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Presentato “La Cattura” di e con Maurizio de Lucia e Salvo Palazzolo assieme al procuratore aggiunto catanese

Questo libro contiene un’importante descrizione dei rapporti che Matteo Messina Denaro ha avuto con il mondo circostante. Offre lo spaccato di un soggetto che appartiene alla mafia stragista ma che riesce ad inserirsi nella zona giusta della geografia mafiosa post-stragi. Cioè fra coloro che riescono a trovare un momento di intesa rispetto alle pulsioni straniste. Una posizione di mezzo. Che è la posizione storicamente assunta da Cosa nostra rispetto alla realtà della società e delle istituzioni. Un rapporto non apertamente conflittuale che poi permette il recupero della complicità che gli ha permesso, tra l’altro, di istituire una rete che gli ha garantito la latitanza”. Così il procuratore aggiunto di Catania Sebastiano Ardita, intervenuto ieri pomeriggio durante la presentazione del libro “La Cattura” (ed. Feltrinelli) di e con il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia e il giornalista di “la Repubblica” Salvo Palazzolo. I tre, grazie alle domande della giornalista Laura Distefano, hanno dialogato sui retroscena della cattura dell’ex superlatitante Matteo Messina Denaro, tratto in arresto lo scorso 16 gennaio presso la clinica “La Maddalena” di Palermo. “L’aspetto che più ha indignato i cittadini è il fatto che per 30 anni è rimasto latitante – ha aggiunto Ardita -. E apprendendo che lo ha fatto sul territorio la gente si domanda perché e come sia stato possibile. Tutto questo era frutto di una rete di relazioni rilevanti. Quindi anche di un rapporto con le istituzioni”.

“La Cattura” è un volume storico e investigativo allo stesso tempo. “Non è un libro presentato con contenuti scandalistici quindi ci vuole tempo prima che le persone lo acquistino – ha commentato il procuratore di Catania -. Ciò non significa che non sia un libro importante, oltre al fatto che ancora è presto per giudicare le vendite. Questo libro ha due caratteristiche che meritano attenzione. Da un lato si tratta di un racconto delle fasi che precedono e determinano l’arresto di Matteo Messina Denaro che per 30 anni era rimasto fuori dal circuito del controllo istituzionale. Senz’altro era il più importante latitante degli ultimi tempi, che tutti avrebbero voluto catturare e che per 7 volte è stata annunciata la prossima cattura. Il lettore ha dunque la possibilità di comprendere com’è successo tutto ciò e come si sia arrivati alla cattura, dato che all’inizio, soprattutto, sono state dette le più improbabili illazioni nei confronti dell’operazione delle forze di polizia. Quindi si comprendono le analisi e le indagini”. Dall’altro lato, invece, il libro “intreccia una narrazione investigativa alla storia del personaggio che se vogliamo non era e non è così diffusa”. A differenza del libro di Marco Bova - “Matteo Messina Denaro, latitante di Stato”, ed. Ponte delle Grazie) – “che è un altro volume molto bello e interessante – ha sottolineato Ardita -, nel lavoro di Palazzolo e de Lucia viene descritto in maniera molto precisa la figura del latitante e delle indagini che portano alla sua cattura. C’è anche un’importante descrizione e analisi di alcuni comportamenti di tipo culturale, filosofico e religioso che descrivono il personaggio. Cioè una descrizione della fenomenologia del potere mafioso. Ci sono dunque una serie di motivi per cui acquistare e leggere questo volume. Sono certo che l’interesse si svilupperà sempre più nel lungo periodo se, come mi auguro, ci sarà anche un costante confronto con il lettore”.


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I magistrati Sebastiano Ardita e Maurizio de Lucia


Obiettivo: colpire la ricchezza delle mafie
Durante la serata ampio spazio è stato riservato all’analisi della fase post-stragi della mafia. Sul punto è intervenuto il procuratore Maurizio de Lucia il quale ha ribadito l’importanza delle investigazioni sulle ricchezze della mafia che “sono il futuro”. “Oggi abbiamo una Cosa nostra che è molto più debole del passato, ma sa bene che per tornare ad essere forte deve essere ricca. Due sono le loro strade – ha sottolineato il magistrato -. La prima è quella che riguarda il traffico di stupefacenti, perché non esiste una merce al mondo che abbia un valore aggiunto più alto della cocaina. Da 50 dollari spesi in Colombia per comprare un chilo di cocaina fruttano 50.000 euro sulle piazze di Catania e di Palermo. L’altra strada, invece, riguarda le ricchezze di cui anche Riina parla che ci sono ancora oggi e che non siamo riusciti ad aggredire. E anche per Matteo Messina Denaro vale lo stesso, perché è vero che lo prendiamo dopo 30 anni ma in questi anni non abbiamo cercato solo lui bensì tutti i capi di Cosa nostra. Inoltre, l’aggressione ai suoi patrimoni è stata importante, tanto da averlo indebolito. Ma c’è ancora strada da fare. Ecco perché è fondamentale che si ragioni sugli strumenti dell’aggressione patrimoniale di cui magistratura e forze dell’ordine dispongono in questo momento. Non è tranquillizzante immaginare modifiche al codice antimafia in chiave assertivamente garantista. È molto pericoloso rinunciare ad uno strumento che ha dato ottima prova di sé. E che per altro, dal punto di vista del diritto, dobbiamo tenere in considerazione il fatto che la Costituzione afferma che sono inviolabili il diritto alla libertà, al domicilio e alla corrispondenza. Non dice che è inviolabile il diritto alla proprietà. Quest’ultimo è garantito dalla Costituzione ma in determinate condizioni. Si ubica nelle relazioni economiche non fra i diritti inviolabili della prima parte della Costituzione. Quindi gli spazi per remare su questo sistema bisogna essere molto attenti ad utilizzarli perché rinunciare in qualche misura agli strumenti di aggressione ai beni di Cosa nostra potrebbe essere molto pericoloso”.

