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E' uscita una nuova edizione del mio libro "Cento passi ancora". In un capitolo racconto i funerali di Pio La Torre

Funerali di Pio La Torre

Sono tra quei centomila che partecipano al funerale di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, in Piazza Politeama. 
Una domenica calda. Arrivano tutti, quelli in giacca e cravatta e quelli in abito da lavoratori, giovani in jeans e camicia e vecchi militanti con la coppola e il fazzoletto rosso: ce ne sono tanti, uomini politici da passerella, deputati nazionali e regionali, persino i vertici più alti dello stato, da Sandro Pertini, a Spadolini, a Nilde Jotti. Non ho mai amato mischiarmi tra la folla. Rimango in periferia, dove mi sento a mio agio tra i compagni che piangono e che manifestano una rabbia a stento frenata dall’ordine del partito, di starsene buoni, di evitare manifestazioni ed espressioni di violenza, o come dice ipocritamente qualcuno, di rispettare le ultime scelte politiche di Pio, che erano state quelle della “pace”. 
Di pace non ce n’è molta, il fuoco cova sotto le ceneri. Sono convinto che può divampare, che può essere il momento giusto per liberare Palermo e tutta la Sicilia dagli assassini mafiosi e dai loro complici che si aggirano sopra e sotto il palco. Intravedo persino, tra le tasche di qualche compagno, segnali e rigonfiamenti sospetti. Basterebbe una parola e tutto potrebbe esplodere. Quella parola non c’è: il discorso soporifero di Berlinguer serve solo a raffreddare gli animi, a condurre il dolore dentro l’alveo istituzionale, dentro la gabbia delle regole, in cui possono parlare solo le autorità per pronunciare le loro formali condanne e la loro pelosa solidarietà, sapendo che il giorno dopo tutto tornerà come prima.  Il ricordo va ai trentacinque anni della strage di Portella della Ginestra, commemorati il giorno prima, e ai sindacalisti uccisi nel ventennio 1946-48: «Essi furono sconfitti e saremo ancora sconfitti se quella lotta non diventerà lotta di popolo». Quella sconfitta è stata il risultato della nostra Resistenza fatta senza armi, ma solo per avere chiesto l’applicazione delle leggi dello stato sulla distribuzione delle terre incolte.


centro passi ancora

Penso a Placido Rizzotto, che qualche tentazione di organizzazione militare dei contadini l’aveva avuta, penso a Pio La Torre che di Rizzotto si ritrovò a ricevere la pesante eredità a Corleone. Penso a Cesare Terranova, massacrato tre anni prima dagli sgherri di Luciano Liggio: Terranova aveva firmato, con Pio La Torre, la relazione di minoranza della commissione Antimafia nel 1976: quando mi capitò tra le mani quel libro fu per me l’aprirsi di un baratro di  impensabili intrecci: una radiografia della premiata VA.LI.GIO, sigle di Vassallo, Lima e Gioia, che, in combutta con Cassina, erano gli autentici padroni di Palermo, assieme ad altri loschi figuri come Ciancimino, o Giovanni Matta che, pur sedendo in Commissione Antimafia dichiarava che «la mafia non esiste, ma si tratta solo di delinquenza comune». 
Quella relazione è senz’altro un pilastro nella storia di una parte dello stato, quella dell’opposizione comunista che getta uno sguardo su tutti gli anelli che legavano il potere politico mafioso. Era impressionante l’elenco e il numero di scuole di cui era proprietario Vassallo, il quale le affittava al Comune e alla provincia dopo averle appositamente costruite. Di quel libro leggevo interi capitoli quando a Radio Aut mi capitava di dovere tappare i buchi del palinsesto programmato. Quando comincia a parlare Salvo D’Acquisto presidente della Regione, capisco che non ho più cosa fare e assieme ad altri mesti compagni comincio a prendere la via del ritorno mentre lui cita Piersanti Mattarella, trucidato per essere andato dietro all’illusione di riformare il suo partito, autentico covo di serpi.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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