La figlia di due vittime della dittatura continua a lottare per avere giustizia per tutti i desaparecidos
di Jean Georges Almendras
Provincia di Buenos Aires. Insieme al collega Matías Guffanti ci incontriamo con María Victoria Moyano Artigas nel bar-ristorante “Victoria Urquiza”, all’angolo tra le Vie Triunvirato e Los Incas.
María Victoria è una donna dall’aspetto fragile, ma con una forza incredibile, che si percepisce non soltanto dal modo di parlare, ma anche dal contenuto delle sue idee. María Victoria porta con sè una storia di vita estremamente dura, una testimonianza vivente delle conseguenze del terrorismo di Stato negli anni Settanta nel Río de la Plata ed in altre zone dell’America Latina. María Victoria ci ha parlato della sua vita, della sua attuale lotta per cancellare con un colpo di spugna l’impunità imperante nelle due sponde del fiume, della sua indignazione per le parole del Vicepresidente uruguayano Raúl Sendic, che lei ha contestato a Roma, e di tutto ciò che può provare una donna sopravvissuta al Piano Condor, alle spalle una madre disperata (seppure ottimista e piena di dignità) per il destino della sua bambina, alla quale ha trasmesso il suo spirito rivoluzionario. Una bambina che porta nel sangue i valori dei suoi genitori desaparecidos, che si sono amati e hanno vissuto insieme per continuare la lotta alla quale si erano votati insieme a molti altri giovani. Quella generazione con le unghie e con i denti, a costo della propria vita, difendevano “un progetto politico per cambiare la società alla radice”.
In María Victoria Moyano Artigas ci sono i suoi genitori e tutti i loro compagni di lotta, con tutti i bambini sopravvissuti al Cóndor del terrore, oggi adulti e molti dei quali costretti ancora a tacere a causa dell’impunità, senza poter recuperare la propria identità, che costituisce di per sé un grave fatto per un paese che si vanta di vivere in una democrazia repubblicana.
María Victoria ci parla con la sincerità e con la forza di una rivoluzionaria integra.
Qual è la tua visione della sentenza di Roma? Come l'hai interpretata?
L’aspetto positivo è che viene riconosciuto il Piano Condor, ma la cosa grave è ciò è avvenuto nei confronti della situazione in Uruguay. Si riconosce ed è condannato solamente un ex cancelliere (Juan Carlos Blanco, ndr) ma tutti i militari rimangono impuniti. Considerando com’è la questione in Uruguay, la relazione giustizia-militari, mi sembra che rifletta una realtà che vige in questo Paese: l’impunità. Noi siamo andati sempre e andremo a tutti i tribunali internazionali che si renderanno necessari perché cerchiamo verità e giustizia. Che tutti i militari siano assolti è molto preoccupante. Forse non è detta l’ultima parola. Noi ci appelleremo, le ragioni non le abbiamo, ci devono dare prima le motivazioni, ma è vero che i motivi per i quali vengono assolti i militari uruguaiani sono gli stessi per i quali vengono condannati i politici di altri paesi. I condannati del Perù, del Cile, della Bolivia non sono stati proprio esecutori, ma hanno la responsabilità politica di fronte al piano criminale. Concretamente, chi premette il grilletto o chi torturò in un tale contesto è secondario, perché bisogna pensare alle responsabilità. Inoltre, i motivi ha hanno fatto condannare gli altri, sono gli stessi che hanno fatto assolvere gli uruguayani. È molto preoccupante per me.
A cosa attribuisci questa situazione? Mancanza di informazione acquisita dal Tribunale, erroneo agire dell’avvocato uruguayano che rappresentava il Paese, interessi manipolati dentro l’Uruguay?
