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tamburello-mimmadi AMDuemila - 5 novembre 2013
Per ricordare la forza e la purezza d’animo di Mimma Tamburello (foto) diamo spazio alle sue stesse parole. Riportiamo di seguito l’intervista che ci concesse alcuni anni fa all’indomani della sentenza del processo riunificato di Catania per le stragi di Capaci e  via D’Amelio. La sua costante ricerca della verità e il suo incondizionato appoggio ai familiari delle vittime di mafia, così come ai minori vittime di violenze, continueranno a vivere in tutti coloro che le hanno voluto bene e che – anche per lei – seguiteranno a lottare in nome di una giustizia troppo spesso calpestata in questo nostro Paese.
Ciao Mimma, ora finalmente potrai riabbracciare Giovanni, Paolo e Francesca.


Dopo le stragi la speranza

Intervista a Mimma Tamburello
di Lorenzo Baldo

“Di fronte alle immagini delle stragi di Capaci e via d’Amelio proiettate in alcune udienze dei relativi processi ho visto sul volto dei mafiosi presenti una sorta di soddisfazione quasi a dire "...guarda come siamo stati bravi...".
Non c’è stato da parte loro un solo momento di turbamento di fronte ad immagini tremende girate dai vigili del fuoco nelle quali si vedevano pezzi di cadaveri sparsi sul terreno. Il sopravvissuto della strage di via d’Amelio, Antonino Vullo, racconta che tuttora se la notte si deve alzare per andare in bagno accende tutte le luci della casa perché ha paura di camminare su quei "pezzi molli" che erano i pezzi di corpi dei suoi colleghi...”. Ascolto le sue parole senza fiatare, l’intervista con l’avvocato palermitano Mimma Tamburello è un viaggio dentro l’orrore delle stragi del 1992, eccidi che probabilmente in futuro verranno ricordati come vere e proprie stragi di Stato. Un percorso in salita alla ricerca di una verità scomoda. Da occultare.

A Catania lo scorso 12 settembre è stata depositata la motivazione della sentenza dell’ultimo processo riguardante le stragi di Capaci e via d’Amelio. Qual è l’aspetto più importante che emerge?
Nella sentenza viene sancito il principio che afferma di poter considerare mandanti delle stragi anche i capi di Cosa Nostra che all’epoca si trovavano in carcere o che erano assenti alle varie riunioni decisionali ristrette o allargate (di cui questa sentenza ha accertato l’esistenza). Tutti i collaboratori di giustizia hanno parlato di queste riunioni a cui partecipavano capi e gregari nelle quali venivano decisi gli omicidi da compiere fra cui le stragi. Attraverso la cosiddetta convergenza del molteplice la corte ha potuto accertare la veridicità delle dichiarazioni dei collaboranti. Questi ultimi hanno ribadito che ogni qualvolta si programmavano delitti di questa importanza tutti i capi dovevano dare il loro assenso. Assenso che possibilmente consisteva nell’astensione di un diniego, nel silenzio o nell’assenso in quanto tale.

Nelle 1400 pagine della sentenza come viene affrontato il rapporto mafia-politica?
Tutti i collaboranti hanno confermato in maniera univoca nelle loro dichiarazioni convergenti, o complementari l’una all’altra, l’appoggio elettorale (non solo nel 1987) di Cosa Nostra che di fatto prendeva parte alle elezioni dei vari esponenti politici. Si tratta della conferma di un elemento gravissimo in quanto questi “favori” dovevano poi essere “restituiti”. Chi aveva ottenuto i voti della mafia non poteva dire no a determinate richieste. A conferma di ciò vi è da dire che in questi anni abbiamo assistito alla richiesta di ammorbidimento del 41bis, al tentativo dell’abolizione dell’ergastolo e via dicendo. Tutto questo faceva parte del cosiddetto papello: quella che è stata definita la “trattativa” tra Totò Riina e pezzi dello Stato. Secondo Riina le stragi dovevano servire a fare la guerra per poi fare la pace. La pace significava realizzare tutte le loro richieste che evidentemente non sono cadute nel vuoto considerati certi risultati.

Ma secondo lei la trattativa è stata portata a termine?
E’ un dato inconfutabile che si sia cercato di attuare tutto ciò che faceva parte del papello. Sono convinta che quelle richieste abbiano formato l’oggetto di alcune proposte di legge. Ho detto chiaramente nella mia arringa che effettivamente si stava tentando di attuare quello che Totò Riina voleva ottenere.

