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Dall'appartamento di Milano 3 al nascondiglio nella casa di Palermo

Febbraio 2020. Davanti alla Corte d'assise di Reggio Calabria, durante la deposizione al processo 'Ndrangheta stragista, l'imputato Giuseppe Graviano risponde alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, e in maniera ferma dice di aver incontrato Silvio Berlusconi da latitante "almeno per tre volte".
Un primo incontro che sarebbe stato presso l'Hotel Quark di Milano. Un ultimo, nel dicembre del 1993, ovvero poche settimane prima del suo arresto (avvenuto il 27 gennaio 1994), in un appartamento a Milano 3 ("È successo a Milano 3, è stata una cena. Ci siamo incontrati io, mio cugino e Berlusconi. C'era qualche altra persona che non ho conosciuto. Discutiamo di formalizzare le società").
Circostanze che i legali del leader di Forza Italia, a cominciare dall’onorevole Niccolò Ghedini, hanno più volte smentito ribadendo la non credibilità delle ricostruzioni di Graviano.
Ma gli inquirenti vogliono vederci chiaro anche alla luce delle dichiarazioni che il capomafia ha messo a verbale successivamente alla testimonianza nel processo calabrese.
Del resto di quell'appartamento, seppur in maniera criptica, aveva parlato anche nelle conversazioni con il boss camorrista Umberto Adinolfi, durante l'ora d'aria nel carcere di Ascoli Piceno. Era il 2016-2017 e le microspie avevano registrato tutto.
“Mi interessano le chiavi - diceva il boss siciliano raccontando il periodo dell'arresto nel gennaio 1994 - Quando mi hanno arrestato a Milano io avevo qui a Milano 3 un (…) che era di lui”. E poi ancora nel marzo 2017 tornava sull’argomento e diceva “ho bisogno di qualcuno che mi va a pigliare quel mazzo di chiavi” perché sono “chiavi che aprono porte, che tu puoi mettere”.
Perché Graviano ha così tanto interesse per quell'appartamento?
Secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano la Dia si è recata a Milano 3 proprio per compiere alcune verifiche, partendo dal dichiarato di Graviano. Così si è giunti ad uno stabile che oggi appartiene a un terzo e che nel periodo del presunto incontro (dicembre 1993) era ancora nella disponibilità del gruppo Berlusconi.
Come viene ricordato dal collega Lillo ogni indicazione fornita da Graviano sull'appartamento non prova che lo stesso gli fu fornito proprio dal gruppo Berlusconi o che l'incontro della fine del 1993 sia avvenuto.
Ma il dato non può essere ignorato. Nelle motivazioni della sentenza 'Ndrangheta stragista, del resto, la stessa Corte ha bocciato totalmente le dichiarazioni del capomafia anche perché diversi punti del dichiarato di Graviano non tornano, come quella sua presunta presenza all'Hotel Quark nel capodanno '89-'90 nel momento in cui vecchie relazioni della Dia dimostrerebbero che al tempo si trovasse a Terrasini.
Ma la ricerca di eventuali riscontri prosegue.
Del resto da quando il capomafia stragista ha raccontato di quegli interessi che la sua famiglia, a cominciare dal nonno per poi proseguire con il cugino, avrebbe avuto con l'ex Presidente del Consiglio (sul punto a suo dire ci sarebbe anche una carta privata, ndr) le indagini della Procura di Firenze sui mandanti esterni delle stragi del '93, che vede indagati Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, hanno preso un nuovo impulso.
Già a fine ottobre la Dda di Firenze, coordinata dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, e dagli aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli, avevano disposto delle perquisizioni a Palermo, Roma e Rovigo, tra familiari e componenti del clan di Brancaccio, alla ricerca di “documenti utili alle indagini da parte di soggetti a lui vicini al fine di verificare la sussistenza dei rapporti finanziari dallo stesso indicati che costituirebbero antefatto rispetto alla strategia che ha portato all’esecuzione delle stragi del biennio 1993-1994”.
In quell'operazione fu anche scoperta l'esistenza di una stanza segreta nell’appartamento della moglie di Graviano, Rosalia Galdi.
Oggi Il Fatto Quotidiano ha spiegato che i pm fiorentini hanno nuovamente inviato gli agenti della Dia per cercare “documenti e flussi comunicativi anche conservati nei supporti informatici”.
In particolare i magistrati vorrebbero capire chi abbia avuto accesso a quel “nascondiglio”.
Il quotidiano fa riferimento al verbale del 27 ottobre in cui sarebbe scritto: “Dalla planimetria catastale dell’immobile (…) si riscontrava la presenza di un vano posto adiacente alla camera da letto matrimoniale non riscontrato ictus oculi durante le operazioni di perquisizione”. Spostando l’armadio della camera, così gli agenti hanno trovato un “accesso murato”, mentre le telecamere “Sercicam” hanno rivelato la presenza di un locale “privo di finestre, (…) completamente vuoto, di circa 2 mq regolarmente pavimentato e imbiancato”.
Per i pm quello sarebbe stato un nascondiglio. Quindi viene indicato il prossimo passo: “Occorre appurare se, successivamente alla perquisizione, lo stato dei luoghi sia stato alterato e se il muro sia stato abbattuto. In caso contrario si procederà all’abbattimento del muro, verificando se sotto il pavimento o sopra il soffitto o nelle pareti vi siano incavi con conservazione di quanto oggetto dell’originaria perquisizione…”.
Ma non sarebbe questa l'unica richiesta da parte dei pm.
Perché al contempo si vuole "verificare se sia stato mutato lo stato dei luoghi, onde individuare le tracce e altri effetti materiali del reato, e al rinvenimento dei documenti e dei relativi flussi comunicativi anche conservati nei supporti informatici”.
Inoltre è stato chiesto di sequestrare la mail della moglie di Graviano, nonché l'acquisizione di "eventuali contratti di compravendita, donazione, di locazione” di “tale immobile”. Anche per questo è facile pensare, intanto, che i pm torneranno presto a sentire lo stesso Graviano.

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