Presentato il libro di Salvatore Borsellino
di Francesca Mondin - Foto
Perché non siamo riusciti a dare risposte a quesiti fondamentali riguardo le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese? Perché “documenti importanti sono stati distrutti e indagini depistate, dalla strage di Portella della Ginestra a quella di Milano, di Bologna di Brescia fino ad arrivare alle stragi del ’92”. A dirlo è stato il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato in via D'Amelio ieri alla presentazione del libro "La Repubblica delle Stragi' curato da Salvatore Borsellino e scritto a sette penne da Nunzia e Stefano Mormile, Giovanni Spinosa, Federica Fabbretti, Fabio Repici, Antonella Beccaria, Giuseppe Lo Bianco e con la collaborazione di Marco Bertelli. “La Repubblica italiana viene tenuta a battesimo dalla strage di Portella della Ginestra, una strage politica a cui fanno seguito altre stragi da piazza Fontana fino ad arrivare a Capaci e via D'Amelio e che hanno come unico denominatore il fatto che la magistratura è stata impotente nel condannare i mandanti politici" ha spiegato il magistrato seguendo il filo rosso tracciato dal presidente del Tribunale di Ancona Giovanni Spinosa ad apertura dell’incontro. Un filo rosso sangue che, come spiegato da Spinosa, lega i tanti fatti bui della nostra storia con ambienti dell’eversione nera, degli apparati deviati dello stato, della mafia e della massoneria.
Entrando nello specifico delle stragi di Falcone e Borsellino, Scarpinato ha ricordato i tanti buchi neri: “La sparizione dell’agenda rossa, ma anche tutti i preziosi documenti nel covo di Riina, la memoria della agenda elettronica di Falcone, i collaboratori di giustizia che sono morti poco prima di dirci cosa c’era dietro le stragi, come Luigi Ilardo che che anticipa che collaborerà con magistratura e svelerà le causali politiche e viene ucciso poco prima. O il suicidio in carcere di Nino Gioè uno di quello che sapeva tutto e che lascia una strana lettera con riferimento ai servizi segreti”. Per poi passare al clamoroso depistaggio messo in atto con “il falso pentito Scarantino”. Un poveraccio che “non parlava nemmeno l’italiano” e che non sapeva nulla sulla strage che “è stato torturato psicologicamente e non solo per fargli recitare un copione” ha detto Salvatore dal palco. Un depistaggio che “non è stato fatto a favore di cosa nostra anzi, uomini di cosa nostra anche importanti hanno subito danni pesanti” ha ricordato l’avvocato del fratello di Paolo Borsellino, Fabio Repici. “Quanti famigliari sono stati uccisi ai grandi pentiti Buscetta, Brusca, Di Matteo, come è possibile allora che un non mafioso dice menzogne apocalittiche ma non subisce alcun atto di minaccia?” si è chiesto Rapici - “perché i mafiosi sapevano chi era Scarantino e sapevano a chi era in mano”. Mani di poteri forti, ha sostenuto l’avvocato di fiducia di Salvatore Borsellino: “Possiamo dire che La Barbera non era il dominus del depistaggio, ma che il depistaggio è stato deciso nella sede centrale del sistema di apparato”.
Altrimenti perchè “Agnese ci dice che Paolo Borsellino, suo marito la pregava di abbassare la serranda per non essere visto da castello Udveggio” e perchè “le dice di aver saputo che Subranni, (generale ed ex comandante del Ros, ndr) era punciuto?”.
Repici ha quindi portato l’attenzione sulle indagini che stava conducendo il questore Calogero Germanà quando Borsellino chiese la sua collaborazione nelle ultime settimane prima di saltare in aria. “Germanà si occupava di questioni che non riguardavano i bassi mafiosi di periferia ma di un gruppo di potere deviato che comprendeva appartenenti a Cosa nostra come il massone Agate, e altri soggetti che poi sarebbero stati conosciuti solo grazie alle confidenze di llardo”. La richiesta di Borsellino però non fu ascoltata e “Germanà venne convocato dai vertici di polizia, rimproverato e relegarlo a dirigere a Mazzara del Vallo. Dove dopo due mesi subì un’attentato messo in atto dai miglior killer dell’epoca di cosa nostra; Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviamo, al quale fortunatamente scampò”.
Argomenti che ricordano il pool Sistemi Criminali di cui ha fatto parte anche Roberto Scarpinato assieme a Antonio Ingroia: “Abbiamo fatto il pool nazionale” per provare a chiarire quello che era successo in Italia agli inizi degli anni ’90 che “non si può chiarire se la magistratura se ne occupa in modo frammentario”. Perché come ha detto Scarpinato “C’è un’informativa della Dna del ’93 che dice alla magistratura, che le stragi non sono solo di cosa nostra ma sono opera di una aggregazione orizzontale in cui cosa nostra è il braccio armato”. Nel marzo ’92 “Elio Ciolini dei servizi segreti francesi scrive una lettera ai giudici di Bologna” ed avvisa “che sarebbe stato ucciso un importante esponente politico poi ci sarebbero state le stragi e poi sarebbero stati creati degli episodi più grandi per distrarre dalla mafia e così avvenne”.
Proprio quando la collaborazione con le altre procure stava portando a risultati interessanti, ha ricordato Scarpinato, “succede qualcosa di molto strano: il pool viene disarticolate e parte un attacco furioso e le indagini vengono frammentate e così si fa un passo indietro”.
Ieri il procuratore generale di Palermo, rivolgendosi al procuratore nazionale Cafiero de Raho presente in via d’Amelio ha quindi consigliato la riapertura del pool: “Quello che sta emergendo imporrebbe di riprendere il lavoro da quello che è stato interrotto, rifare il pool nazionale e mettere assieme tutte le tessere del mosaico”. Perchè “finchè ci sono tante domande che ancora non hanno avuto risposta questa resterà la Repubblica delle Stragi”.
Foto © Rita Rossi
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