A Catania intervengono la figlia, Luana, e il pm Pasquale Pacifico
Un omicidio di Stato. Così si può certamente definire l'assassinio di Luigi Ilardo, ex boss di Cosa nostra nissena in passato capomafia della provincia di Caltanissetta poi divenuto confidente del colonnello Michele Riccio e ucciso, il 10 maggio 1996, prima di divenire definitivamente collaboratore di giustizia. Da allora sono passati ben 28 anni e nonostante siano stati condannati i mandanti e gli esecutori mafiosi del suo omicidio (Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano) non si può certo dire che la verità sul caso sia ancora completa. Sono troppi gli interrogativi inevasi dietro ad una storia che si intreccia inevitabilmente con quella della trattativa tra Stato-mafia e la latitanza del boss corleonese Bernardo Provenzano.
Anche di questo si è parlato venerdì al Coro di Notte di Catania, presso il monastero dei Benedettini con la testimonianza della figlia, Luana Ilardo, l'intervento del procuratore aggiunto di Caltanissetta Pasquale Pacifico e Anthony Barbagallo, segretario regionale del PD Sicilia e segretario dell’Ufficio di presidenza della commissione nazionale Antimafia, moderati da Anzalone.
Tutti hanno confermato come l'eventuale collaborazione con la giustizia di Ilardo avrebbe potuto provocare un vero terremoto all'interno dei più alti gangli del potere.
Paragonabile per importanza, secondo Pacifico, a quell'effetto che si vide a Palermo quando si pentì Tommaso Buscetta. Del resto grazie al suo contributo da infiltrato aveva permesso già la cattura di svariati boss e a Riccio aveva anche parlato dei mandanti esterni delle stragi del '92 e del '93, dei rapporti deviati con la Massoneria ed altre entità esterne a Cosa nostra che il confidente aveva avuto modo di conoscere. Di tutto questo avrebbe parlato ai magistrati una volta entrato nel programma di protezione. Non vi fu il tempo. La sera del 10 maggio 1996, a Catania, in via Quintino Sella venne ucciso a colpi di pistola.
“La collaborazione di Luigi Ilardo – ha ricordato il procuratore aggiunto di Caltanissetta – è indubbiamente un'occasione mancata per conoscere la verità. L'infiltrazione di Ilardo in Cosa nostra aveva un obiettivo dichiarato che era la cattura di Bernardo Provenzano. Un obiettivo che non si è realizzato, dicono alcune sentenze, per dabbenaggine, ma non ne sono così convinto, di un qualcuno che aveva avuto la stessa dabbenaggine nel non perquisire il covo di Totò Riina. Ma questo dicono le sentenze passate in giudicato”.
E poi ancora: “Quelle sono due sentenze fotocopie che, pur stigmatizzando una serie di scelte sbagliate, che si sono rivelate sbagliate sul piano investigativo a posteriori, concludono dicendo che non c'è la prova che quelle scelte sbagliate siano state fatte in malafede per favorire Cosa nostra. Certamente sono sentenze che lasciano pensare. Ora, come dissi nella requisitoria del processo Ilardo, o gli elementi di vertice delle investigazioni in Italia erano tendenzialmente scarsi o c'è dell'altro. Perché non si possono sbagliare certe cose. Si addensano i sospetti. Fa pensare che tutta quella linea direttiva del Ros transita ai servizi. Ecco qualche dubbio del perché queste scelte operative sbagliate siano state commesse lo abbiamo ancora”.
“Ilardo – ha proseguito – non solo ha portato alla possibilità di arrestare Provenzano il 31 ottobre 1995, ma ha anche parlato per primo di una riunione che si tenne alla fine degli anni Ottanta a Palermo e che sanciva l'ingresso ufficiale tra Cosa nostra e la massoneria. Inoltre racconta dei rapporti con soggetti come Gianni Chisena, soggetto collegato con ambienti di servizi deviati, con l'estrema destra e con Luigi Savona, altro personaggio depositario di segreti di un certo ambito”. Per tutti questi motivi è chiaro che Ilardo era una figura centrale.
