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Intervista al procuratore di Palermo Maurizio de Lucia su Repubblica in occasione dell’anniversario di Libero Grassi

C'è voglia di mafia. A 32 anni di distanza dalla morte dell’imprenditore simbolo della lotta al pizzo mafioso, Libero Grassi, il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia sulle pagine di Repubblica lancia il suo j'accuse: “Oggi si continua a pagare il pizzo ma non solo per paura che gli operatori economici cedono ai mafiosi, bensì per convenienza”. Imprenditori che cercano i mafiosi, dunque, come si evince dalle recenti intercettazioni. Rispondendo alle domande di Salvo Palazzolo, il procuratore de Lucia ha più volte fatto riferimento a “pezzi di società che cercano l’accordo con la mafia, consapevoli che se ne possono trarre vantaggi, e a sua volta altri se ne offrono”. Si tratta di soggetti che rientrano nella cosiddetta borghesia mafiosa, come disse lo scorso 16 gennaio durante la conferenza stampa postuma alla cattura dell’ex super latitante di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. Ed è proprio sulla borghesia mafiosa che continuano le indagini tutt’ora in corso, volte a “definire compiutamente la rete di complicità di cui ha goduto Messina Denaro - ha aggiunto -. Per certo, quella espressione — borghesia mafiosa — coniata da alcuni studiosi negli anni Settanta del secolo scorso, racconta molto bene una borghesia formata dagli indifferenti e dai compiacenti, da chi ignora il fenomeno mafioso e da chi invece lo cerca. Nella prima categoria, quella di chi ignora il fenomeno, possono poi presentarsi due varianti, quando si incontra la presenza criminale: per usare una espressione cara al linguaggio giuridico c’è chi soggiace e c’è chi si compiace del rapporto con la mafia. Questa è oggi la situazione della società civile siciliana, con alcune differenziazioni territoriali”. A trent’anni di distanza dalle stragi del ’92 e del ’93, però “Cosa nostra conserva una capacità straordinaria di infiltrarsi nel tessuto economico, sociale e politico. È questo il vero problema, quello di un pezzo di società che da un secolo è abituata a convivere e a cercare la mafia. E se non la trova si preoccupa. Una situazione che finisce anche per rafforzare l’organizzazione criminale, perché le viene riconosciuta una forza che oggettivamente non ha più, almeno non ai livelli del secolo scorso, e così facendo la si aiuta pure a uscire dalla sua crisi”. La mafia ha cambiato pelle adattandosi alle attività di contrasto messe in atto dallo Stato, fino a rendersi quasi “un’agenzia di servizi. Una mafia che viene ricercata non solo dagli imprenditori, ma anche dai politici, che chiedono sostegno elettorale. Un’altra espressione di quella borghesia mafiosa che aiuta la mafia”, ha detto il procuratore. Le recenti indagini, così come le recenti relazioni semestrali della Dia, restituiscono anche l’immagine di una mafia in “gran fermento” ha sottolineato. In modo particolare, “per l’arrivo dei fondi del Pnrr, lo dicono le intercettazioni, ma anche le tante manovre in atto per creare piccole e grandi società attraverso prestanome - ha aggiunto -. D’altro canto, le province di Trapani e Agrigento sono da sempre un laboratorio per l’imprenditoria mafiosa legata a Messina Denaro: il fronte delle possibili aggressioni criminali è quello dei subappalti, lì le ditte infiltrate dai clan provano a inserirsi per lucrare le risorse pubbliche. E, intanto, i boss impongono la “messa a posto”, la tassa mafiosa per lavorare sul territorio. Devono pagare tutti, tranne le ditte di mafia. Così, dalle indagini è emerso che Messina Denaro aveva le sue imprese, che naturalmente non pagavano”. Di fronte a questo scenario la politica non può tirarsi indietro e deve fare la sua parte. “Bisogna che maturi una consapevolezza importante: l’arresto di Messina Denaro non ha significato la fine di Cosa nostra - ha concluso il procuratore -. Sarebbe un gravissimo errore ritenerlo. Bisogna allora tenere alta l’attenzione. La politica, con una rigida selezione dei candidati e degli amministratori. La società civile, lontana dalle scorciatoie. Confido negli studenti, che hanno una grande consapevolezza della propria terra, loro sono già il cambiamento della Sicilia”.

Foto © Imagoeconomica

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