei a bordo che però non era stato né fermato né minacciato.
Un altro sospettato è il Tenente Colonnello Museveni, indicato dal testimone chiave quale persona presente all’agguato e quale comandante responsabile dell’abbandono del check point con compiti di sorveglianza, da parte dei militari delle Fardc. Poi ci sarebbero anche un agente dei servizi segreti locali e un sacerdote, a casa del quale Rocco Leone si sarebbe nascosto durante l’esecuzione dell’ambasciatore italiano, del carabiniere e dell’autista.
Ultimo sospettato sarebbe il congolese Nsenga Sehugo Masengo, commissario di polizia, il quale avrebbe prima minacciato uno dei testimoni, che doveva parlare con i corrispondenti del Fatto, e poi avrebbe improvvisamente arrestato 4 persone coinvolte, a suo dire, nell’attentato.
La testata giornalistica ha deciso mantenere sotto anonimato i testimoni per preservarne la sicurezza e l’incolumità da eventuali ritorsioni. L’inchiesta fa luce sul coinvolgimento dell’esercito congolese, ma anche forse sul coinvolgimento dell’apparato statale del Paese africano. Questo sarebbe probabilmente il motivo per cui Kinshasa ha ripetutamente ostacolato le indagini.
Speriamo che almeno la magistratura italiana riesca a fare completa chiarezza su un omicidio che sembra avere moventi ben più pesanti del solo sequestro a scopo di estorsione come precedentemente ipotizzato.
Foto © Imagoeconomica
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