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Il procuratore di Palermo audito in Commissione Antimafia risponde alle domande dei parlamentari. “Politici che comprano droga? Rischio ricattabilità”

Ha le idee molto chiare Maurizio De Lucia sulle misure legislative e gli strumenti repressivi che occorre salvaguardare per annientare le mafie, lui che di mafia se ne occupa da quasi 30 anni. E le sue idee, come del resto quelle di tantissimi colleghi togati, sono l’antitesi di quelle che “frullano” nella testa del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Sentito in audizione davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia il procuratore della Repubblica di Palermo ha snocciolato tutte quelle che sono le sue perplessità in merito alle iniziative in tema giustizia che intende intraprendere, o ha già intrapreso, il Guardasigilli.
Nella seduta il procuratore è stato chiarissimo. "Io mi inchino al Parlamento ma quando veniamo consultati come tecnici nelle varie audizioni ho il dovere di dire le cose in maniera assolutamente laica e concreta, altrimenti non daremmo nessun contributo alla vostra capacità di decidere". E da “tecnico”, rispondendo alle domande della Commissione, ha fatto una disamina oggettiva di quanto finora introdotto o abolito dal governo rispetto agli strumenti riguardanti la lotta alla mafia.
A partire dal concorso esterno, tema di questi giorni, che Nordio vorrebbe farlo sparire per riconvertirlo in associazione mafiosa. "Lo strumento del concorso esterno in associazione mafiosa, siccome è oggettivamente delicato, può essere oggetto di una riflessione”, ha premesso De Lucia. “Ad esempio, al giorno d'oggi c'è una giurisprudenza molto consolidata per alcune condotte, che potrebbe essere normata con una modifica legislativa. Ma sul lato del 416 bis, nel senso di individuare ulteriori forme tipizzate di condotta che non è più di concorso esterno ma di vera e propria consumazione del reato come previsto dalla norma. Ma in ogni caso mi pare assai difficile immaginare di non ricorrere più a uno strumento che esiste dal 1930". "Intanto non solo si è rivelato uno strumento utile - ha detto De Lucia - quindi noi possiamo rivisitare l'area di applicazione del concorso esterno ma solo individuando delle fattispecie ulteriormente tipizzate dal punto di vista della legge penale. Immaginare altre forme di riesame del concorso esterno o abolizione dell'istituto tout court mi pare davvero difficile". Niente abolizione dunque. Lo stesso vale per il reato di abuso d’ufficio, altro pallino di Nordio. "Al di là dei vincoli europei, si crea un vulnus a un sistema. Le nostre perplessità sull'abolizione dell'abuso d'ufficio sono molto forti”, ha affermato. E ancora, diversità di vedute sulle intercettazioni contro cui Nordio sta conducendo una lotta semi-solitaria da prima di sedere in via Arenula. "Le intercettazioni sono, nelle loro varie forme, uno strumento decisivo nella lotta alla criminalità organizzata”, ha avvertito il magistrato. “Perché 'organizzazione' vuol dire comunicazione, i mafiosi parlano tra di loro ed è indispensabile cercare di entrare all'interno dell'organizzazione ascoltando le loro comunicazioni". Indimenticabili, ad ascoltare le valutazioni di De Lucia, sono le uscite del ministro di qualche mese fa (“intercettazioni? I mafiosi non parlano al telefono”). "L'importanza delle intercettazioni in tema di criminalità organizzata - ha sottolineato De Lucia che anche grazie alle intercettazioni è riuscito a mettere fine alla latitanza di Matteo Messina Denaro - è tale che non posso immaginare una riforma in senso limitativo di questo strumento”. Secondo il procuratore non solo il sistema di intercettazioni non va abolito ma addirittura evoluto. Il tema, ha osservato De Lucia, è che "in questo momento il meccanismo delle intercettazioni ci pone in ritardo rispetto alle forme di comunicazione che usano le mafie. Le mafie usano piattaforme criptate, rispetto alle quali noi siamo in ritardo. Quindi c'è un problema tecnologico ancor prima che normativo". Stesso discorso vale per il trojan: non va cessato l’uso. "Che il trojan sia uno strumento davvero invasivo - ha premesso il procuratore - è innegabile ed è per questo che va fatto un attento bilanciamento di interessi ma ciò, a mio avviso, vuole dire che serve ad esempio un maggior controllo del gip sulle autorizzazione all'uso, o sulle proroghe che devono essere ben motivate, ma certo non comporta la rinuncia allo strumento specie in una situazione in cui il fenomeno della corruzione si manifesta come davvero pervasivo e importante".


