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“Yo no canto por cantar ni por tener buena voz. Canto, porque la guitarra tiene sentido y razón”.

“Io non canto solo per cantare né perché ho una bella voce. Canto perché la chitarra possiede sentimento e ragione”.

Non si è allontanato da noi. Non è scomparso, né il suo nome, né la sua voce, né il suo messaggio. La sua presenza è inconfutabile ed è necessaria perché la sua storia è emblematica, come ogni fase della sua vita. Una vita di militanza quotidiana. Una vita di impegno verso la vita stessa, con la sua arte libera. Un talento nato in terre cilene che diventò obiettivo del fascismo, dall’11 settembre 1973. Un talento che suscitò l'accanimento dei suoi rapitori che poi diventarono i suoi boia. I boia di un intero popolo sottomesso in quel crudele e nefasto settembre di 50 anni fa. 

50 anni che rappresentano un pezzo abominevole della storia cilena. 50 anni di attentati contro l’arte combattente, poiché Victor era un emblema di lotta, nelle fila comuniste. Una resistenza impareggiabile, in un difficile e molto complesso momento storico del paese fratello. Nelle fila di una resistenza tenace, quando ci fu l'assalto alla Casa de la Moneda, nel momento della morte di Salvador Allende, anche lui emblema di resistenza, coraggio e impegno militante.  

Il suo martirio lo ha reso immortale e la sua resistenza è stata ed è ancora un sublime insegnamento per la lotta di oggi; una lotta quanto mai attuale. I suoi carnefici non solo attentarono contro la sua vita, ma anche contro quella di tutte le generazioni che gli sopravvissero nella lotta sociale. Ed oggi, i giovani del mondo, nonostante non lo abbiano conosciuto, hanno abbracciato il suo percorso, le sue canzoni, il suo dare la faccia. Quel suo essere frontale, insieme alla intensa sensibilità che lo caratterizzava e che trasmetteva nella sua vita quotidiana e nelle sue canzoni, la dolcezza propria dei militanti sempre a fianco - senza demagogie, né tanto meno ipocrisie – dei popoli che soffrono, che lottano per la libertà e per le verità manipolate, deviate e  letteralmente occultate dai seggi del potere.

Un 16 settembre di 50 anni fa, il corpo di Víctor Jara fu massacrato dai golpisti, dai sicari di Augusto Pinochet e del governo degli Stati Uniti; non così le sue idee, non così la sua integrità di cantautore, non così il suo dono di artista poliedrico, non così il suo amore verso il prossimo, non così la sua umiltà, non così il suo talento, non così la sua memoria. 

La bestialità repressiva, la vigliaccheria, dimostrò la sua perfidia al momento di tormentarlo. Fu vorace. Criminale. Ma non riuscirono a sopraffare il suo coraggio, né la sua sensibilità, perché in mezzo al dolore e alla sofferenza più indescrivibile – mentre veniva torturato, picchiato fino a sfigurargli il volto, spezzandogli le costole e le mani con il calcio del fucile - Víctor Jara riuscì a scrivere in un libretto una canzone militante, l'ultima, unica, ineguagliabile, che i suoi compagni portarono alla luce da quell'inferno che era lo stadio nazionale del Cile, in quell’amaro settembre. 

"Siamo in cinquemila, qui,
in questa piccola parte della città.
Siamo in cinquemila.
Quanti siamo, in totale,
nelle città di tutto il paese?
Solo qui
diecimila mani che seminano
e fanno marciare le fabbriche.
Quanta umanità
in preda alla fame, al freddo, alla paura, al dolore,
alla pressione morale, al terrore, alla pazzia.
Sei dei nostri si son persi
nello spazio stellare.
Uno morto, uno colpito come non avevo mai creduto
si potesse colpire un essere umano.
Gli altri quattro hanno voluto togliersi
tutte le paure
uno saltando nel vuoto,
un altro sbattendosi la testa contro un muro,
ma tutti con lo sguardo fisso alla morte.
Che spavento fa il volto del fascismo!
Portano a termine i loro piani con precisione professionale
e non gl'importa di nulla.
Il sangue, per loro, son medaglie.
La strage è un atto di eroismo.
È questo il mondo che hai creato, mio Dio?
Per tutto questo i tuoi sette giorni di riposo e di lavoro?
Tra queste quattro mura c'è solo un numero
che non aumenta.
che, lentamente, vorrà ancor più la morte.
Ma all'improvviso mi colpisce la coscienza
e vedo questa marea muta
e vedo il pulsare delle macchine
e i militari che mostrano il loro volto di matrona
pieno di dolcezza.
E il Messico, Cuba e il mondo?
Che urlino questa ignominia!
Siamo diecimila mani
in meno che producono.
Quanti saremo in tutta la patria?
Il sangue del Compagno Presidente
colpisce più forte che le bombe e le mitraglia.
Così colpirà di nuovo il nostro pugno.
Canto, che cattivo sapore hai
quando devo cantar la paura.
Paura come quella che vivo,
come quella che muoio, paura.
Di vedermi fra tanti e tanti
momenti di infinito
in cui il silenzio e il grido
sono i fini di questo canto.
Ciò che ho sentito e che sento
farà sbocciare il momento...”


Quarantatré proiettili perforarono la sua anatomia. Quarantatré proiettili strapparono la sua vita. Quarantatré proiettili spezzarono l'artista più popolare del Cile. I boia applaudirono, gioirono in quei giorni; oggi, cinquanta anni dopo, ormai avanti negli anni, i suoi boia conoscono il rigore della giustizia che è caduta su di loro. Gli assassini - sette militari ormai anziani – sono in prigione per ordine giudiziario, ma uno di loro si è suicidato prima di essere arrestato e un altro è in attesa di essere estradato dagli Stati Uniti.  

Sono trascorsi cinquanta anni, ma allo stesso tempo neanche uno. Si continua ad ascoltare la voce di Víctor Jara. Si continua a vedere il suo sorriso. Il suo viso c’è ancora e per sempre. Le sue figlie Amanda e Tamara e sua moglie Joan, ci sono ancora e per sempre.  

Noi ci siamo, per sempre.
   

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