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I forzisti “prendono a schiaffi” il sacrificio di Pio La Torre e del Gen. dalla Chiesa

Forza Italia vuole 'ridimensionare' la legge Rognoni - La Torre.

Il desiderata tanto voluto da Salvatore Riina (punto numero 3 del papello) è nuovamente approdato fra le carte bollate del Parlamento con Ddl 2334, prima firmataria la senatrice Gabriella Giammanco.

Non è la prima volta.

Il partito azzurro, il 26 aprile 2021, aveva già presentato una simile proposta (alcune parti sono identiche), la numero 3059. La sostanza, tuttavia, è sempre la stessa: modificare le regole delle misure preventive, rendendo più difficili sequestri e confische per chi finisce in inchieste per reati di mafia. In Italia non c'è giorno che passi in cui non vengano effettuate delle misure di prevenzione patrimoniali in forza della legge La Torre-Rognoni. Ad oggi questa stessa legge, che prevede "la possibilità di sequestrare e confiscare i beni, anche solo sulla base di un giudizio di pericolosità sociale, senza che prima sia intervenuta una sentenza penale di condanna", sta rischiando di essere vanificata.

Ove dovesse diventare legge la proposta di Forza Italia si vanificherebbe l’assetto normativo vigente delle misure di prevenzione patrimoniale, privando così la magistratura di uno dei più importanti strumenti alla lotta al crimine organizzato di stampo mafioso.

In che modo?

Andiamo per ordine.

Il concetto del disegno di legge è quello di definire confische e sequestri come misure penali e non più amministrative. Ne consegue che le misure di confisca e sequestro seguiranno i tempi del processo penale: quindi tempi lunghi, a meno che non intervenga la tagliola dell'improcedibilità introdotta dalla Riforma Cartabia o della vecchia prescrizione (ex Cirelli), voluta, anche in questo caso, da Forza Italia.

Gli esiti quindi sono facilmente intuibili: le confische e i sequestri diventeranno quasi impossibili da attuare poiché potranno essere attuate solo in caso di condanna definitiva e non più, come funziona oggi, anche in caso di assoluzione durante il processo. Un quadro decisamente a favore della cosiddetta criminalità ‘alta’, di quella borghesia mafiosa in grado, in forza delle proprie risorse economiche, di allungare i tempi processuali quel tanto che basta per eludere la giustizia.


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Il segretario regionale del partito comunista, Pio La Torre (il quarto da sinistra) © Archivio Letizia Battaglia


L'onda garantista che, secondo gli autori, ha portato i forzisti a elaborare questo ddl, porterà inevitabilmente verso un sostanziale svuotamento della Rognoni - La Torre e ad un salvataggio dei capitali della mafia.

Nello specifico con la proposta degli azzurri vengono modificati “i soggetti destinatari delle misure di prevenzione”. Nell’attuale Codice, le misure si applicano “agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis del codice penale”, ovvero le associazioni mafiose. Per Forza Italia non basta la generica “appartenenza” alle associazioni, si deve essere “indiziati del reato di cui all’articolo 416 bis del codice penale” e gli indizi a carico della persona devono essere “gravi, precisi e concordanti”.

Una misura di garanzia per cui ci batteremo”, ha spiegato il deputato Pietro Pittalis, lo stesso che ha redatto il testo per il ritorno alla vecchia prescrizione e sottoscritto una proposta di legge per multare i giornalisti come i narcotrafficanti.

Inoltre le disposizioni del disegno di legge “si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”: questo significa che le modifiche potrebbero molto probabilmente riguardare anche il procedimento per confisca di beni a carico di Marcello Dell’Utri, cofondatore di Forza Italia condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa (pena scontata) e attualmente indagato per le stragi nel continente dalla Procura di Firenze.

È il caso di ricordare che la legge sulla confisca e il sequestro dei beni è stata scritta col sangue del segretario regionale del partito comunista Pio La Torre, del suo uomo di fiducia Rosario Di Salvo, del prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo.

Solo dopo questa duplice tragedia il legislatore approvò la legge Rognoni-La Torre che introdusse il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso nel codice penale italiano e le relative norme di prevenzione patrimoniale.

Come sottolineò lo stesso Pio La Torre nella relazione di minoranza della commissione antimafia da lui firmata, quando si parla di mafia non si può parlare solo dell'organizzazione criminale poiché “la mafia sorge e ricerca subito i suoi collegamenti con i pubblici poteri della nuova società nazionale, e i pubblici poteri accettano, a loro volta, di avere collegamenti con la mafia, per scambiarsi reciproci servizi”. Questo sistema criminale nel corso del tempo ha voluto, promosso ed ordinato anche delitti eccellenti e stragi - come quelle di Capaci e di Via d’Amelio - per garantire la sua stessa esistenza, servendosi anche di consistenti capitali illeciti. Da qui la necessità di una normativa che riuscisse a togliere la ricchezza alle mafie privandole della loro forza economica, che è già in sé pericolosa perché inquina il sistema economico annientando la libera concorrenza. In tale scenario sarebbe auspicabile che le leggi antimafia venissero potenziate ed aggiornate alla realtà criminale odierna.


