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Era ancora in corso il processo Borsellino ter quando per la prima volta Salvatore Cancemi (deceduto nel 2011), collaboratore di giustizia già appartenuto alla commissione provinciale di Cosa nostra, affermò che nel giugno '92, all'interno di quei 57 giorni che separarono le stragi di Capaci e via d'Amelio, Totò Riina di fronte agli altri membri della commissione si assumeva la responsabilità e la paternità di uccidere subito il giudice Paolo Borsellino, citando anche Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri come soggetti da "appoggiare ora e in futuro", per una strage che "sarebbe stato alla lunga un bene per tutta Cosa nostra".
Oggi quelle parole tornano alla ribalta nel momento in cui un altro collaboratore di giustizia, Giovanni Brusca, sentito dai magistrati di Firenze nell'ambito dell'inchiesta che vede l'ex Premier e l'ex senatore (già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) indagati come possibili mandanti esterni delle stragi del 1993.
A riportare la notizia, oggi, è Il Fatto Quotidiano che ha citato uno stralcio di verbale depositato il 14 dicembre davanti al Tribunale del Riesame di Firenze dai pm per difendere i sequestri effettuati a ottobre nelle case dei fratelli di Giuseppe Graviano, non indagati.
Cosa ha detto Brusca ai magistrati? “Quello che ha dichiarato Salvatore Cancemi in ordine alla finalità delle stragi di portare in ‘sella’ Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri è la verità”.
Poi l'ex boss di San Giuseppe Jato ha anche aggiunto: "Al contempo credo che abbia fuso due interlocuzioni che invece erano parallele: la trattativa con i Carabinieri e i rapporti con Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Per me ora conoscendo il modo di ragionare di Salvatore Riina, e tenuto conto delle varie risultanze processuali di cui sono venuto a conoscenza nel tempo, è molto chiaro che vi sono state contemporaneamente queste due interlocuzioni”.
Tanto Busca quanto Cancemi erano membri della Cupola di Cosa nostra. Ed entrambi erano a conoscenza di segmenti importanti rispetto a stragi e trattative che Riina stava portando avanti in quella calda estate.
Diversi anni dopo l'inizio della sua collaborazione, il 23 aprile 1998, ai pm di Caltanissetta, Firenze e della Dna, raccontò che Riina nel 1992 gli disse “che aveva nelle mani” Berlusconi e Dell’Utri e che le stragi erano state fatte da Riina per un fine politico. 
Va ricordato che le dichiarazioni di Cancemi sono state già vagliate dai giudici che hanno archiviato nei decenni scorsi le posizioni, tanto a Caltanissetta quanto a Firenze, di Dell’Utri e Berlusconi. 
Infatti nel 2002 il Gip Giovanbattista Tona scrisse che Cancemi su Berlusconi e Dell’Utri “non ha spiegato nulla del tipo di accordo che con loro sarebbe intervenuto e di quale poteva essere l’interesse di costoro alle stragi per cui si procede”.


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L'ex Premier, Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


Sempre in quel documento si faceva riferimento a Brusca evidenziando che "le sue propalazioni in ordine al suo coinvolgimento e alle sue conoscenze circa i contatti politici intrattenuti dall’organizzazione negli anni 1991-1994 sono apparse particolarmente reticenti”. Dunque, come ha evidenziato il collega Marco Lillo, per il gip Tona, quel Brusca di allora “non vale a dare netta smentita alle dichiarazioni di Cancemi, per altro verso non consente di dare ad esse alcun riscontro né di superare la loro genericità”.
Oggi, a trent'anni di distanza dalle stragi, si torna giustamente ad indagare alla luce delle dichiarazioni in carcere del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano a cui si sono aggiunte le stesse dichiarazioni del capomafia al processo 'Ndrangheta stragista.

L'intervista a Cancemi
Di quegli “accordi” lo stesso Cancemi ci aveva parlato anni fa in diversi incontri durante i quali avevamo registrato le sue dichiarazioni (acquisite agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia, ndr). Parole che confluirono nel libro: "Riina mi fece i nomi di…" (ed. Massari), nel quale lo stesso ex boss di Porta Nuova affrontava i temi più delicati della sua collaborazione parlando della mancata cattura di Bernardo Provenzano fino ad arrivare al ruolo di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.