Io posso fare delle congetture perché onestamente gli avvocati dicono che dal punto di vista giuridico è insostenibile. L'Italia viene dall'esperienza della condanna contro i nazi-fascisti, dove non si può pensare ad un omicidio nei termini di un delitto comune, ma devi considerarlo un delitto di lesa umanità con tutto ciò che comporta. Dal punto di vista giuridico sembra esserci un problema, dal punto di vista dell’avvocato la verità è che non ho idea. Tutti dicono che l’avvocato uruguaiano ha sbagliato, probabilmente è stato così. Perché incluso i miei avvocati mi stanno segnalando determinati cavilli da acquisire nella causa. Io so anche che l’avvocato non ha agito in piena autonomia, ma risponde a quello che lo Stato ha voluto fare. L’avvocato uruguaiano risponde al suo cliente, che è lo Stato. Quindi c’è stata negligenza da parte sua, non credo sia stata una decisione scollegata dall’intenzione politica che c’è in Uruguay.
A proposito delle tue esternazioni riguardo Raúl Sendic, il vicepresidente uruguaiano, credi che ci sia qualche motivazione interna allo Stato uruguaiano che fanno sì che le cose non siano come devono essere? Non soltanto per compromettere la sentenza del Piano Condor a Roma, ma anche ad esempio per liberare l’informazione in Uruguay, tenendo conto che ci sono soltanto cinque corpi ritrovati e pochi militari e poliziotti detenuti. Poi c’è omertà, silenzio. Credi che ci sia qualcosa di poco chiaro o qualcosa che pone ostacoli dentro lo Stato uruguayano?
Io credo che lo Stato uruguaiano in tutti questi anni con i governi che si sono succeduti ha agito per mantenere l’impunità nel paese. L'Uruguay è un luogo dove dal punto di vista legislativo e politico è uno scandalo quello che succede. Quindi, qual è l’interesse? Io devo andare indietro nel tempo, cioè, l’Uruguay è uscito dalla dittatura con una transizione accordata con i militari, di amnistia, e una con tutte le forze politiche, Partido Colorado, Frente Amplio, i Blancos, tutti. Quindi per me sono coerenti con quel patto, e per questo ci troviamo in questa situazione. È scandalosa la situazione in Uruguay. Dobbiamo andare a cercare le condanne in altri tribunali perché l’Uruguay non condanna, non possiamo dire che ci siano condanne in Uruguay quando c’è una dozzina di militari prigionieri ancora che godono di privilegi. È scandaloso. È una vergogna ciò che sta accadendo. È scandaloso sapere che un militare come Gavazo è stato identificato da numerosi prigionieri politici, familiari, la mia famiglia personalmente. Ha perseguitato la mia famiglia.
È andato a casa mia sistematicamente in Uruguay, fino in Argentina. Ma non siamo gli unici, c’è moltissima gente, e l’uomo è in una casa sulla spiaggia agli arresti domiciliari e riscuotendo una pensione di privilegio, se comparata con quella di qualsiasi uruguayano, che non potrebbe percepirla nemmeno se lavorassi tutta la vita. È una situazione scandalosa, non bastano le belle parole, o che le Commissioni approvino delle misure che poi non vanno da nessuna parte. Qui bisogna indagare. Noi vittime dobbiamo avere accesso a quelli archivi, dobbiamo poter accedere. È un nostro diritto accedere a quell'informazione, e non ce la danno. Ci sono tantissimi archivi dappertutto che nessuno investiga a fondo. Anche adesso, che c’è la Commissione investigatrice del parlamento, ad esempio. Studieranno lo spionaggio dai governi costituzionali in poi. Gli archivi di Castiglioni vanno dal ’70 al 2015. Quindi si vuole studiare in modo frammentato. Ho molta fiducia che la nostra lotta ci farà fare passi avanti. Io non mi aspetto niente, né dal Frente Amplio, né dall’avvocato uruguaiano. Realmente mai mi sono aspettata qualcosa.
Raccontami la tua storia personale e quella dei tuoi genitori.