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Da sinistra: Emanuela Setti Carraro e Carlo Alberto dalla Chiesa © Franco Zecchin


Ad oggi, tuttavia, a trent’anni dalle stragi nel nostro Paese è in corso una vera e propria campagna demolitoria della legislazione antimafia.

Franco La Torre: “Con il sequestro e la confisca il mafioso subisce un colpo formidabile”
Come riportato da 'Il Fatto Quotidiano', per Franco La Torre, esperto di cooperazione internazionale e della gestione dei beni confiscati, figlio del segretario del Partito Comunista ucciso in Sicilia nell’82, la proposta di legge non è stata “una sorpresa”: “Me l’aspettavo, la temevo – ha detto – seguo con attenzione il dibattito su sequestri e confische e si vedeva che c’era chi cercava in qualche maniera di allentare queste misure’’.

"Mi ritorna in mente sempre la frase che disse mio padre in un’intervista alla Rai con Joe Marrazzo: ‘Se il fine della mafia è l’accumulazione illecita è lì che dobbiamo colpire’. Ormai sono 40 anni di storia che ce lo insegnano: con il sequestro e la confisca il mafioso subisce un colpo formidabile, molto più del carcere, e ancor di più quando il bene sottratto viene trasformato al servizio della comunità. In Europa se ne sono accorti da tempo: persino il Parlamento francese ha adottato misure similari e il Parlamento belga sta dibattendo una proposta di legge che va nella stessa direzione". Per Franco La Torre "bisogna rafforzare la capacità di gestione, come dicono i prefetti che si alternano alla direzione dell’agenzia dei beni confiscati, va dotata di manager in grado di gestire le aziende, di ridurre i tempi lunghi: 10 anni tra sequestro e assegnazione sono tanti. E poi bisogna misurarsi con i nuovi scenari dell’economia mafiosa e questo presuppone una cooperazione internazionale. Si tratta di applicare misure di tonicità, di moltiplicazione per ogni economia, depressa o meno: e l’esperienza italiana rimane un’eccellenza". Per Davide Mattiello, già presidente di Libera Piemonte e relatore del Codice Antimafia 2017 nella commissione Bindi, con l’approvazione del ddl si smonterebbe “la legislazione antimafia che esiste dai tempi di Pio La Torre: da tempo la destra, l’avvocatura e una parte della giurisprudenza vogliono agganciare le misure di prevenzione al processo penale, ma in questo modo si crea un rischio per il contrasto alle mafie”.

Perché mantenere l’impianto normativo attuale
“Il punto - aveva scritto il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli su Questione Giustizia - sul quale è utile ragionare è sul perché è indispensabile mantenere l’assetto normativo”. “La normativa - ha spiegato il magistrato - è nata da una doppia convinzione: che l'accumulazione della ricchezza fosse, unitamente a un potere sempre maggiore, il primo scopo e la vera ragion d'essere delle organizzazioni mafiose; che i beni accumulati dalle cosche fossero un simbolo della loro potenza e, specie nel caso di attività economiche, un prezioso strumento di riciclaggio” di conseguenza “il sequestro e la confisca sono divenuti strumenti essenziali nel contrasto al crimine mafioso ed è imprescindibile che si possano applicare sulla base di presupposti indipendenti dalla condanna in sede penale (cioè senza prima ottenere una sentenza penale di condanna) e dall’esistenza di un nesso di collegamento diretto tra reato e bene”; inoltre ha specificato Tescaroli “la pericolosità può sussistere anche di fronte ai casi di proscioglimento e di assoluzione stante l'autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale”. “L’esperienza di questi anni - ha scritto il procuratore fiorentino - ha evidenziato che la realtà economica non si esaurisce nell'alternativa tra impresa sana e impresa mafiosa o collusa” poiché “si registrano casi, sempre più numerosi, di imprese mafiose o colluse che risultano avere rapporti occasionali con la mafia, così come ci sono imprese che non vivono solo di corruzione, ma che accettano anche di proliferare con il supporto della corruzione. In tali casi è preferibile ricorrere a strumenti diversi dal sequestro e dalla confisca e più mirati e adeguati. Il codice antimafia si è dato carico di tali esigenze prevedendo due specifiche misure applicabili alle imprese e non ai soggetti, se l'attività economica non si trova già nella disponibilità del mafioso, ma sussiste il rischio che questi se ne appropri, sempre che possano essere curate (per esempio con la rimozione degli amministratori e/o di dirigenti collusi, cambiando fornitori e subappaltatori e così via, ovvero intervenendo sul modello organizzativo dell'impresa) e le imprese siano intenzionate a rimuovere i presupposti di quel pericolo”.

Per scaricare il ddl: senato.it

Elaborazione grafica
by Paolo Bassani

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