Sono passate furbescamente inosservate le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo
Sono passate furbescamente inosservate le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, intervistato da Tiziana Panella per il programma Tagadà su La7. Tanto che conviene un veloce ripasso.
Il magistrato ha ricordato che il processo Stato-mafia che secondo larga parte della stampa sarebbe stato inutile ha fatto emergere dei fatti che “restano lì”, primo fra tutti il dialogo “cercato” da “esponenti importanti delle istituzioni” tramite “Vito Ciancimino, Riina e Provenzano” per “far cessare la strategia delle stragi” mentre “c’era ancora il sangue della strage di Capaci sull’asfalto dell’autostrada”. Primo fra tutti il dialogo tra l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e l’ex ufficiale dell’Arma Mario Mori.
Vicinanza testimoniata anche dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che all’epoca delle stragi era Presidente della Camera dei Deputati. Di Matteo ha sottolineato anche l’arresto “particolare” di Matteo Messina Denaro che secondo il magistrato “adottava tutta una serie di comportamenti concreti che sono assolutamente incompatibili con la prudenza di chi si vuole sottrarre alla cattura”.
Ha ricordato come Salvatore Riina sia riuscito a sfuggire alla giustizia per trent’anni per poi essere “catturato a casa sua” e Bernardo Provenzano, latitante per 43 anni, “è stato catturato a Corleone”. Per Di Matteo è difficile pensare che queste latitanze siano il risultato dell’abilità dei boss di sottrarsi all’arresto con l’aiuto “di pochi familiari e pochi amici”. Quali fossero le coperture più alte dovrebbe essere la domanda che pervade il Paese ma l’antimafia ormai è solo un orpello.
Tratto da: lanotiziagiornale.it
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