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Il ministro della Giustizia Carlo Nordio © Imagoeconomica


Capitolo 41bis
Grande attenzione è stata riposta dal magistrato sulla delicatissima questione del 41bis. “L’applicazione del 41 bis, il carcere duro, per i boss arrestati è uno strumento essenziale. Perché impedisce ai capi di Cosa nostra di avere contatti con l'esterno”, ha affermato. "E' imprescindibile che possano comunicare con l'esterno", spiega. Il magistrato ritiene che l'uso del vetro che separa un boss "dal proprio nipote" è un modo "per impedire che il boss in carcere possa mandare messaggi all'esterno". "Il 41 bis - ha aggiunto - non va inteso come un provvedimento eterno ma che deve tenere conto sia del ravvedimento del sottoposto al carcere duro ma soprattutto della situazione esterna e non parlo di Cosa Nostra". "Questo regime si applica prevalentemente a condannati all'ergastolo - ha dichiarato - che non hanno prospettive di tornare in libertà. Fermo restando l'assoluta validità del regime, va tarato". "Vanno assicurati spazi congrui - ha commentato - ma il regime 41 bis per come viene raffigurato come forma di tortura è veramente lontano dalla realtà. Sono in una condizione carceraria peggiore soggetti ristretti in 5 o sei, di etnie diverse, in un carcere ordinario". "Noi oggi se proponiamo il 41 bis per un soggetto siamo in grado di vederlo ristretto al carcere duro senza lunghe attese”. Sempre rimandando sugli strumenti antimafia da salvaguardare e potenziare De Lucia ha parlato del sequestro e della confisca dei beni disciplinata dalla legge Rognoni-La Torre.
"E' fondamentale il sequestro e la confisca dei beni dei boss mafiosi. Se immaginiamo che un giovane di Brancaccio senza prospettive occupazionali e culturali vede nel mafioso con la moto di grossa cilindrata, comprata con la droga, un modello, l'idea di confiscare quella moto e poi di affidarla alle forze di polizia vuol dire mettere sulla moto quelli che loro chiamano 'sbirri'. E questo ha una importanza superiore di appropriarci del bene”, ha spiegato.

Il punto su Cosa Nostra e Messina Denaro
Quindi il procuratore ha parlato della Cosa Nostra di oggi. “Cosa Nostra è indebolita ma tutt'altro che sconfitta, anzi, in questo momento debolezza cerca di ristrutturarsi anche con la ricerca di nuovi capitali”, ha detto evidenziando il ritorno alla ribalta della Stidda. “Cosa Nostra - ha sottolineato - attualmente attraversa una fase di crisi che nasce dal '92: da allora in poi l'azione di contrasto da parte dello Stato ha avuto un carattere di continuità, continuità che mette in crisi l'organizzazione mafiosa". E sulle indagini riguardanti la rete di protezione di Matteo Messina Denaro, nonché sui suoi tesoretti sparsi per il mondo, De Lucia ha affermato di aspettare risposte dalla Tunisia.

La ricattabilità dei politici che sniffano
Nel corso dell’audizione c’è stato spazio alle domande dei parlamentari. Il deputato del Pd Giuseppe Provenzano ha rivolto al magistrato una domanda sull'inchiesta riguardante lo chef dei vip palermitano Mario Di Ferro che avrebbe ceduto cocaina, tra gli altri, anche all'ex presidente dell'Ars Gianfranco Miccichè. "Chiaramente il mercato della cocaina è illecito e chi acquista deve mettere in conto un contatto seppure indiretto con le mafie. E' possibile pertanto che chi compra si esponga al rischio di essere ricattabile e questo per un uomo delle istituzioni può essere un problema. Questa, però, è una valutazione che noi magistrati non facciamo. Noi dobbiamo fare processi, ma, in astratto, se tu ti rivolgi a un mercato illecito e ricopri un ruolo corri dei rischi”, ha commentato il procuratore di Palermo. “Il consumo di droga è una piaga diffusa in tutta la popolazione e da parte nostra non c'è alcun giudizio morale. - ha aggiunto - Noi quando costruiamo l'imputazione abbiamo il dovere di consentire all'indagato di conoscere gli estremi delle accuse a suo carico. Per cui se accuso tizio di aver venduto a caio, devo dire chi era caio e dare le indicazioni per dimostrare che la cessione è avvenuta". De Lucia ha affermato che per far fronte alla pericolosa espansione del traffico di crack a Palermo sarebbe utile "un controllo militare sul territorio per un periodo che scoraggi la distribuzione".

Foto di copertina © Deb Photo

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