di Lorenzo Baldo
“Non posso credere che si tratti solo di una distrazione. Che comunque è ugualmente una mostruosità, perchè i processi non dovrebbero essere fatti con una tale leggerezza. E se non è una distrazione non riesco a capire di cosa si tratta”. Al telefono la voce di Paola Caccia, figlia del magistrato assassinato il 26 giugno 1983, non tradisce rabbia o dolore, solamente tanta dignità e un senso profondo di disorientamento. Le chiedo quale sia stato il primo pensiero alla notizia di questo gravissimo errore “tecnico” che gravita sul processo per l'omicidio di suo padre. “Il primo pensiero è stato un vero e proprio punto interrogativo: tanta incredulità. Arrivi a domandarti come si sia potuto verificare un errore così grosso. E non riesci davvero ad immaginarlo... Dopo l'ultima udienza di mercoledì scorso ero tornata a casa un po' più sollevata: mi era sembrato che fossimo riusciti ad aprire uno spiraglio in un 'muro' che abbiamo sempre percepito fin dalle prime udienze. Ogni volta che ponevamo delle osservazioni o delle domande venivano sempre rispedite al mittente con la motivazione che queste non avevano nulla a che fare con Rocco Schirripa. Ci veniva detto che non eravamo lì per indagare sul movente, sulla motivazione del delitto, ma solo per fare luce su ciò che riguardava Schirripa... Sono arrivati a dirci questo: l'ho trovato semplicemente pazzesco!”. La figlia del giudice Caccia ricorda che proprio all'ultima udienza il Presidente della Corte di Assise, Illio Mannucci Pacini, aveva eccepito l'istanza del loro avvocato, Fabio Repici, accogliendo la sua richiesta di poter interrogare il boss Angelo Epaminonda. “A breve, quindi, il nostro legale avrebbe potuto interrogare Epaminonda per approfondire la questione Belfiore, così come le vicende che ruotano attorno al Casinò di Saint Vincent ed altro ancora. Mi sembrava davvero una piccola apertura e ricordo di essermi sentita un po' più ottimista. L'interrogatorio di Placido Barresi non si era ancora concluso e, a parer nostro, riservava ancora risvolti interessanti, a breve avremmo potuto interrogare anche Ciccio Miano e invece improvvisamente si fermato è tutto. E' come se mi fosse cascato addosso un macigno...”. Paola Caccia insiste nella sua convinzione che ci siano “tantissimi indizi che vanno in una determinata direzione”, ma che “non sia facile riuscire ad approfondirli”. Poi però riflette a voce alta: “Sembra che vi sia una specie di collegamento tra tanti fatti che sono accaduti anche a distanza di anni. E' qualcosa difficile da capire, ma che si può intravedere: una sorta di connessione tra tante storie accadute anche in luoghi distanti tra loro”. “In quegli anni – continua la figlia del giudice Caccia –, a ridosso dall'omicidio di mio padre, hanno ucciso diversi uomini di Stato. Mi domando fino a che punto alcuni di questi omicidi possano avere a che fare con la nostra storia. E' una domanda che mi pongo spesso...”. Nel riconoscere che l'avvocato Repici “è un profondo conoscitore di tante altre storie del nostro Paese ed è in grado di incrociare tra loro diversi dati”, Paola Caccia si dice sicura che questo tipo di lavoro sia “esattamente quello si deve fare per riscontrare se vi siano o meno dei collegamenti”. I dati da incrociare sono molti, e riaprono tante ferite della nostra storia. “Penso a Carlo Palermo che nello stesso periodo doveva essere ugualmente bloccato, o anche al povero Giovanni Selis che conduceva la stessa indagine di mio padre ed è stato fermato... Penso al giudice Ciaccio Montalto, e al suo collega Rocco Chinnici che un mese dopo l'omicidio di mio padre venne assassinato...”. Durante la conversazione c'è spazio per un ricordo che brucia ancora. “Mio padre non parlava mai del proprio lavoro a casa, eppure il giorno prima di essere ammazzato disse a mio fratello che stava per succedere 'qualcosa di grosso'. Sono convinta che se lui si è sbilanciato con una simile affermazione voleva dire che questa faccenda era veramente grande. Credo che si riferisse davvero ad un grosso riciclaggio...”. Non molto tempo fa Paola Caccia ha dichiarato di confidare di poter arrivare alla verità nonostante siano passati più di 30 anni, oggi appare alquanto risoluta: “Penso che se ti allontani da un fatto magari osservi tutto più lucidamente, è chiaro che le prove saranno sempre più difficili da trovare, ma per capire più a fondo quello che è successo penso che un po' di distanza possa aiutare”. Poi, però, la figlia del giudice ribadisce la gravità di vivere in un Paese dove per arrivare a brandelli di verità troppo spesso occorrano 30 anni se non di più. “Questo accade perchè ci sono tanti scheletri negli armadi. Per quanto riguarda l'omicidio di mio padre sono convinta che siano parecchi quegli scheletri. Penso che ci siano tante persone che sono a conoscenza di come sono andate realmente le cose ma che non vogliono o non possono parlare. Ed è per questo che vorrei fare nuovamente un appello, sono sicura che ci sia chi ha qualcosa da dire e non lo fa per paura. Sono certa che anche a Torino ci siano tante persone che potrebbero parlare ma hanno paura... ed è a loro che chiedo di raccontare tutto quello che sanno”. Paola Caccia si ferma, un attimo di silenzio e poi conclude: “Non posso credere che non ci sia altro al di là di Belfiore, Schirripa e dei loro compari. E' sicuro che ci sia qualcun altro. E non sono l'unica che lo pensa”.
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