I miei genitori iniziarono la loro militanza in Uruguay. Entrambi abitavano lì. Mia madre era una giovane studentessa di medicina in un quartiere operaio, la sua famiglia era di La Teja, mio nonno era operaio dell’Ancap. Una famiglia molto umile, lavoratrice, tutte queste condizioni si trasformarono in militanza politica di tutta la famiglia. Mio padre era molto giovane, frequentava le scuole superiori. Prima della dittatura c’erano già state delle detenzioni in Uruguay, iniziavano gli arresti e tutto quello che ti dicevo prima. Gavazo stesso era andato a casa mia a La Teja. Prima si portò i miei tre zii. Sono quattro fratelli, uno aveva 8 anni e per fortuna non lo portarono via, ma presero gli altri 3. Prima uno, poi l’altro, sistematicamente. Quando inizia la dittatura in Uruguay i miei genitori decidono sposarsi e andare in Argentina come rifugiati. Ed è qui che continuano la loro militanza. Loro erano militanti della ROE (Resistencia Obrera Estudiantil) e continuano qui la loro militanza con i GAU. Il 30 dicembre 1977 vengono catturati nel loro domicilio di Berazategui e portati al luogo noto qui in Argentina come circuito Camps. Un circuito repressivo che comprendeva diversi centri clandestini dove agiva essenzialmente l’esercito e la polizia di Buenos Aires. Mia madre rimase incinta di me. Non ne era sicura perché era passato ancora poco tempo, vale a dire che per tutta la gravidanza lei si trovava a Pozo de Banfield. Prima era stata a San Justo, nel Pozo de Quilmes. Il Pozo de Banfield era quello della maternità clandestina di quel circuito. Io nacqui ad agosto e 8 ore dopo la mia nascita vengo presa dall’allora capo brigata di San Justo che mi regala a suo cognato e sua sorella. Loro sono la famiglia che mi ha cresciuta fino ai 9 anni, quando mi trovano le ‘Abuelas de Plaza de Mayo’ e riesco a recuperare la mia identità. Questo accade nel dicembre del 1987. Da allora ho vissuto con le mie nonne e ora sono qui.
Sei ritornata ai tuoi legami familiari?
Sono andata a vivere qualche anno a Montevideo e a sedici anni circa sono tornata a Buenos Aires definitivamente.
E la tua famiglia?
Vivo con il mio compagno, ho una figlia di quattordici anni, studio, lavoro, sto per laurearmi in diritto e sono una militante per i diritti umani, e anche una militante di sinistra qui in Argentina. Sono nel PTS di sinistra. Combatto fino ad oggi per il processo e la condanna dei colpevoli.
Ritieni scioccante che proprio il governo di sinistra in Uruguay non sia contro l’impunità per chiarire i fatti?
Certamente è scandaloso. Mi dà fastidio. È scandaloso e la cosa più scandalosa è quando abbiamo dovuto raccontare quello che diceva Mujica, che bisognava lasciare i poveri vecchietti in libertà perché appunto troppo anziani, che avevano perso una guerra. È il suo pensiero e la sua posizione, ma che lo abbia detto come presidente di uno Stato è stato terribile per noi. Sentivo i miei zii che facevano parte della sua stessa organizzazione. Siamo stati profondamente traditi. Ci è sembrato gravissimo. E poi, io ho sempre avuto una mia posizione indipendente per quanto riguarda la lotta per i diritti umani. Il Frente Amplio firmò un patto di impunità quando finì la dittatura. Ed è lì che inizia la mia lotta. Da quando ho appresso quel fatto storico ho intrapreso la mia lotta indipendente. Mi infastidisce perché non si può fare demagogia con quella che è stata una storia tanto dolorosa, non solo in Uruguay, ma a livello continentale. Hanno strumentalizzato il nostro dolore e la nostra lotta per fare marketing politico, per poi finire tradendo tutti.
Ti infastidisce di più perché sei nata in cattività e l'hai vissuto sulla tua pelle?
No. Non mi infastidisce per me stessa, ma per i miei genitori e la mia famiglia. Per i loro compagni. Per tutti.