Il patrimonio di Messina Denaro e il potere delle mafie
All’interno del libro vengono riportate le parole di Salvatore Riina intercettate in carcere e vengono messe in relazione la figura del “Capo dei capi” con quella di Matteo Messina Denaro. In modo particolare, nel libro viene fatta luce sulla necessita di “recuperare” il patrimonio. “Tutti quelli che hanno le proprietà mie, tutti quelli che hanno beni miei se li sono tenuti e se li tengono. Se li tengono e se li godono”, diceva Riina intercettato. Una frase che suona come una minaccia nei confronti dei prestanome che adesso approfittano di questo momento di crisi dell’organizzazione mafiosa. E ancora: “Se avessi un terzo di quello che mi appartiene sarei ricco”. “È una frase inquietante e calata nel contesto della ricchezza mafiosa significa che i soldi del capo della mafia erano in mano a qualcuno e non potevano essere reclamati a causa del patto di segretezza – ha detto Ardita -. Questo dà la misura della punta dell’iceberg di ciò che oggi sono le misure di prevenzione. Bisogna discutere di questi fatti e dei rischi che corriamo modificando questi assetti e queste normative che sembrano poco garantiste. Oggi c’è un problema che riguarda la ricchezza mafiosa. Questa ricchezza è il frutto anche della dimensione e del rapporto che ha avuto con la borghesia mafiosa”.


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I giornalisti Salvo Palazzolo e Laura Distefano


Una ricchezza che oggi si cela dietro il traffico internazionale di stupefacenti che, come ha sottolineato Salvo Palazzolo, “oggi invade le strade della Sicilia con fiumi di droga”. “Oggi i mafiosi offrono agenzie di servizio. E per contrastarle bisogna incidere sul territorio – ha continuato il giornalista -. Matteo Messina Denaro è morto, è vero, ma temo che noi, società civile, siamo un po’ in ritardo. La mafia e il metodo di Messina Denaro che è riuscito a portare Cosa nostra dalla stagione delle stragi a quella dell’imprenditoria facendogli fare un salto di qualità”. “Com’è possibile che ci siano colpi fortissimi e sequestri importanti contro le organizzazioni mafiose; eppure, continuano ad avere tantissimi soldi? Diciamolo chiaro, il traffico di droga è la fonte economica primaria per le mafie. E in Sicilia ci sono fiumi di droga – si è interrogato -. Il cronista ha una preoccupazione a Palermo. Questo enorme flusso di droga gestito dalle mafie… in questo momento c’è una grande ‘pax’ in Sicilia. Le mafie, e forse anche insospettabili, mettono delle quote e fanno arrivare droga… mi ha inquietato vedere i narcos colombiani a Catania e a Palermo come negli anni ’80. Non è un film. Dobbiamo chiederci perché i boss siciliani sono tornati ad essere affidabili per i colombiani? Perché pagano in anticipo. E da dove arrivano questi soldi, posto che ci sono sequestri enormi, alle mafie? C’è qualcosa che ancora non capiamo e non possiamo delegare la responsabilità soltanto alla magistratura e alle forze dell’ordine”.

La legislazione non si tocca
De Lucia nella serata ha confermato l’importanza di difendere l’istituto dei collaboratori di giustizia e le intercettazioni. “È vero che dobbiamo stare molto attenti ad uno strumento moderno come le intercettazioni, ma almeno il nocciolo duro che riguarda le intercettazioni contro la mafia non può essere toccato, seppur all’inizio si è pensato il contrario – ha evidenziato -. E devo dire che le garanzie sono rimaste, cioè il sistema non è permeato. È pericoloso il rischio di indebolimento di altri pezzi del sistema che non sono direttamente coinvolti nell’aggressione mafiosa ma che comunque conducono a quello. Si discute, anche in maniera molto avanzata, dell’abuso d’ufficio. È bene precisare che non si tratta di un reato spia della presenza mafiosa, ma è un reato comunque funzionale agli interessi di un sindaco, per esempio, che deve fare il favore a un mafioso. Quella è una condotta che agevola l’organizzazione mafiosa. Per questo ritengo che ogni norma vada meditata in una chiave più ampia di sistema”. Cosa nostra ancora esiste, ed è innegabile. “La sua forza risiede nella capacità di stare nei mondi oltre a quello criminale – ha aggiunto de Lucia -. È la cosiddetta ‘voglia di mafia’, cioè il rapporto tra mafia e borghesia. Un rapporto che esiste dal 1860 e continua tutt’oggi. C’è una tentazione forte di un pezzo di borghesia di utilizzare la mafia come scorciatoia per i propri fini. Ed è molto pericoloso perché anche nel momento in cui Cosa nostra è più debole, si legittima la mafia e gli si da energie diverse che la rende forte. Non dobbiamo abbassare la guardia. Dobbiamo tenerla alta e far funzionare tutti gli strumenti della repressione mafiosa. Tenendo sempre bene in mente che neanche la miglior repressione mafiosa, né i migliori magistrati o forze di polizia risolveranno mai il problema della mafia se non lo si intende come un problema dell’intera società e non solo di poliziotti, carabinieri e magistrati. E si può fare solo con sviluppo economico e culturale”.

Foto © ACFB

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