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Il procuratore aggiunto di Firenze sulla presenza di stazioni di polizia in suolo italiano: “Non si riesce a capirne il significato”

L’apertura di queste stazioni di polizia appare una mera duplicazione dei consolati. Potrebbe sorgere la preoccupazione che possano essere dei silenti avamposti per controllare i cittadini cinesi che vivono in Italia”. Queste le parole che il procuratore aggiunto della procura di Firenze, Luca Tescaroli (in foto), ha rilasciato durante la sua intervista con la rivista “L’Espresso” per commentare la presunta rete di centri di polizia cinesi attivi in Italia. L’esistenza di queste stazioni, in Italia se ne calcolano ben undici, sta preoccupando la politica e l’opinione pubblica perché si teme che siano pensate con lo scopo di sorvegliare, punire e rimpatriare dissidenti. “Non si riesce a capire il significato di queste stazioni di polizia: se sono uffici per il disbrigo pratiche amministrative, questa è una attività tipica dei consolati che si prodigano per agevolare i cittadini cinesi anche attraverso il rilascio dei passaporti o delle patenti”. Se invece dovessero trattarsi di centri di controllo di cittadini cinesi in Italia, “questa è una finalità non del tutto commendevole in un'ottica di leale collaborazione” tra Roma e Pechino. “Di sicuro, da queste stazioni noi come inquirenti non abbiamo tratto alcun beneficio sia in termini di dialogo che di collaborazione investigativa”.

Una circostanza che andrebbe esaminata con le dovute attenzioni dal momento che la presenza della criminalità organizzata cinese in Toscana, come in altri territori italiani, risulta essere ben radicata e agevolata da “una comunità ancora caratterizzata da una forte omertà e chiusura verso l’esterno”. Difatti, come ha ribadito il procuratore Tescaroli, “solo a Prato, abbiamo seimila imprese cinesi e su Firenze altre quattro mila aziende. E le infiltrazioni sono molteplici, tanto che abbiamo dedicato un'intera unità della Dda alla criminalità cinese”.

Anche se la presenza cinese in Italia risulta essere un valore aggiunto importante, secondo Tescaroli, rimane il problema dell’integrazione che “deve avvenire anche sotto il profilo giuridico. Occorre ad esempio che si attui con il rispetto degli obblighi tributari, per non drenare illecitamente risorse che dovrebbero affluire nelle casse dello Stato. - ha aggiunto - Abbiamo un trattato che prevede una assistenza giudiziaria firmato il 7 ottobre del 2010 e ratificato da entrambi i Paesi. Nelle attività di collaborazione in concreto non abbiamo però trovato molta disponibilità da parte della Repubblica popolare cinese. Sarebbe necessario invece potenziare e migliorare questo rapporto - ha ribadito Tescaroli -; penso sia di interesse anche dello Stato cinese per migliorare l‘integrazione economica insieme a quella giuridica, e contrastare insieme condotte criminali”.

Un dialogo costruttivo e circostanziato anche da indagini che hanno registrato numerose attività criminali, i cui proventi, sono finiti nelle casse dello Stato cinese sotto forma di criptovaluta (una delle monete digitali capaci di garantire l’anonimato durante le attività di riciclaggio di denaro, ndr). “Abbiamo chiesto di sapere a chi erano intestati quei conti - ha ricordato Tescaroli durante la sua intervista -. Ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta”.

Foto © Paolo Bassani

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