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Dopo Catanzaro, Gratteri si prepara a nuove sfide tra Camorra e soliti detrattori: “Per anni ho mangiato pane e veleno”

Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 19-10-2023.

Nella giornata di domani, il Procuratore Nicola Gratteri, dopo un lunghissimo periodo dedicato a combattere la ‘Ndrangheta all’interno della Procura di Catanzaro, si insedierà a Napoli, all’interno della Procura più grande d’Italia. Oggi, a poche ore dalla cerimonia di saluto che si è svolta ieri a Catanzaro, Gratteri ha rilasciato un’intervista straordinaria alla giornalista del “Corriere della Sera”, Elvira Serra. Così, conversando a cuore aperto, ha raccontato della gioventù trascorsa a Locri, della sua famiglia, ma anche degli episodi che lo hanno segnato nel profondo, forgiando per questo il carattere e l’imparzialità che, negli anni, hanno dato filo da torcere alla ‘Ndrangheta. “Facevo le medie a Locri, spesso da Gerace ci andavamo in autostop. Durante uno di quei viaggi vidi dei morti a terra. Poi li ho visti anche vicino a scuola”. Con queste parole, Gratteri ha ricordato la sua adolescenza, trascorsa tra coetanei e studenti, alcuni dei quali “erano figli di capimafia”. Poi, il ricordo di un arresto che lo ha segnato in modo particolare: “Il mio compagno di giochi in campagna, quando andavo dagli zii, perché aveva un arsenale di armi”. E ancora: “Con un amico giocavamo sempre a pallone davanti a casa mia, in uno spiazzo di terra battuta, con vetri, chiodi. Quando tornavamo a casa - ha ricordato - dovevamo stare attenti a non zoppicare sennò erano botte, perché il gioco era tempo perso, bisognava solo studiare e se avanzava tempo andare nei campi ad accudire gli animali, mucche, capre, pecore, galline, conigli, tacchini, tutto quello che c’è in una piccola fattoria. Lui era emigrato a Torino con la famiglia. Molti anni dopo lo ritrovai su un veliero davanti alle coste di Miami con un carico di 800 chili di cocaina. In carcere mi impressionò la faccia, era bianco come la carta: le prigioni americane non sono come le italiane. ‘Mi sono rovinato la vita’, disse. Risposi che poteva ripartire da zero, bastava che collaborasse. Non collaborò”. Inevitabile il ricordo per i genitori, che con la loro umiltà hanno cresciuto cinque figli. “Mia madre aveva conseguito la terza elementare, mio padre la quinta. Lei casalinga, lui camionista: aveva un piccolo Tigrotto con mio zio Nicola e mio nonno. Non ci sono più da una decina d’anni. Ho fatto in tempo a farli preoccupare per me, ma erano orgogliosi. Di tutti e 5 i figli: una ha insegnato all’università all’estero, un altro è professore ordinario di medicina legale, poi ci sono io, uno è odontotecnico, la piccola è insegnante”.

Una vita sotto scorta
Pensando a cosa vuol dire vivere sotto scorta, Gratteri ha spiegato che ci sono giorni in cui si avverte il peso di una decisione non facile, ma necessaria. “Ci sono giorni in cui si soffre di più, viene la sindrome da soffocamento a non poter fare una passeggiata da soli, non poter andare in bicicletta, non uscire in moto. Penso di non fare un bagno al mare da 25 anni. Nella scorta ci sono otto-dieci persone fisse che mi proteggono, di più non è possibile. A questi si aggiungono quelli che quando mi sposto fanno i controlli, le bonifiche, portano i cani per sentire l’esplosivo. È abbastanza asfissiante. Mi costa tantissimo sul piano psicologico, bisogna avere nervi d’acciaio”.


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Ma per fortuna c’è chi, ogni domenica, lo ascolta e lo supporta. “Ci vado ogni domenica: il mio psicanalista è l’orto, lavorare la terra, piantare zucchine e cetrioli, in questo periodo cavoli, broccoli, bietole, raccogliere le olive. Domenica scorsa sono stato 12 ore sul trattore per trinciare l’erba”. Psicoanalisi a parte, il Procuratore ha spiegato che non può esserci spazio per la debolezza, anche per lo sfogo momentaneo di un pianto liberatorio, perché “le emozioni devono essere controllate”, sempre. Occorre tenere alta la consapevolezza e la responsabilità delle proprie scelte, soprattutto per il bene altrui. “Io non piango, cerco di controllare le emozioni, mi fermo un attimo prima. Devo essere sempre lucido, non posso permettermi il lusso di lasciarmi andare. Anche per la responsabilità verso chi lavora con me. Il mio telefono è acceso 24 ore su 24”. Ovviamente, il pensiero di Gratteri va anche alla sua famiglia. “Pure loro hanno la scorta. Hanno cercato di sequestrare uno dei miei figli, avevano programmato di simulare un incidente stradale per ammazzare l’altro”.

Tra i bilanci del passato e le sfide del futuro
Oggi, Nicola Gratteri parte dalla Calabria per affrontare una nuova sfida in terra partenopea, mentre lascia dietro di sé un’eredità importante, non solo in termini di speranza. “Ho contribuito fisicamente per la nuova Procura, la più bella d’Italia, in un convento del Quattrocento che stava cadendo a pezzi. Avevo iniziato a pensarlo il 16 maggio 2016, il giorno in cui mi sono insediato a Catanzaro. Sono andato a Roma a fare la questua e ho trovato i sette milioni e mezzo che servivano. È stata la prova che la Calabria non è la regione delle incompiute. E poi abbiamo costruito l’aula bunker più grande al mondo”. Ai microfoni del Corriere della Sera, Gratteri ha ricordato anche la mancata nomina a ministro della Giustizia durante il governo Renzi. “Non sono attaccato alle poltrone - ha precisato - per me è importante servire lo Stato. Non è retorica, ma mentre cammino nei corridoi della Procura se trovo luci accese in una stanza e non c’è nessuno io le spengo: e chi le ha lasciate accese sa che sono passato. Certo, bisognerebbe capire chi ha detto a Napolitano che non potevo fare il ministro: Renzi mi aveva dato carta bianca”. Rispetto ai detrattori, che sembra stiano già scommettendo su quanto durerà una volta insediato a Napoli, il Procuratore ha precisato: “Ho un carattere molto forte. Per anni ho mangiato pane e veleno. Sono allenato al sacrificio, a qualsiasi tipo di stress.” - prosegue - “Intanto devo entrare in Procura e lo farò domani. Per prima cosa devo ascoltare tutti. Io faccio 4-5-10 riunioni in un giorno. Arrivo alle otto, esco alle 20, mangio sulla scrivania, non mi alzo finché non ho preso una decisione, mettendo a disposizione la mia esperienza”. E ancora: “Se a Catanzaro nessuno ha fatto domanda di trasferimento un motivo ci sarà”. Infine, a poche settimane dall'uscita del suo prossimo libro “Il Grifone”, pubblicato da Mondadori e scritto insieme al coautore di sempre, Antonio Nicaso, il noto Procuratore ha ricordato: “Ho conosciuto Nicaso quando stavo preparando il concorso in magistratura e davo ripetizioni agli studenti a Caulonia. Abbiamo gli stessi valori. È emigrato in Canada perché in Calabria non riusciva a diventare giornalista, c’era sempre qualcuno più bravo di lui. Fratelli di sangue ce lo volle pubblicare solo Pellegrini Editore, tutti i grandi lo avevano rifiutato. Vendemmo 50 mila copie. Dopo ci volevano tutti”.

Fonte: Corriere della Sera

Foto © Imagoeconomica

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