di Giorgio Bongiovanni
Lettera aperta al Questore di Palermo Renato Cortese
Gentile Questore Renato Cortese,
è noto il rispetto profondo e la stima che nutro, assieme all'intera redazione di ANTIMAFIADuemila, nei suoi confronti, che da capo della Squadra mobile nel 2006 ha posto fine alla latitanza del boss corleonese Bernardo Provenzano, e per tutte le forze dell'ordine che hanno reso alto il valore del nostro Stato con la cattura dei grandi latitanti di Cosa Nostra. Non è piaggeria affermare che oggi le nostre forze di polizia sono diventate le migliori del mondo proprio nel contrasto alle mafie ed il terrorismo e già in altre occasioni ci siamo confrontati sui temi riguardanti la criminalità organizzata. Proprio per questo, dopo aver letto le sue dichiarazioni in un'intervista a "Il Sole 24 Ore" on line, mi permetto di dissentire rispetto alcuni concetti da lei espressi, in particolare rispetto al ruolo che oggi ha l'ultimo super latitante della corrente corleonese: il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.
Abbiamo dunque letto il suo pensiero: "In questo momento storico dalle indagini sulla mafia a Palermo, ma anche in tutte le altre province siciliane, non credo emerga un ruolo attivo del latitante Matteo Messina Denaronel panorama criminale e mafioso siciliano. Per cui è un soggetto che probabilmente non ha più alcun ruolo nell'organizzazione e che quindi è defilato, non lascia tracce, non partecipa alle riunioni, non ha strategie criminali, gli affiliati non rendono conto a lui".
Ebbene non mi trova d'accordo su questa considerazione. E, anche per offrire un contributo intellettuale e di verità al pubblico che ci legge, di seguito le spiego il motivo nel merito. E' vero che dalle risultanze dei rapporti della Dia e da recenti indagini si ipotizza come improbabile che il testimone di Totò Riina, deceduto lo scorso anno, sia passato nelle mani del capomafia trapanese. Nell'ultimo rapporto, riferito al secondo semestre 2017, si scrive che Messina Denaro "negli ultimi anni, si sarebbe disinteressato delle questioni più generali attinenti Cosa Nostra, per poter meglio gestire la latitanza". Parimenti si ricordano le parole dello stesso Riina, intercettato in carcere, che si era "lamentato di tale comportamento".
Ma quelle conversazioni tra l'ex Capo dei Capi e il codetenuto Alberto Lorusso vanno contestualizzate nel tempo ed osservate nel loro insieme. Proprio leggendo le dichiarazioni di Riina si evince come in realtà vi sia una condivisione di strategia tra i due boss.
Renato Cortese © Imagoeconomica
In uno di quei dialoghi del 2013 con la sua “dama di compagnia” Riina dice: "Tutto in una volta si è messo a fare luce in tutti i posti... fanno altre persone ed a noi ci tengono in galera, sempre in galera però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare”. E sempre nelle intercettazioni tra Riina e Lorusso emerge la condanna a morte del boss corleonese nei confronti dell'oggi sostituto Procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo (“Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari”... “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”).
Il “contrasto” tra Riina e Messina Denaro viene dato dal fatto che in quel momento, ancora non si era agito nel compiere l'attentato non tanto nella mancata condivisione dello stesso.
E' proprio il collaboratore di giustizia, Vito Galatolo, ad aver raccontato agli inquirenti del progetto di attentato nei confronti del magistrato. Un attentato che, secondo quanto riferito, sarebbe stato chiesto ufficialmente da Matteo Messina Denaro. Una lettera della Primula rossa sarebbe stata letta in una riunione tra alcuni capimafia (lo stesso Galatolo, Alessandro D'Ambrogio a capo di Porta Nuova e Girolamo Biondino, capo a San Lorenzo) nel dicembre 2012 in cui si spiegavano anche i motivi per compiere l'attentato ("Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre”).
A quella riunione partecipò anche Galatolo, che poi darà la quota economica più consistente nell'acquisto, compiuto assieme agli altri capimafia, del tritolo acquistato dalla Calabria. Secondo Galatolo, sulla cui attendibilità allo stato non risultano dubbi, Messina Denaro avrebbe anche messo a disposizione un artificiere per l'attentato che sarebbe stato "non di Cosa Nostra".
Pochi mesi dopo il summit, è il 26 marzo 2013, un anonimo preannunciava che “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità”. Per fortuna, ad oggi, l'attentato non è stato eseguito ma, anche se l'indagine in merito è stata archiviata, i magistrati della Procura di Caltanissetta hanno parlato di un "progetto che è ancora in corso".
Un nome che torna, dunque, quello di Messina Denaro, su vicende gravi con discussioni che avvenivano almeno fino al 2014-2015. Azioni che dimostrano proprio la centralità di Matteo Messina Denaro per quanto riguarda le grandi decisioni che riguardano l'interesse di tutta Cosa Nostra.
Fermo restando che ogni giorno di latitanza ne rafforza il mito e la leggenda, ritengo che non si possa sottovalutare l'autorità del boss trapanese, già condannato per le stragi del 1993 e oggi anche sotto processo per quelle del 1992. L'ex procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato, ha parlato in più occasioni delle altissime protezioni di cui lo stesso boss godrebbe anche all'interno della massoneria, dell'imprenditoria e degli apparati deviati.
Ma non basta questo a spiegare una latitanza che dura ormai da 25 anni.