“Riina è stato preso per la manina per fare le stragi”
L'ex boss ci aveva spiegato di essere stato a conoscenza che “molti uomini di Cosa Nostra, soprattutto i grandi capi storici, Saro Riccobono, Stefano Bontade, Salvatore Inzerillo, e persino Riina e Provenzano hanno avuto rapporti confidenziali con i carabinieri e la polizia o più in generale con referenti istituzionali esterni a Cosa Nostra”. A quel punto gli avevamo domandato brutalmente se riteneva che Riina fosse stato tradito. Di scatto ci aveva risposto affermativamente, poi però si era fatto pensieroso e aveva plasmato leggermente la sua affermazione. “Non lo so con certezza – ci aveva risposto dopo qualche attimo di silenzio – ma penso che qualcosa c'è stata... non lo escludo e nemmeno lo confermo...”. Al contempo avevamo analizzato l'assurdità di voler pensare che Cosa Nostra fosse stata “sola” a commettere le stragi. “E' ovvio che non lo è – aveva replicato tutto d'un fiato Cancemi – agisce a volte su richieste esterne quando questo, in qualche modo, le convenga”. Dopo aver ascoltato le sue parole attentamente ci eravamo soffermati sul capitolo della strage di via d'Amelio, per arrivare a quelle “entità esterne” dietro Cosa Nostra di cui si parla nelle sentenze della strage del 19 luglio '92. “Vale lo stesso discorso per tutte le stragi - ci aveva risposto amaramente il collaboratore - Riina è stato ‘preso per la manina’ in questa strategia perché, va bene che era pazzo, ma non così tanto. Se voleva mandare un messaggio bastava che mettesse una bomba al mercato della Vucciria o al Capo a Palermo e faceva centinaia di morti. Invece, con quegli obbiettivi così precisi gli interessava colpire determinate persone”. “Per me è stato guidato dall'esterno - ci aveva confermato Cancemi - a lui interessava condurre i suoi affari tranquillamente e per farlo aveva bisogno di convivere pacificamente con lo Stato; avrà dato qualcosa in cambio...”.


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L'ex senatore, Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica


Cancemi e il segreto delle stragi
Del resto che Cancemi sapesse diversi segreti delle stragi è un dato pressoché certo se si pensa alle parole dette da Totò Riina in carcere, mentre parlava durante l'ora d'aria con Alberto Lorusso (“Totò Cancemi dice che dobbiamo inventare che la morte di Falcone .... che ci devi inventare, gli ho detto? Lui ha detto ... inc ... gli ho detto: se lo sanno la cosa è finita”).
E' evidente che coloro che non devono conoscere il “fuori scena” della strage di Capaci non devono sapere nemmeno quello che c’è stato dietro la strage di via D’Amelio. Che a tutti gli effetti rappresenta la chiave di volta, insieme agli eccidi del 1993, per comprendere la storia di patti e ricatti che hanno insanguinato il nostro Paese.
Anche per questo la Procura di Firenze vuole andare fino in fondo senza remore. E per questo motivo nei mesi scorsi ci sono state perquisizioni e sequestri di documenti tra i familiari dei fratelli Graviano (sul punto gli avvocati hanno annunciato ricorso in Cassazione, ndr). Secondo i giudizi del Riesame (relatore Grazia Aloisio, presidente Elisabetta Improta) il decreto di perquisizione dei pm è “sorretto da idonea motivazione (…) in ordine al fumus”. Sul punto i giudici scrivono: “Invero dalle investigazioni effettuate dalla Dia (…) è emersa la necessità di riscontrare le dichiarazioni rese da Giuseppe Graviano in ordine alla partecipazione finanziaria di Quartararo Filippo, nonno del Graviano e di altri esponenti della mafia palermitana, alle attività economiche di Silvio Berlusconi, che sarebbe stata sancita da una scrittura privata in disponibilità di soggetti di cui il Graviano non ha fornito le generalità, ma riconducibili al suo ambito familiare. Tali rapporti costituirebbero antefatto rispetto alla strategia che ha portato all’esecuzione delle stragi del biennio 1993-1994 - delitto per il quale il Graviano è stato condannato all’ergastolo - come ipotizzabile anche alla luce della ulteriore documentazione prodotta dalla Procura della Repubblica (dichiarazioni pentiti e sentenze della Suprema Corte)”.

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