Un altro argomento chiave è l'accelerazione del delitto. I processi fin qui celebrati hanno stabilito in maniera chiara la responsabilità di Cosa nostra nel delitto ma quel che ad oggi resta avvolto nel mistero è come cosa nostra catanese venne a sapere della volontà di Ilardo di collaborare. In questi anni è emerso dalle dichiarazioni dell'ex boss di Caccamo, oggi pentito, Antonino Giuffrè, che vi fu una fuga di notizie da ambienti giudiziari nisseni, ed anche il colonnello Michele Riccio confermò il dato dopo alcuni colloqui avuti con un altro ufficiale dell'Arma.
Luana Ilardo e Pasquale Pacifico
“Un momento chiave – ha detto Pacifico – è certamente l'incontro del 2 maggio che Ilardo ebbe con le Procure di Caltanissetta e Palermo. È in quella sede che anche plasticamente, attraverso il ricordo che fa Riccio, si comprende come vi fosse una volontà di fermare Ilardo che, durante quella deposizione, era un fiume in piena. E la cosa surreale è che di questo incontro in cui Ilardo parla per oltre tre ore, non c'è alcuna traccia. Non fu fatto un verbale o una relazione di servizio. Forse furono presi degli appunti, poi perduti. Poi, dopo questo incontro, si commette un'altra dabbenaggine che è quella di consentire a Ilardo di tornare a Catania senza alcuna protezione. È evidente che l'accelerazione che ci fu portò al fatto, come logica conseguenza, che vi fu una fuga di notizie. Una fuga ricostruita solo in parte proprio grazie alle dichiarazioni di Riccio e a quelle di alcuni collaboratori di giustizia. Ma un'altra stranezza è la strana notifica che venne fatta di un provvedimento giudiziario per Ilardo, che serviva a garantire che potesse rimanere a piede libero e che stranamente viene effettuata non presso la casa di Ilardo, ma a Gela nelle mani di Maria Stella Madonia. Nulla ci impedisce di ritenere che quella sia stata quantomeno una pesantissima leggerezza che abbia potuto portare la conferma del fatto che Luigi Ilardo stesse collaborando con la polizia giudiziaria”.
Una storia incredibile. “Mio padre non ha mai avuto una residenza diversa da via Quintino Sella – ha ribadito Luana Ilardo -. È imbarazzante e inspiegabile come una notifica di quel tipo, di quella delicatezza, sia stata consegnata a cento chilometri di distanza a casa dei Madonia. Addirittura nelle mani di una donna che in quel periodo storico si sapeva era in diretto contatto con Piddu Madonia nel carcere di Opera. E lo stesso era l'unica in collegamento con Bernardo Provenzano. È la prova del nove di ciò che hanno permesso. Poi abbiamo le stranezze attorno all'omicidio. Mio padre è stato assassinato da una persona che era condannata all'ergastolo e che doveva essere a regime penitenziario. E invece Maurizio Zuccaro era libero e girava per pianificare l'omicidio. Questo fa capire tante cose”. Di questi fatti si è occupata anche la Commissione parlamentare antimafia nella scorsa legislatura. È lì che Luana Ilardo è stata sentita ed ha parlato di tutte le anomalie del caso. “Io non voglio perdere la speranza – ha detto Luana – anche se guardando a fatti come la strage di Ustica, Moby Prince, Portella della Ginestra, la fiducia vacilla. Io voglio comunque credere che lo Stato possa avere il coraggio di ammettere le proprie responsabilità. Certo, forse non vedrò questi uomini pseudo istituzionali in galera, ma almeno vorrei che le loro responsabilità siano scritte nero su bianco. Così da poter diffondere a tutti quelle parole che oggi spesso vengono dimenticate. Papà ci manca. Manca a tutta la famiglia. E andremo avanti per raccontare questi fatti perché noi la verità la vogliamo completa. Non solo un pezzettino”.
Foto © Aaron Pettinari
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