Secondo la ricostruzione dei collaboratori di giustizia è Totò Riina a premere per l’accelerazione della strage di Via D’Amelio, assicurando che “qualcuno” gli avrebbe garantito che la strage di Borsellino “era un bene per tutta Cosa Nostra”. Ma chi sono allora questi “mandanti esterni”?
Siamo consapevoli che esistono i cosiddetti mandanti delle stragi a “volto coperto”. Tutti i collaboranti hanno parlato di collegamenti mafia-politica, confermando poi le radici profondissime della mafia all’interno di tutti i settori della società, purtroppo però non sono stati individuati. I nomi restano ancora nell’ombra. Fino a quando non si individueranno i mandanti esterni, e non sarà facile, la mafia resterà. La mafia potrà finire solo quando cesserà il consenso ad alti livelli, finché vi saranno certe connivenze, la mafia continuerà ad esistere. Purtroppo in una città come Palermo e in una terra come la Sicilia quello che è un diritto si è abituati a chiederlo come un favore. Non esiste il diritto, esiste il favore. Favore che possono fare personaggi importanti a cui poi si resta avvinghiati. Fino a quando non si interromperà questa catena nulla potrà cambiare. Questa è una cosa tremenda perché se resta così i nostri figli non potranno vivere in una società finalmente civile e libera da questi condizionamenti.

Perché secondo lei avviene un’accelerazione decisamente anomala tra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio?
Paolo Borsellino doveva necessariamente essere ucciso presto. Penso che Borsellino conoscesse le intuizioni a cui era arrivato Giovanni Falcone; ritengo che le abbia condivise in quanto le aveva vissute insieme a lui. Per questa ragione Paolo Borsellino era da eliminare subito. Ricordo che aveva giurato che sarebbe arrivato a individuare i reali motivi della strage di Capaci. La fretta di realizzare una strage così a ridosso dall’altra non può che venire da ambienti esterni a Cosa Nostra.

Intende quelle entità esterne a Cosa Nostra a cui probabilmente Borsellino si riferiva quando disse: “Sto vedendo la mafia in diretta...”?
Penso che Paolo Borsellino avesse intuito come la mafia non fosse solo quella dei capi di Cosa Nostra. Ritengo plausibile che si fosse reso conto di quale mafia garantiva a Cosa Nostra la stessa esistenza e soprattutto “l’impunità”.

Parliamo di ambienti cosiddetti extra-istituzionali che avrebbero tradito Borsellino?
Ritengo di si. Altrimenti non si spiega la strage di via d’Amelio a così poca distanza da quella di Capaci.

Per quale ragione quando i collaboratori di giustizia riferiscono di entità esterne a Cosa Nostra si arriva a un punto morto senza riuscire a fare luce su un livello più alto?
Non sono in grado di dire se da parte loro vi sia una paura che li blocchi, un’effettiva non conoscenza, o cos’altro. I collaboratori di giustizia sanno di essere difesi dallo Stato, ma evidentemente sanno anche che all’interno di esso vi è una zona grigia. Non è del tutto peregrina l’ipotesi che gli stessi collaboranti abbiano potuto temere per la propria incolumità prima di fare eventuali nomi di quella zona grigia amalgamata allo Stato che li proteggeva. Le campagne di stampa denigratorie contro i collaboratori di giustizia, i relativi attacchi spropositati a livello politico nei loro confronti rappresentano solo l’aspetto visibile di quello che si verifica quando si toccano certi fili scoperti.

Uno dei misteri attorno alla morte di Paolo Borsellino resta sicuramente l’incontro con l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino e l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi avvenuto a Roma alcuni giorni prima della strage.
L’appuntamento con Nicola Mancino negato da più parti, nonostante risulti nell’agenda grigia e nonostante vi siano dei testimoni a riguardo, è un fatto estremamente grave ed inquietante.

E’ possibile che a quell’appuntamento Paolo Borsellino sia stato messo a conoscenza di una sorta di trattativa pre-esistente?
Io stessa ho riflettuto molto su questa supposizione. Chissà... si tratta certamente di un’ipotesi senza alcun riscontro che però non mi dà pace. Così come per quanto riguarda la morte di Francesca Morvillo sono convinta che non sia stata uccisa casualmente. Credo che Francesca (sia in quanto magistrato che aveva partecipato attivamente alla vita professionale di Giovanni Falcone, e soprattutto in quanto moglie di Falcone) sia stata uccisa perché aveva condiviso con lui i  suoi dubbi, le sue intuizioni e le sue certezze.

Intuizioni che ipoteticamente potrebbero anche essere state scritte da Paolo Borsellino nella sua agenda rossa scomparsa subito dopo la strage di via d’Amelio, o secondo lei questa agenda è stata distrutta?
Non sono in grado di dirlo, per me resta un mistero. Penso che se dovesse ancora esistere sarebbe in mano a persone insospettabili che potrebbero usarla come arma di ricatto. Oppure potrebbe anche essere stata distrutta poco tempo dopo la strage in quanto avrebbe potuto contenere elementi compromettenti o prove importanti.

