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L’Onu approva una risoluzione di condanna alla Russia ma non spinge per la pace mentre la Cina propone un piano di 12 punti, bocciato da Ue e NATO

Sono trascorsi 365 giorni da quando le truppe di Vladimir Putin hanno invaso illegalmente l’Ucraina dando inizio a un’escalation senza precedenti in Europa. Ad un anno di distanza abbiamo chiaro solo alcuni aspetti di questo conflitto. Sappiamo il numero di vittime civili (quello dei soldati in campo viene gonfiato e sgonfiato a seconda degli schieramenti); sappiamo il numero di profughi (circa 7 milioni); i territori conquistati e perduti; le stragi, vere o presunte; le ragioni che hanno portato, illegittimamente, i russi ad avviare quella che ancora chiamano “operazione militare speciale”; le richieste di Volodymyr Zelensky all’Occidente riguardo ai rifornimenti di armi, sempre più incessanti e sempre più esigenti. E sappiamo anche quanto l’Europa ha speso per questa guerra sia in termini economici (le sanzioni hanno fatto più male a noi che a Mosca) sia in termini di aiuti militari. Quello che non sappiamo è su quale piano topografico o politico si traccerà la “linea rossa” oltre la quale questo conflitto non dovrà più proseguire. In parole povere, manca la risposta alla domanda delle domande: quando finirà tutto questo? Sul punto ne sono state dette tante ma ogni previsione (c’è chi parlava di una guerra lampo e chi ne prevedeva la fine con l’anniversario della vittoria dell’URSS sul nazismo) è caduta sul nascere. Oggi si parla addirittura di una guerra che si protrarrà per vent’anni. Follia. Ma il rischio c’è, anche perché tutti i tentativi di dialogo, tutti i tavoli diplomatici sono finiti in cenere, sia come conseguenza dei crimini efferati che andavano compiendo entrambi gli schieramenti, sia per colpa di incessanti pressioni politiche, soprattutto da parte di Washington su Kiev. Sembrano un ricordo lontano le trattative intavolate nella scorsa primavera prima in Bielorussia e poi in Turchia. In quel periodo si era accesa una fiammella di speranza per una pace tra i due popoli. Indelebili le dichiarazioni che Zelensky aveva fatto a inizio marzo: “Su Crimea e Donbass con la Russia possiamo discutere e trovare un compromesso”. Oggi è impensabile rivedere a una tale apertura. Quella spinta al confronto è completamente inabissata, sia da parte ucraina che da parte russa.


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© Imagoeconomica


Non si vede luce in fondo a questo tunnel e le alternative che si prospettano sono tutte tragiche: o guerra di logoramento o guerra totale, cioè terza guerra mondiale che con ogni probabilità avrà luogo con armi nucleari. A un anno da quel 24 febbraio, paradossalmente, l’incertezza sulla fine del conflitto è l’unica certezza che abbiamo sul conflitto. Un ossimoro che calza a pennello con il tenore della risoluzione approvata ieri dell’Assemblea Generale dell’Onu con 141 voti a favore, 7 contrari e 32 astenuti. Una risoluzione in cui si sottolinea "la necessità di raggiungere, il prima possibile, una pace completa, giusta e duratura” ma che di fatto cammina sul filo dell’utopia squarciando ancora di più il velo di incertezza sul futuro di questa guerra. Il testo, infatti, "ribadisce l'impegno per la sovranità, l'indipendenza, l'unità e integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti" e chiede "la cessazione delle ostilità e il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze militari russe”. In pratica si chiede alla Russia di arrendersi e di rinunciare a tutte le istanze. Mentre all’Ucraina non viene chiesto nulla in cambio per un dialogo. Eppure in tutte le guerre affinché si raggiunga la pace si devono trovare compromessi. Perché la pace, come diceva Yitzhak Rabin, “la si negozia tra nemici”. La risoluzione, invece, non prevede “do ut des”, ma solo una resa incondizionata. E infatti, come era ovvio, la Russia (insieme a Siria, Bielorussia, Eritrea, Nord Corea, Nicaragua e Mali) ha risposto picche votando contro la risoluzione. Così si torna punto e accapo.
L’unica nazione che in questo momento sta lavorando per cercare un cessate il fuoco è la Cina, che ieri si è astenuta insieme ad altri 31 Paesi. Il ministero degli Esteri cinese, in occasione dell’anniversario della guerra in Ucraina, ha diffuso una coraggiosa proposta di pace di 12 punti denominata: 'Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina’. In realtà l’obiettivo di Pechino è più raggiungere una de-escalation che una pace tra i due paesi. Ma è comunque un grande passo. Il piano prevede la messa in sicurezza dei civili, lo stop alla “mentalità della Guerra Fredda”, il rispetto del diritto internazionale umanitario, ma anche la contrarietà agli attacchi contro le centrali nucleari e il sostegno a un incontro tra Russia e Ucraina per un negoziato come unica “via d’uscita possibile”.


