Il 9 febbraio il portavoce del Dipartimento di Giustizia Marc Raimondi ha confermato che gli Stati Uniti faranno appello contro la decisione del tribunale britannico. Quest’ultimo infatti lo scorso 4 gennaio aveva deciso di non estradare il giornalista ed editore Julian Assange. Il termine per presentare il ricorso era fissato al 12 febbraio. Nonostante siano passati oltre 10 anni da quando Assange è stato privato della sua libertà, neanche la nuova amministrazione del presidente Joe Biden rinuncia a perseguitare quell’uomo, colpevole di aver pubblicato la verità su crimini e abusi che ci riguardano in prima persona, sia moralmente che economicamente, in quanto commessi dai nostri governi.
Il processo-farsa continua
Nel nuovo processo, ormai interminabile, l’accusa dell’avvocato Eric Lewis cercherà principalmente di smuovere il giudice Vanessa Baraitser sull’unico punto che, il 4 gennaio, è servito a fermare momentaneamente l’estradizione: l’alto rischio di suicidio a cui è esposto Julian Assange a causa delle sue condizioni di salute e delle pessime condizioni carcerarie statunitensi. L’accusa ripeterà ciò che abbiamo già udito a Settembre quando il dr. Nigel Blackwood, testimone dell’accusa, definì Assange - presente in aula, pallido e con lo sguardo perso - “molto resiliente e pieno di risorse” e che le condizioni carcerarie negli Usa (in particolare le famigerate “misure amministrative speciali” a cui sarebbe sottoposto il giornalista) non sono poi la fine del mondo. Queste palesi menzogne erano già state ampiamente smentite da ONG e diagnosi di numerosi medici che hanno visitato Assange ed hanno testimoniato in sua difesa al processo.
L’inaspettata decisione di non estradare Assange era avvenuta soprattutto grazie alla decisiva intercessione del relatore delle Nazioni Unite sulla tortura Niels Melzer che, pochi giorni prima del 4 gennaio, aveva ribadito che Assange non doveva essere estradato perché negli Stati Uniti avrebbe subìto trattamenti equivalenti a tortura. Per quanto riguarda invece le assurde accuse di “spionaggio”, la corte non le ha mai respinte ma, anzi, si è pronunciata favorevolmente. E’ necessario ricordare che lo “spionaggio” non è contemplato dal diritto internazionale ma è, al contrario, un fatto strettamente relativo allo Stato dunque un’accusa totalmente politica: il diritto internazionale vieta esplicitamente l’estradizione di una persona in un altro paese per motivi politici.
La prigionia senza fine di Assange: i 175 anni di carcere
Nel frattempo Assange continua ad essere detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh dove resterà nei prossimi mesi, o forse anni, in attesa che il ricorso dell’accusa venga respinto o accettato (in questo caso verrebbe estradato negli Stati Uniti). È chiaramente una contraddizione inaccettabile quella che vede, da una parte, riconosciuto in Assange un alto rischio di suicidio e gravi problemi di salute e, dall’altra, la sua ininterrotta detenzione in isolamento in un carcere di massima sicurezza, senza che gli sia concessa la possibilità di vedere regolarmente la propria famiglia o i propri avvocati.
I 175 anni di carcere a cui sarebbe sottoposto il giornalista Julian Assange, in caso di estradizione negli Stati Uniti, non sono un probabile futuro ma un concretissimo presente. Le condizioni nel carcere di massima sicurezza a Belmarsh - in cui è attualmente detenuto Assange - non sono poi così lontane da quelle che subirebbe nel tristemente famoso ADX Florence, il maggior carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti, creato per ospitare i peggiori criminali in circolazione. La differenza che passa tra l’attuale prigionia in isolamento (in attesa di un verdetto finale) e l’eventuale futura prigionia in isolamento (a seguito di quel verdetto finale) è davvero sottile.
Foto © Cancillería Ecuador is licensed under CC BY-SA 2.0
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