Un’ulteriore ipotesi che dietro le stragi ci sia stata una regia occulta?
Si, secondo me questa regia occulta esiste. Nulla è casuale. Qui siamo di fronte a quelle che Giovanni Falcone aveva definito “menti raffinatissime”. Paolo Borsellino aveva fretta, tanta fretta perché era consapevole di avere poca vita dinanzi a sé e temeva di non riuscire a fare in tempo. Ed è davvero terribile che non ci sia riuscito... Senza ombra di dubbio Falcone e Borsellino erano entrati in quello che a suo tempo era stato definito un gioco troppo grande e soprattutto erano stati lasciati soli.

Per quale motivo il suo libro l’ha intitolato Dopo le stragi la speranza?
Perché se non avessi la speranza nel risveglio delle nuove generazioni, nel riscatto di questa terra sarei distrutta e non avrei la forza per andare avanti. Ed è proprio il riscatto che sto vedendo nei giovani che reagiscono contro la mafia in maniera decisa e motivata a darmi speranza. Nel frattempo noi dobbiamo continuare a cercare la verità, con tutte le nostre forze. Dobbiamo continuare a combattere.


Chi è Mimma Tamburello

L’avvocato Mimma Tamburello è conosciuta in Sicilia per aver rappresentato le parti civili nei più importanti processi di mafia: le stragi di Capaci e via d’Amelio (ha tutelato tutti gli agenti uccisi nella strage di via D’Amelio, l’unico sopravvissuto, la famiglia dell’agente Rocco Dicillo ucciso nella strage di Capaci e gli agenti sopravvissuti Corbo, Cervello e Costanza). Avvocato di parte civile per la signora Maria Petrucia Dos Santos, convivente dell’agente di scorta di Borsellino, Claudio Traina (prima volta in Italia in cui è stata ammessa la costituzione di parte civile della convivente di una vittima di mafia). Parte civile per la provincia regionale di Palermo come sostituto processuale del prof. Alfredo Galasso nel processo per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo (Leoluca Bagarella + 66) e in quello per l’omicidio del giudice Rosario Livatino allievo universitario dell’avv. Tamburello. Si è occupata del processo contro i pedofili del quartiere palermitano dell’Albergheria, come avvocato di parte civile di 12 bambini vittime degli abusi, per incarico dell’Assessore alla famiglia del Comune di Palermo. 7 di loro erano stati venduti dalla propria madre. Il processo si è concluso in primo grado nel 2003 con delle condanne pesantissime, pene complessive per 89 anni, confermate dalla Cassazione due anni dopo.

