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L'intervento del sostituto procuratore nazionale antimafia al festival organizzato da WikiMafia a Milano

I test psicoattitudinali per i magistrati sono "una norma di pura propaganda che tende ad associare nell'immaginario collettivo la figura dell'aspirante magistrato con quella del disturbato mentale. L'aveva anticipato l'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con una sua esternazione. So che mi attirerò per l'ennesima volta accuse di essere politicizzato oppure di vedere una cosa" secondo una visione "complottistica": "Potrei dare 5 punti di convergenza tra queste riforme e quelle auspicate dal piano di rinascita democratica di Licio Gelli; anche questa norma sui test psicoattitudinali ai magistrati è in quel famoso piano di rinascita democratica".
Sono state queste le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo intervenuto durante il convegno organizzato a WikiMafia a Milano 'L'impegno di Tutti' in merito all'introduzione di test psicoattitudinali per i magistrati con il quale si dovrebbe 'misurare' la capacità dell'aspirante a ricoprire tale incarico.
Di Matteo è andato dritto al punto: "L'attitudine a fare il magistrato si misura sul campo ed è un'attitudine che è fatta di equilibrio, di serenità, ma anche di forza, di coraggio, di entusiasmo, di capacità di non essere conformisti, di capacità di sapere decidere anche in funzione evolutiva rispetto alla giurisprudenza che già si è consolidata. L'equilibrio di un magistrato si misura sul campo. E guardate che questa norma introduce comunque anche un varco ad una valutazione esterna, dello psicologo o non si sa chi".
Questa nuova trovata del ministro della giustizia, unita ad altre riforme del passato (come nel caso della Riforma Cartabia) "sta creando da una parte sempre più un sistema di controllo della magistratura e dei magistrati che il potere considera inaffidabili, non perché sono scarsi o non preparati, ma perché sono indipendenti. Dall'altra parte si sta creando un sistema di una giustizia a due velocità: tutte queste norme creano uno scudo di protezione nei confronti dei potenti, perché indeboliscono il controllo di legalità della magistratura non in generale, ma soprattutto riguardo alle manifestazioni criminali tipiche dei colletti bianchi". "Io credo - ha continuato - che noi magistrati" abbiamo "non solo diritto, direi anche il dovere di esporci, di parlare, a costo di essere considerati scomodi, a costo di essere completamente isolati, perché noi abbiamo giurato sulla Costituzione della Repubblica, abbiamo il dovere di difenderla in ogni caso. Questo è quello che penso. Dobbiamo avere capacità di visione d'insieme di tutte queste riforme, capacità e voglia di contrapporci in maniera concreta. Io per esempio, ma questa è la mia opinione, rispetto la proclamazione di un'iniziativa di protesta dura, ma siccome in questo momento la magistratura sconta ancora la crisi di credibilità, alcuni pensano che la via migliore per recuperare la credibilità possa essere il compromesso, il dialogo con la politica. Non si rendono conto che invece l'unico modo che noi abbiamo per recuperare la nostra credibilità sta nella correttezza dei comportamenti quotidiani, nell'indipendenza e nella capacità di essere e anche apparire all'esterno fieri oppositori di chiunque mina alla base il nostro assetto costituzionale in materia di giustizia".


