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Soffiate da Reggio
Alla fine di novembre, la situazione già precaria per la cosca, si complica ulteriormente. Mentre a Giuseppe Piromalli viene rinotificato il 41bis Gioacchino Arcidiaco chiama Aldo e gli chiede di contattare “il nostro amico che mi hai mandato tu l’altra volta che siamo stati a riunione”. Il frasario in codice non impedisce agli investigatori di capire che il soggetto in questione è Marcello Dell’Utri e il motivo di quel linguaggio criptico, utilizzato su una linea apparentemente protetta è presto detto: “Ieri ci hanno chiamato e ci hanno detto che hanno tappezzato la macchina di mio cugino dell’ira di Dio”. E’ in effetti in quei giorni che l’automobile di Antonio Piromalli viene sottoposta a controllo ambientale. E l’affermazione dell’Arcidiaco mette in allarme gli inquirenti all’ascolto, non meno di quella successiva, pronunciata invece da Aldo Miccichè: “Vi dovete muovere con molta cautela – dice - perché ho ricevuto una telefonata da Reggio (il luogo dove si stanno svolgendo le presenti indagini ndr.) da persone che tu nemmeno ti immagini”. Ovvero: Peppe Tuccio e Peppe Viola, due grossi personaggi della magistratura calabrese, entrambi in pensione - “gente legata a me... mani piedi e culo” - e un soggetto “importantissimo di cui non ti faccio nome per motivi facilmente comprensibili”. “Una persona molto ma molto alta”.
Più avanti Miccichè suggerisce al “suo pupillo” di chiedere all’avvocato Lima, che incontrerà il giorno successivo, il sistema più pratico per rendere sicure le sue comunicazioni telefoniche raccomandandosi per quella riunione: “Se non risolviamo questo problema di Pino – dice - si trova Totò in un mare di merda”.
Il 9 dicembre Arcidiaco conferma per telefono l’avvenuto incontro con il Lima, ma per il timore delle intercettazioni non ne comunica l’esito al Miccichè accennandogli soltanto che sarà lo stesso Lima a chiamarlo, “ovviamente con linea del tutto riservata”. La stessa conferma della riunione tenutasi con il legale giunge dalla viva voce di Lorenzo Arcidiaco, padre di Gioacchino, che in altra occasione ad Aldo domanda: “Hai saputo del nostro colloquio con l’avvocato sì?” sentendosi rispondere: “Io mi sono sentito con... con un amico intimo di... lì al Palazzo dei Marescialli (sede del Csm, ndr.)...”, “che molto, molto importante ... in questo giro...della magistratura”. “Mi ha chiesto uno/due giorni di tempo”, prosegue, “ma ha visto tutto il problema... perché per loro non ci sono... in questo momento in cui... soprattutto il ministro è guardato in modo particolare... gli stanno controllando telefoni, cose ecc.”.  Tanto che, sottolinea, “per parlare con lui devo chiamare la Presidenza della Regione...e tramite il telefono interno della moglie”.
Alla luce degli eventi in corso sempre più urgente si profila quindi la necessità di far ottenere ad Antonio Piromalli la nomina a console onorario, per la quale Miccichè si raccomanda ancora con Gioacchino Arcidiaco di parlarne “... a quattr’occhi e riservatamente... con chi ti sei riunito tu, però non... non credo che lo possiamo fare a Como... in ufficio sì, quando vuoi... ma con molto tatto!”
Il riferimento è ovviamente, ancora una volta, a Marcello Dell’Utri, del quale Aldo parla anche con il padre Lorenzo, con il solito linguaggio in codice:

Aldo: Ora... quello che è importante è che con Marcello Dell’Utri... ti può essere di grande aiuto perché significa Berlusconi... per parlare chiaro...
Lorenzo: sì...
Aldo: ...è saper condurre le cose, hai capito?
Lorenzo: è perfetto! E Lui per fare questo tipo di ragionamento e non cade in... inc...
Aldo: e così vedete... vedete là la faccenda di... di Mario Tassone e del Consigliere regionale... io vi sto dando tutte le forze possibili...
Lorenzo: ho capito... ho capito...
Aldo: quando vieni qua, parliamo... parliamo concretamente!
Lorenzo: va benissimo! Va benissimo!
Aldo: ti voglio bene! Ciao!
Lorenzo: pure io, ti abbraccio, ciao ciao.


