Secondo il magistrato “il Ros aveva il dovere di riferire alla procura e non di cercare coperture dalla politica”
“Non siamo pronti per conoscere e accettare laicamente cosa realmente accadde nel biennio delle stragi, abbiamo delegato la ricerca della verità ai giudici e solo i nostri pronipoti riusciranno a capire cosa è accaduto in Italia dal 1992 al 1994”. A dirlo al quotidiano La Repubblica, è Alfonso Sabella, ex magistrato del pool antimafia di Palermo che catturò i capi mafia Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Pietro Aglieri. Intervistato sul tema della sentenza di appello del processo Trattativa Stato-mafia, l’attuale giudice a Napoli ha affermato: “Ho letto di sconfitta, disfatta della procura di Palermo. Nulla di tutto questo è successo. I giudici d’Appello hanno confermato l’esistenza della trattativa, della minaccia di Cosa nostra allo Stato e dell’interlocuzione del Ros con i mafiosi. La ricostruzione è confermata, è mancato l’elemento soggettivo nei confronti degli uomini di Stato. La loro assoluzione dimostra che agirono per la ragion di Stato e non per minacciare il corpo politico dello Stato”, ha spiegato. Alla domanda riguardo al fatto che i Carabinieri agirono al di fuori del perimetro investigativo il magistrato ha detto che “dobbiamo ripensare all’Italia nel 1992, vorrei ricordare l’espressione del viso atterrita dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi nel 1993 sul luogo delle bombe a Firenze. Eravamo un Paese in ginocchio ed è chiaro che l’intelligence, in questo caso il Ros, cercò di fermare le bombe. Possiamo discutere se fosse opportuna, se fossero loro i soggetti deputati, ma per chiedere una condanna vanno dimostrati i rilievi penali sui singoli comportamenti”. Sempre sul tema, in particolare sulla possibilità che gli imputati del processo appartenenti al Ros agirono da soli
Sabella ritiene “irreale pensare che si sia trattato di iniziativa autonoma di tre ufficiali, rimane da capire chi diede loro l’input. Ecco, questo è ciò che manca nel processo. Detto questo l’intervento del Ros fu un grave errore strategico politico ed etico. Fu sbagliato far capire alla mafia che lo Stato era pronto a scendere a patti”. “Per catturare Bagarella, Brusca o Aglieri, - ha sottolineato Sabella - non sono sceso a patti con nessuno”. Il processo e le indagini, a detta del magistrato siciliano, “ci hanno consegnato una ricostruzione puntuale di quanto è successo e le condanne dei boss dimostrano che andava fatto. È mancato l’elemento soggettivo per gli ex ufficiali dell’Arma. Il concetto del non potevano non sapere non è stato sufficiente. Va detto che il Ros aveva il dovere di riferire alla procura e non di cercare coperture dalla politica”.
In conclusione Sabella risponde a come può il Paese arrivare alla verità piena sulla trattativa.
“Solo una commissione parlamentare d’inchiesta che abbia i poteri dell’autorità giudiziaria, ma non sia legata a dover dimostrare le singole condotte delittuose può far luce su quegli anni”.
Foto © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
Sentenza trattativa: le domande di Pablo Ernesto
Processo trattativa, le condanne sono solo per i ''soliti'' mafiosi
Con chi trattarono i boss? Con i fantasmi?
Italia, dove lo Stato può trattare con la mafia perché non c'è reato
Piera Aiello: sentenza Stato-mafia è ''vergognosa''
Borrometi: ''Forse mai avremo verità processuale sulle indicibili trame del Paese''
Da Mori a Dell'Utri, al processo trattativa chiesta la conferma delle condanne
Processo Trattativa: inizia la requisitoria, Marcello Dell'Utri in aula
Processo Trattativa Stato-mafia, slitta al 24 maggio la requisitoria
Processo trattativa: condannati gli ufficiali del Ros, Dell'Utri e i boss mafiosi
Trattativa: dopo le (storiche) condanne la pretesa di verità si fa ancora più forte