Tratto da: ANTIMAFIADuemila N°57

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Ultima sentenza?
Le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino costituiscono i pilastri del primo processo per la strage di via d’Amelio. Il 27 gennaio 1996 la Corte di Assise di Caltanissetta emette la sentenza. Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e Salvatore Profeta vengono condannati all'ergastolo. Vincenzo Scarantino viene condannato a 18 anni di reclusione (condanna che non viene appellata dall'imputato diventando così definitiva). Scarantino e Profeta sono accusati di aver rubato la Fiat 126 usata per l'attentato, di averla riempita di esplosivo e collocata davanti la casa della madre di Borsellino. Orofino è accusato di essersi procurato la disponibilità delle targhe e dei documenti di circolazione ed assicurativi falsi che furono apposti sulla 126 per consentirne la sicura circolazione e la collocazione sul luogo della strage. Scotto infine viene accusato di aver manomesso i cavi e gli impianti telefonici del palazzo di via d'Amelio per intercettare le telefonate della famiglia Fiore (la madre di Paolo Borsellino) così da conoscere i movimenti del magistrato. In appello ad Orofino la pena viene ridotta a 9 anni, mentre Scotto viene addirittura assolto per non aver commesso il fatto. L'anno successivo la sentenza viene confermata dalla Cassazione. Contemporaneamente vengono istruiti i filoni paralleli del processo per la strage di via d'Amelio denominati “bis” e “ter”. Della  schizofrenica “collaborazione” di Vincenzo Scarantino vi sono alcuni riferimenti nella sentenza del  “Borsellino-bis” che si limita a ritenere credibili solo alcune delle sue dichiarazioni. Per i giudici di I° grado del  “Borsellino-ter” Scarantino “non aveva titolo a venire coinvolto, con piena cognizione di causa, nella fase preparatoria di un’operazione delicata, dal punto di vista criminale, come l’uccisione di Paolo Borsellino”. La Corte di Assise di Caltanissetta scrive il 9 dicembre '99 che delle dichiarazioni rese da Vincenzo Scarantino “non si debba tenere alcun conto per la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle responsabilità in ordine alla strage di via D’Amelio”. E in questa spasmodica altalena di sentenze (vedi appendice) si giunge infine all'ultimo giudizio della Suprema Corte. Ma si tratta davvero di quello definitivo? Il 9 luglio 2003 lo stralcio del Borsellino-ter e di una parte del procedimento per la strage di Capaci (entrambi rinviati dalla Cassazione alla seconda corte d'Assise d'Appello di Catania) vengono riuniti in un unico processo. Il 18 settembre 2008 la Corte Suprema di Cassazione chiude definitivamente il capitolo dei processi unificati per le stragi di Capaci e via d'Amelio. La prima sezione penale della Cassazione conferma in pieno la sentenza della corte d'Assise d'Appello di Catania del 2006. Alle altre condanne già passate in giudicato si aggiungono gli ergastoli comminati a Salvatore Montalto, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Giuseppe Madonia, Giuseppe Montalto, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Benedetto Santapaola, Mariano Agate e Benedetto Spera. Il 18 novembre 2008 vengono depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione. «E' questa la c.d. strategia della strage – scrivono gli ermellini riportando uno stralcio di una precedente sentenza di appello per la strage di via d'Amelio – mirante ad un preciso obiettivo: costringere lo Stato a venire a patti con una mafia potente (“fare la pace dopo la guerra”) e quindi, attraverso un'inversione di tendenza legislativa, ottenere numerosi benefici quali: l'attenuazione del regime carcerario, il mantenimento dei patrimoni illeciti, la revisione delle condanne subite dai sodali». Chiedo all'avvocato di parte civile, Mimma Tamburello, di illustrarmi la sostanziale importanza delle 1400 pagine redatte dai giudici di II° grado di Catania e avallate dalla Cassazione. La incontro nel suo studio di via Dante, ha rappresentato le parti civili nei processi per le stragi di Capaci e via d’Amelio (tutelando tutti gli agenti uccisi nella strage di via D’Amelio, l’unico sopravvissuto, la famiglia dell’agente Rocco Dicillo ucciso nella strage di Capaci e gli agenti sopravvissuti Corbo, Cervello e Costanza). La purezza d'animo dell'avv. Tamburello è pari alla sua indomita determinazione. Oltre a difendere i familiari delle vittime di mafia questa donna si è occupata anche del processo contro i pedofili del quartiere palermitano dell’Albergheria, come avvocato di parte civile di 12 bambini vittime degli abusi, per incarico dell’Assessore alla famiglia del Comune di Palermo (sette di loro erano stati venduti dalla propria madre, il processo si è concluso in I° grado nel 2003 con delle condanne pesantissime, pene complessive per 89 anni, confermate dalla Cassazione due anni dopo). «Nella sentenza di Catania – mi spiega l'avv. Tamburello – viene sancito il principio che afferma di poter considerare mandanti delle stragi anche i capi di Cosa Nostra che all’epoca si trovavano in carcere o che erano assenti alle varie riunioni decisionali ristrette o allargate (di cui questa sentenza ha accertato l’esistenza)». «Tutti i collaboratori di giustizia – specifica il legale di parte civile – hanno parlato di queste riunioni a cui partecipavano capi e gregari nelle quali venivano decisi gli omicidi da compiere fra cui le stragi. Attraverso la cosiddetta convergenza del molteplice la corte ha potuto accertare la veridicità delle dichiarazioni dei collaboranti. Questi ultimi hanno ribadito che ogni qualvolta si programmavano delitti di questa importanza tutti i capi dovevano dare il loro assenso. Assenso che possibilmente consisteva nell’astensione di un diniego, nel silenzio o nell’assenso in quanto tale». Il tema mafia & politica resta indubbiamente uno dei filoni più importanti citati nel documento. «Tutti i collaboranti – sottolinea Mimma Tamburello – hanno confermato in maniera univoca nelle loro dichiarazioni convergenti, o complementari l’una all’altra, l’appoggio elettorale (non solo nel 1987) di Cosa Nostra che di fatto prendeva parte alle elezioni dei vari esponenti politici. Si tratta della conferma di un elemento gravissimo in quanto questi “favori” dovevano poi essere “restituiti”. Chi aveva ottenuto i voti della mafia non poteva dire no a determinate richieste». «A conferma di ciò – conclude la sua analisi l'avvocato di parte civile – vi è da dire che in questi anni abbiamo assistito alla richiesta di ammorbidimento del 41bis, al tentativo dell’abolizione dell’ergastolo e via dicendo. Tutto questo faceva parte del cosiddetto papello: quella che è stata definita la “trattativa” tra Totò Riina e pezzi dello Stato. Secondo Riina le stragi dovevano servire a fare la guerra per poi fare la pace. La pace significava realizzare tutte le loro richieste che evidentemente non sono cadute nel vuoto considerati certi risultati».

Tratto dal libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino
(Bongiovanni-Baldo,
ed. Aliberti)

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