Teresa Principato © Emanuele Di Stefano
E' certo che, per quanto riguarda la provincia trapanese, come dimostrano anche le operazioni e le inchieste con gli arresti ed i sequestri di beni in quella zona, Messina Denaro è ancora il leader indiscusso. Un ruolo che fino al 2007 lo vedeva discutere in maniera paritaria con il palermitano Salvatore Lo Piccolo (proprio nel giorno del blitz a Giardinello i due capimafia, secondo quanto raccontato dal pentito Bonaccorso si sarebbero dovuti incontrare). E non è mistero che appena dieci anni fa (Operazione "Perseo") i capimafia palermitani avessero chiesto a lui un parere proprio per riorganizzare la Commissione provinciale. Allora la "primula rossa" si espresse favorevolmente. Davvero possiamo escludere che anche oggi abbia dato il suo "sta bene"?
Matteo Messina Denaro, proprio per il suo "curriculum" è il personaggio con il più alto spessore in Cosa Nostra. Personaggi di questo calibro, lei è sicuramente consapevole, non sono boss latitanti che non hanno più un ruolo attivo, ma sono boss che comandano strategicamente l'organizzazione criminale, in alcuni casi anche eterodiretti da forze "esterne".
Ricordo ancora le dichiarazioni di Vito Galatolo che, in riferimento all'attentato contro Di Matteo, ha dichiarato che i mandanti erano "gli stessi del dottore Borsellino". Come è possibile che ancora oggi non si è arrivati al suo arresto? Forse resta libero perché detentore di segreti indicibili? Un collaboratore di giustizia come Nino Giuffrè ha dichiarato che a lui sono stati consegnati i documenti segreti della cassaforte di Riina.
Il capomafia trapanese ha partecipato attivamente alla strategia di attacco allo Stato messo in atto dalla mafia per indurre lo stesso a trattare. Lui è stato uno dei membri di quel gruppo di uomini d'onore che Riina, già agli inizi del ’92, aveva inviato a Roma per studiare le abitudini e i movimenti di Giovanni Falcone per preparare il suo omicidio nella capitale.
Quel gruppo di fuoco fu improvvisamente richiamato in Sicilia e, visto il rapporto diretto che aveva con Riina, è immaginabile pensare che lui conoscesse il motivo di quel cambio di programma. Non solo. Nel periodo compreso fra la strage di Capaci e quella di via d’Amelio, Messina Denaro ha trascorso diversi momenti in nord Italia con Giuseppe Graviano, già allora latitante, e poi coinvolto in prima persona nella strage di via d’Amelio.
Dunque non può non sapere se Graviano, nel periodo delle stragi, avesse o meno rapporti con l'allora imprenditore Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi © Imagoeconomica
Di recente, al processo contro Messina Denaro per le stragi del 1992, il pentito Brusca ha raccontato:
“Totò Riina mi ebbe a dire che, qualora lui fosse arrestato o che gli succedeva qualche cosa, i picciotti, Matteo Messina Denaroe Giuseppe Graviano, sapevano tutto. Queste cose me le dice alla fine del 1992, tra novembre e dicembre. Era il periodo in cui non avevamo più notizie e lui iniziava a preoccuparsi che poteva essere arrestato”.
E ancora nei mesi scorsi, ha messo a verbale con i magistrati di Palermo, che Messina Denaro gli disse che Graviano incontrava proprio Berlusconi, fornendo persino dei dettagli.
Ecco dunque la forza di Messina Denaro nel 2019: la conoscenza di segreti indicibili. Ad esempio non può non sapere perché la strategia delle bombe venne esportata in continente con l’adozione di modalità terroristiche mai appartenute, in precedenza, a Cosa Nostra, colpendo monumenti e causando vittime innocenti, o perché quelle stragi, subito dopo il fallito attentato all'Olimpico, si sono interrotte. Non può spiegarsi tutto con il semplice arresto dei fratelli Graviano. Ma lui, Messina Denaro, è consapevole dei segreti che circondano la strage di Pizzolungo, dalla Chiesa, Chinnici, Capaci, via d'Amelio, perché è stato parte attiva di quel mondo. Segreti che costituiscono, ancora oggi, un'arma di ricatto formidabile contro quello Stato che gli dà la caccia.
Cosa accadrebbe se Messina Denaro, finisse in manette? E' pensabile che, vista la giovane età ed una vita vissuta tra gli agi (sempre secondo quanto riferito dai pentiti), possa scegliere di collaborare con la giustizia? E se così fosse cosa accadrebbe? Quanti pezzi dello Stato di ieri e di oggi cadrebbero?
Nelle lettere a "Svetonio", lo pseudonimo dell'ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, il boss di Trapani diceva che si sarebbe ancora sentito parlare di lui. Così è stato in questi anni. Le indagini raccontano anche di rapporti diretti tra il boss, che nonostante sequestri e confisca detiene un ricchissimo patrimonio, i suoi parenti ed i suoi sodali. Prendiamo atto che il cerchio si stringe e ci auguriamo, come ha detto il Procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho, che il 2019 possa essere l'anno della fine della sua latitanza. Sono d'accordo con lei quando dice che "far diventare prioritario l'arresto di un latitante non vuol dire strategicamente sconfiggere definitivamente la mafia sia perché è latitante, e l'organizzazione già mette in conto che prima o poi sarà catturato". Per tutte le considerazioni fatte in precedenza, però, ritengo non sia corretto dire che Matteo Messina Denaro"non ha alcun ruolo all'interno di Cosa nostra". Anzi credo che lo stesso boss di Castelvetrano, ad oggi, possa essere il vero Capo di Cosa Nostra. Tenuto conto che stiamo parlando dell'ultimo boss stragista in circolazione sminuire il suo ruolo potrebbe essere un errore di valutazione che 26 anni dopo Capaci e via d'Amelio, e 25 anni dopo le bombe in Continente (Firenze, Roma, Milano) non possiamo permetterci. Con la stima di sempre.
Giorgio Bongiovanni
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