dimatteo video wikimafia


La sentenza di Cassazione del processo Trattativa Stato - Mafia

Di Matteo è tornato anche a parlare della sentenza del processo trattativa con cui sono stati assolti gli alti ufficiali del Ros che intavolarono il dialogo con Cosa nostra.
"Io credo - ha detto - che le sentenze, naturalmente tutte, debbano essere rispettate, ma possono essere criticate anche quelle della cassazione. I giudici della Cassazione non possiedono il crisma della infallibilità, anche se le loro sentenze sono quelle che non possono essere impugnate. A maggior ragione io credo che questa sentenza meriti delle critiche". Prima fra tutte sul lavoro della magistratura: questa sentenza "rappresenta uno spartiacque tra due epoche", "l'epoca delle grandi inchieste, su mafia e potere, e l'epoca della normalizzazione. Questa sentenza costituisce un monito anche per tutti coloro che in futuro saranno chiamati a indagare, a occuparsi di processi di cui i fatti devono essere esaminati e portati l'uno collegato all'altro. Perché questo avevano fatto i giudici di primo e secondo grado, collegare i fatti e calarli in un contesto sociale e politico del paese".
Ebbene - ha detto - "la Corte di Cassazione li ha bacchettati, pesantemente; giudici con 30 anni di esperienza, di primo e di secondo grado, giudici con esperienze di processi di mafia, che avevano avuto l'approccio giusto alla valutazione dei fatti, affermando nella sentenza della Cassazione che avevano adottato un approccio di tipo storiografico". "Soltanto un dato non sono riusciti a rimuovere i giudici della Cassazione": "Hanno dovuto ammettere che dopo la strage di Capaci, alti ufficiali dei Carabinieri avevano cercato il dialogo con Riina e Provenzano. Non lo hanno potuto negare questo" ha detto Di Matteo ricordando le parole che l'ex generale dell'Arma Mario Mori pronunciò davanti alla Corte di Assise di Firenze in merito al suo primo incontro con Vito Ciancimino: gli disse, 'signor Ciancimino, cosa è questo muro contro muro tra lo Stato e la mafia? Cosa vogliono questi per far cessare le stragi?' "Questo è un dato di fatto, è un dato di fatto, così come è un dato di fatto consacrato in sentenze definitive, che è al di là della volontà di quegli uomini dello Stato, questo atteggiamento dello Stato che iniziava a piegare le ginocchia, convinse Riina che la strategia dell'attacco frontale fosse quella giusta".
Il dialogo dei Ros con la mafia non evitò altre stragi ma ne provocò di nuove.
Tutto questo, ha ribadito il magistrato palermitano, non viene ricordato dai grandi media nazionali, anzi, secondo Di Matteo c'è "un vento di restaurazione" che soffia molto forte su queste vicende tanto che il mainstream "ha convinto gli italiani che questi fatti erano semplicemente frutto di ricostruzioni ipotetiche e complottistiche, che non è accaduto nulla, che le stragi sono sicuramente soltanto di Riina e di pochi altri e che magari sono state fatte solamente per vendicarsi di quei magistrati" che istruirono il maxi processo di Palermo.


Il rapporto mafia-politica

"Noi Stato ancora non abbiamo invece la consapevolezza che per sconfiggere veramente la mafia, per vincere la guerra sia necessario recidere i collegamenti con il potere," ha detto Di Matteo, ricordando una famosa frase di Salvatore Riina: 'Senza il rapporto con la politica saremmo stati una banda di sciacalli e ci avrebbero già rasi al suolo'.
Ma il "rapporto tra la mafia e la politica non potrà essere spezzato soltanto dalle sentenze dei giudici penali. Ci sono dei rapporti che non si concretizzano in fatti penalmente rilevanti o in fatti che possono essere provati come penalmente rilevanti, ma che sono ugualmente importanti. E allora, ogni volta che sentiamo di una nuova indagine su mafia e politica ci sono due tipi di reazioni". "La prima - ha detto - solitamente è quella dei colleghi di partito del soggetto coinvolto, che magari gridano al complotto della magistratura".
"Gli altri - ha raccontato - sono quelli che dicono 'aspettiamo la sentenza definitiva della magistratura. Non ci pronunciamo, abbiamo fiducia nella magistratura, aspettiamo la sentenza definitiva'. Ma ci sono dei fatti, dei rapporti, delle situazioni oggettivamente consolidate spesso in delle intercettazioni telefoniche o ambientali, che meriterebbero di essere valutate come spunto per far valere una responsabilità politica prima e a prescindere dall'eventuale responsabilità penale che la magistratura deve accertare e devono essere fatti valere con una responsabilità politica che significa esclusione dalle liste, incandidabilità, esclusione dal partito, dimissioni dagli incarichi di governo o altri incarichi ricoperti".

Foto @ Imagoeconomica

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