Vota e fai votare
tassone-mario-web.jpgA febbraio, dopo la morte di Rocco Molè, Aldo Miccichè è preoccupato per le sorti di Antonio Piromalli che, a suo dire, ha ormai “la famiglia sulle spalle”. Al rischio della reazione dei Molè alla morte del boss Rocco si sommavano le vaste battute delle forze dell’ordine sulla Piana di Gioia Tauro, con perquisizioni, rinvenimenti di bunker e le dichiarazioni di alcuni soggetti che “stanno cantando come canarini”. E’ lo stesso Micciché a rivelarlo a Gioacchino Arcidiaco chiedendo poi ai compari di raggiungerlo in Venezuela dove, per ovvie ragioni, sarebbero al riparo da possibili arresti. Anche se, prima di partire, avrebbero dovuto sistemare “una certa faccenda” riguardante il solito Senatore Dell’Utri e le imminenti elezioni.
Questa ennesima vicenda inizia con l’ennesima intercettazione il 17 marzo 2008, nel corso della quale Lorenzo Arcidiaco riferisce ad Aldo Miccichè la volontà di trasferirsi a Milano insieme al figlio Gioacchino, per ragioni di sicurezza. Per aiutare il compare, Aldo decide di giocare la carta del senatore Dell’Utri, “l’unica strada che abbiamo”, riferisce, perché con il “padrone” (Silvio Berlusconi ndr.) è in quel momento impossibile parlare a causa delle imminenti elezioni.
E siccome è proprio il momento elettorale uno dei più significativi per la gestione del potere mafioso, nell’ambito del suo discorso Micciché riferisce di essere nella posizione di chiedere qualche favore (sistemare lavorativamente Lorenzo e la fidanzata di Gioacchino, Roberta Foti ndr.) poiché ora “ho un certo potere per il fatto delle elezioni all’estero”. Spiega quindi che il 25 marzo si incontrerà a Caracas con Barbara Contini, vice di Berlusconi, candidata in Campania alla quale, in quell’occasione, farà avere il curriculum di Roberta Foti.
Ma è il 26 marzo che i dialoghi tra Lorenzo Arcidiaco e Aldo Miccichè si fanno più interessanti. In quella data, infatti, Lorenzo chiama Aldo per riferirgli di un imminente appuntamento con il Senatore nel corso del quale gli avrebbe parlato, tra le altre cose, di un amico di “Totò” (Antonio Piromalli ndr.) “da diversi anni in auge a livello sindacale e compagnia bella che sposta un bacino elettorale di 5.000 – 10.000 voti” a Milano e provincia. Tale soggetto, continua, “era praticamente sempre su... collegato con i Coluccio, il Questore della Camera” e “adesso che i Colucci gli hanno promesso promesso e non gli hanno mai dato nulla... si è spostato su Casini. Tu pensi che farlo spostare su Marcello potrebbe essere interessante per lui?” Miccichè, felicemente sorpreso dalla notizia, risponde subito di sì e si incarica di parlarne con il senatore Dell’Utri prima del pianificato incontro. Anche se a Marcello aveva già detto: “gli ho anticipato,,, che c’è una tradotta di calabresi che lì a Milano lo votano! E – rivolto a Lorenzo Arcidiaco - tu gli dici che vai lì a nome di questi... mi sono spiegato?” “In modo da fargli capire che ha bisogno di noi”. Il successivo 1° aprile Lorenzo chiama Aldo e confermandogli l’avvenuto incontro sottolinea: il senatore ha fissato un appuntamento “con questo qui di Cinisello”.

Le indagini proseguono
Il 22 luglio dello scorso anno, allarmati da alcuni colloqui intercettati in carcere tra gli uomini della famiglia Molè, gli inquirenti decidono di intervenire con il blitz eseguito dai carabinieri del Ros di Reggio Calabria del tenente colonnello Valerio Giardina, dagli agenti della Squadra Mobile reggina di Renato Cortese, dal commissariato di Gioia Tauro diretto dal vicequestore Pino Cannizzaro. Che ha aperto le porte del carcere per venti persone, tra le quali figurano anche imprenditori e professionisti legati alle cosche nella gestione di alcuni affari.
A far decidere i magistrati della Dda di Reggio di operare i fermi – eseguiti, oltre che in Calabria, anche a Roma e Milano – la consapevolezza del pericolo reale di fuga di alcuni degli indagati, ma soprattutto il tentativo di evitare il compimento di omicidi in risposta al delitto del boss Rocco Molè. E mentre ancora si attendono gli esiti di una serie di perquisizioni disposte dai magistrati in varie carceri italiane – alla ricerca di eventuali pizzini – il procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone ha trasmesso al Pg di Palermo Antonino Gatto le carte riguardanti il senatore Dell’Utri. Gatto, che rappresenta l’accusa al processo di secondo grado che vede il senatore imputato di concorso esterno in associazione mafiosa (in primo grado il politico è stato condannato a 9 anni di reclusione) si è riservato di decidere sull’utilizzo di quelle carte, mentre la procura di Reggio ha convocato il senatore - che come gli altri politici coinvolti nell’inchiesta non risulta iscritto nel registro degli indagati – come persona informata sui fatti. In una lettera inviata alla stessa procura Dell’Utri ha però dichiarato che non intende rispondere alle domande dei magistrati. Attraverso il proprio difensore, l’avvocato Giuseppe Di Peri, ha fatto sapere che si avvarrà infatti della facoltà di non rispondere perché le sue eventuali dichiarazioni potrebbero essere utilizzate dai magistrati siciliani.

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