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Il piano, anche se accolto positivamente dal cancelliere tedesco Olaf Scholz e dal premier Spagnolo Pedro Sánchez, ricevendo persino una piccola apertura da Zelensky, è stato subito bocciato da Bruxelles e dalla NATO. Quel documento non è “un piano di pace”, ha detto Ursula von der Leyen, bensì sono “dei principi” che “vanno visti su uno sfondo specifico, quello di una Cina che ha scelto di stare dalla parte” della Russia. Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, è stato ancor più lapidario. "La Cina non ha credibilità perché non ha mai condannato l'invasione della Russia e ha firmato qualche tempo prima dell'invasione russa un accordo per una partnership senza limiti con Mosca". E’ chiaro che l’Europa, come il mondo intero in realtà, sia spaccata sulla guerra in Ucraina. C’è chi è per le sanzioni a Mosca, chi è contro, chi per l’invio di armi, chi per lo stop, chi vuole la pace e chi la sconfitta militare della Russia. L’impressione è di essere davanti a tanti vettori che, contrapponendosi, fanno “forza 0”. Non c’è movimento, non c’è una posizione univoca europea come ai tempi dell’emergenza Coronavirus. E questo non fa altro che allungare il conflitto a discapito dei civili ucraini, dell’Ucraina in sé e dell’economia dei cittadini europei (l’Ue in un anno di guerra ha sborsato a Kiev la bellezza di 35 miliardi di euro in aiuti militari e umanitari). Gli unici a spingere perché questo conflitto non cessi sono i colossi delle armi. Su tutte, quelli d’oltreoceano come Lockheed Martin, Raytheon technologies e Boeing. Secondo il “Kiel Institute for the World Economy”, un istituto tedesco di ricerca, il Congresso americano ha inviato aiuti all'Ucraina per più di 75 miliardi di dollari. Una somma di portata storica per un Paese che passeggia sullo strapiombo della recessione. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea, Italia inclusa, da 12 mesi forniscono i soldati ucraini di addestramenti speciali, fucili, munizioni, missili anticarro, missili antiaereo, blindati, carri armati e ora, forse, forniranno anche aerei caccia (nonostante i tentennamenti iniziali). Dal 24 febbraio ad oggi le richieste di Zelensky sono aumentate di numero e di livello. L’Ucraina vuole sempre più armi, sempre più sofisticate. Ma i risultati sul campo scarseggiano e in Occidente cresce lo scetticismo, come si evince dall’ultima spedizione, di quantità nettamente inferiore rispetto a quanto si aspettava Zelensky. Viene quindi da chiedersi fino a quando l’Europa potrà assuefare la “dipendenza” di Kiev? E quale sarà la “linea rossa” da tracciare perché i cannoni smettano di fumare? E, soprattutto, quando verrà tracciata. Sono domande a cui solo la NATO, Kiev e Mosca possono rispondere. Speriamo solo di non ritrovarcele il 24 febbraio 2024.


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