Ti ha fortificato vivere una simile esperienza?
Mi fortifica vedere Sendic in Italia e chiedergli di dire la verità e che lui non ci rappresenta. Perché eravamo tutti lì. Perché in Uruguay non c’è giustizia, questo mi fortifica. Le cose vanno chiamate per nome, e a volte è molto difficile farlo. Per me è stato molto importante. Anche qui in Argentina la penso uguale, bisogna dire le cose come sono, per nome. In Uruguay c’è impunità. Ad alcuni di noi figli ci hanno dichiarato cittadini illustri e poi ci troviamo che non possiamo fare dei processi. Perché? Perché ci sono migliaia di problematiche da superare, aspetti burocratici e informazioni che non ti danno. È una completa ipocrisia. È perverso, direi.
Cosa ti fa provare la marcia del silenzio in Uruguay da circa vent’anni?
Sono d’accordo che in tutti questi anni ci sia stata una manifestazione pubblica, perché costruisce qualcosa ed è anche espressione della lotta delle famiglie delle vittime in Uruguay. Ma io non lo farei in silenzio, io griderei, canterei, denuncerei, non lo farei in silenzio. Comunque è una metodologia scelta dalle madri.
Non pensi sia ora di cambiare?
Credo di sì.
Forse una marcia ogni settimana?
Bisogna fare una marcia immediatamente, dopo la sentenza di Roma, secondo me si dovrebbe fare in Uruguay. Le organizzazioni dovrebbero convocare una marcia alla Corte Suprema della Giustizia uruguayana. Inoltre, quando ci fu un tentativo di manifestare, quando entrarono nella Corte, i nostri poveri compagni furono arrestati. Io sono dovuta andare in Uruguay perché mi invitarono a partecipare ad un Foro. I poveri compagni furono processati per protestare contro la Corte.
C'è una raccolta firme come rifiuto della sentenza del tribunale di Roma?
Stiamo lanciando una petizione ad un livello più internazionale da aggiungere all'espediente per poi presentarlo al tribunale, così che veda non solo la nostra forza e strategia giuridica, ma anche il ripudio di settori della società latinoamericana. Ma non è sufficiente una petizione, bisognerebbe fare una mobilitazione. Mio cugino è in Uruguay, rappresenta un po’ tutta la famiglia - perché io viaggio ma vivo in Argentina - suo padre vive in Italia, l'altro mio zio è esiliato in Svezia, la madre è desaparecida. Siamo sparsi nel mondo. Ma parliamo sempre con lui, e lui sta trattando per coordinare in modo che alcune organizzazioni convochino una manifestazione. Non si può aspettare fino a maggio quando ci sarà la marcia del silenzio, bisogna dare risposte più rapide alla situazione.
Cosa diresti ai militari ed ai poliziotti coinvolti?
Alle mie nonne ed ai familiari loro dicevano: "Noi non vi riporteremo i vostri nipoti, perché voi li avete cresciuti sovversivi, quindi non sapete educare". Quello che a me piace di più è la sfida, dire loro: “Non avete vinto", c'è una generazione che va avanti, che continua la lotta dei nostri genitori. Inoltre ci battiamo per quel processo che porterà loro in prigione, perché sono assassini, torturatori e rapitori di bambini.
Il tuo compagno e tua figlia ti appoggiano?
Ovviamente, mia figlia incomincia a fare le sue prime esperienze. Si porta dietro tutta questa storia. Lo ha saputo da sempre e il mio compagno lo è anche di militanza. È avvocato dei lavoratori ed è stato avvocato in grandi conflitti operai.
Che opinione hai di Macri?
Io penso che è un tipo che da quando è diventato presidente sapevamo che avrebbe governato per favorire alcuni interessi. Noi parliamo di ‘Ceocracia’, perché ha messo nel suo governo tutti i CEOS, imprenditori che sono in conflitto di interessi perché abbiamo un Aranguren che ha delle azioni, ma è ministro dell’Energia, tutto è molto torbido e scandaloso.
