Ritardi, errori burocratici e difficoltà nelle traduzioni fanno slittare il procedimento
“La Cina è vicina”, oltre ad essere il titolo di un celebre film del 1967 diretto da Marco Bellocchio, è anche una espressione adottata da chi vede la prossimità di un pericolo. Ancora oggi questa affermazione viene utilizzata per evidenziare i pericoli dell’influenza del colosso comunista, ad esempio, nelle logiche di mercato e nelle questioni geopolitiche. Un po’ meno, per non dire mai, quando si tratta di criminalità organizzata. Eppure, sotto questo profilo, la Cina è molto più vicina di quanto si possa pensare. Non godendo della stessa notorietà di quella nostrana – Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita – la “mafia cinese” non desta grandi sospetti. Eppure, lenta ma inesorabile continua ad espandersi in molte regioni d’Italia. Nemmeno le inchieste riescono a fare notizia, salvo qualche eccezione per alcuni quotidiani locali. Un esempio è “China Truck”, l’inchiesta che secondo la Dda di Firenze e la Squadra mobile di Prato, non solo ha smantellato una delle principali organizzazioni mafiose cinesi in Europa la cui base era nella cittadina toscana, ma ne ha svelato forse per la prima volta i meccanismi, il peso e le caratteristiche.
Era il 2010 quando, per un regolamento di conti, due giovani cinesi vennero fatti a pezzi in un ristorante con un machete. Da quel duplice omicidio scattò l’indagine. Tra i nomi del sodalizio c’è anche Zhang Naizhong, artefice di una pax fra bande criminali la cui guerra aveva già fatto una quarantina di morti, e ritenuto la mente di quel gruppo criminale. Di “China truck” si parlò per la prima volta nel 2018 quando l'indagine della Dda di Firenze e della Squadra mobile di Prato, all'epoca diretta da Francesco Nannucci, portò ad una lunga serie di arresti, denunce, perquisizioni e sequestri. Lungo l'elenco delle contestazioni mosse, a vario titolo, nei confronti degli appartenenti all'organizzazione: estorsione, usura, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, gioco d'azzardo. Gli arresti vennero annullati venti giorni dopo dal Tribunale del Riesame di Firenze che non rilevò “gravi indizi” di colpevolezza tali da contestare l’esistenza di un sodalizio mafioso. Successivamente la Cassazione confermò la sentenza in due pronunciamenti. Contrario, invece, il Gup di Firenze che nel 2021 decise di portare alla sbarra per la prima volta proprio la “mafia cinese”.
In alto a destra: Zhang Naizhong
Se si tratta di “stampo mafioso”, lo decideranno i giudici di Prato in un processo che però non riesce a partire per cavilli legali, difficoltà di traduzioni, reperibilità degli imputati, come spesso accade nei procedimenti che coinvolgono le organizzazioni criminali straniere (come, ad esempio, la “mafia nigeriana”). Le indagini nel gennaio 2018 culminarono con 70 indagati e 33 arresti, tra cui Naizhong, ritenuto “l’uomo nero”, il “capo dei capi”, il boss della Triade in Italia con l’accusa di controllare la logistica merci delle aziende cinesi pratesi e di altre città italiane da e verso mezza Europa imponendo le ditte di trasporto. Attività corroborata da estorsione, usura, riciclaggio, sfruttamento della prostituzione, spaccio, gioco d’azzardo, reati ora contestati a vario titolo a 55 imputati.
Grazie ad un’inchiesta realizzata assieme alla Cnn e Le Monde, sulla presenza di uffici di polizia cinesi in Italia creati ad hoc per rimpatriare i dissidenti, L’Espresso (04.12.2022) ha riesumato la vicenda del complesso iter giuridico dell’inchiesta “China track” con un articolo di Sara Lucaroni. Lo scorso 11 novembre, infatti, l’udienza è stata rinviata per la terza volta a causa di difetti di notifica ad alcuni dei quarantadue imputati (in larga maggioranza cinesi) finiti alla sbarra con l'accusa di aver fatto parte di un sodalizio mafioso che dettava legge nella comunità cinese. Se ne riparlerà il 10 marzo 2023. Uno slittamento di quattro mesi dopo che lo scorso 23 settembre tutto era stato rinviato perché non si trovavano i 56 faldoni che costituiscono il fascicolo penale. Il 16 febbraio, invece, data di inizio del processo, il rinvio era dipeso dall’accoglimento delle istanze di impedimento presentate da alcuni difensori. In questa catena di imprevisti non c'è pace e il processo che per la prima volta porta a dibattimento l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso a carico di cittadini cinesi non riesce ad avviarsi. Col rischio, sempre più concreto, come ha sottolineato la Lucaroni, “che molti reati finiscano in prescrizione”.
“Le 5.000 pagine di informativa ricostruiscono circostanze, metodi, potenza economica, timori e omertà non sul territorio ma dentro le comunità, i legami verticistici in Cina, e l’ascesa e gli affari milionari di Naizhong – si legge su L’Espresso -. Per il 62enne originario del Zhejiang, il 19 settembre è però arrivata la prima assoluzione, sempre a Prato, nel processo stralcio di ‘China Truck’”. Naizhong, accusato di un episodio di usura risalente al 2011, è stato assolto dai giudici pratesi perché “il fatto non sussiste”. Colui che si autoproclama “boss dei boss” risulta essere ufficialmente un imprenditore nel settore logistico. “Stando alle carte, le società risultano affidate a prestanome e sempre lui sarebbe beneficiario finale dei proventi di sale da gioco illegali, estorsioni, droga, prostituzione e riciclaggio – ha evidenziato la Lucaroni -. Giri milionari: nei camion dell’organizzazione, oltre alle merci, viaggiavano anche scatole di banconote da 500 euro. Residente a Roma, ma temuto e riverito nelle più grandi comunità cinesi italiane ed europee, a Prato la polizia lo riprende mentre all’interno un ristorante riceve «l’inchino» di decine di connazionali arrivati in auto di lusso per omaggiarlo. Lusso che sfoggia anche al matrimonio del figlio nel 2013: all’hotel Hilton di Roma gli invitati li aveva fatti arrivare a bordo di Ferrari e Lamborghini noleggiate, 500 gli ospiti giunti anche da Francia e Cina, 80 mila euro di conto saldato in contanti”.
Che le organizzazioni criminali cinesi fossero “vicine”, ovvero presenti e operanti in Italia, è un dato ormai noto negli ambienti investigativi. Secondo la relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia (2° semestre 2021), infatti, la criminalità organizzata cinese in Italia “si è dotata nel tempo di una strutturazione gerarchica incentrata principalmente su relazioni familiari e solidaristiche”. I sodalizi cinesi si caratterizzano per la loro “sostanziale impermeabilità rispetto ad altri gruppi criminali, che li rende chiusi e inaccessibili da contaminazioni o collaborazioni esterne”. Infatti, “solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni italiane o la costituzione di piccole consorterie multietniche per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti”. Reati che sono emersi anche nell’inchiesta “China Truck”. Non resta che attendere la prossima udienza fissata al 10 marzo 2023 sperando che, almeno questa volta, non si verifichi un ulteriore imprevisto. Vincere questa “dama cinese” potrebbe essere un buon modo per rendere evidente agli occhi di tutti la presenza di questa mafia lungo tutto il territorio italiano.
Foto originali: it.depositphotos.com
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