Macri sta appoggiando più i militari, e la destra, che l'ala sinistra e la lotta delle vittime.
Sì. Lui non lo dice direttamente. Dice che non vuole parlare del tema, ma la realtà è che i suoi ministri hanno fatto una campagna dicendo che qui non c’è stato alcun genocidio, che non ci sono stati trentamila desaparecidos. Quindi, se tu non ti opponi significa che avalli. Non solo a parole, ma nei fatti. Ha chiuso alcuni enti dove distinte organizzazioni si appoggiavano per investigare. Ha rinforzato le forze armate come mai prima.
Il giorno dopo aver assunto l’incarico di Presidente, il quotidiano La Nación pubblicò un editoriale riferendosi al presidente: "i poveri vecchi", lo stesso che diceva Mujica. I poveri vecchi, bisogna pensare di voltare pagina. È un governo di destra che sta facendo un forte attacco, perché non si schiera dal punto di vista dei diritti umani. È un attacco generalizzato. I pensionati fino a ieri vedevano la loro pensione ridotta - avendo lavorato tutta la vita -, la legge RT varata adesso colpisce le conquiste lavorative. È un presidente che sapevamo dove avrebbe guardato, ma sta colpendo tutta la popolazione. E ovviamente colpisce un aspetto che il popolo argentino sente molto forte, l'azione diretta attraverso la mobilitazione, la lotta per i diritti che nessun governo ha preso in considerazione.
Ha pregiudicato la lotta che state portando avanti?
In tutti i modi. Dal punto di vista operativo tutte le decisioni che ha preso miravano a disarticolare le investigazioni in modo da rallentarle e cercare di proteggere i suoi commilitoni. Dal punto di vista dei discorsi, non li fa lui ma i suoi ministri sì. Io ho dovuto denunciare che nella segretaria dei diritti umani, i funzionari pubblici facevano pratiche burocratiche a titolo personale a domicilio per i genocidi. Io vengo dall’Europa e la paura dell'Olocausto, i sei milioni di persone sterminate, sono tenute in considerazione. Qui, dopo trent'anni, quello che è successo in America latina è stato un genocidio. Ma adesso chi lo nega è il presidente, lo Stato ed il governo stesso. Non perché lo dicano letteralmente, ma lo dicono i loro ministri.
“Bambino, bambino mio, nascerai in primavera, sarai con me,
Gurisito mio, un luogo di madreselva ti darò”.
E anche se nascerai povero, lo stesso ti porterò qui: servono bambini per una nuova alba”.
Bambino, bambino mio, il tuo bambino e quel bambino, tutti andranno lì.
Ruota, ruota, verso la vita nuova, ci arriveranno
Ogni bambino un po’, tutti prenderanno dello stesso latte e dello stesso pane.
“Bambino, bambino mio, nascerai in primavera, sarai con me,
Gurisito mio, un luogo di madreselva ti darò”.
E anche se nascerai povero, lo stesso ti porterò qui: servono bambini per una nuova alba”.
PETIZIONE PER LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA
I sottoscritti vogliono manifestare il nostro ripudio nei confronti della sentenza emessa lo scorso 17/01/17 dalla Terza Corte di Assise del Tribunale di Roma, nell’ambito del processo per il Piano Condor. Nella stessa sono stati assolti quasi tutti gli accusati. In un totale di 27 repressori dell'Uruguay, Bolivia, Cile e Paraguay, solo 8 sono stati condannati. Dei 14 militari uruguaiani coinvolti, è stato condannato soltanto l'ex cancelliere Blanco.
La ricerca di Giustizia e Verità non è avanzata sufficientemente nel Cono Sud perché quella è stata la volontà di questi stati. In Uruguay abbiamo poche condanne con diversi privilegi come il carcere vip o gli arresti domiciliari, ma ci sono ancora centinaia di repressori che non sono stati portati dinnanzi la giustizia locale, grazie alla legislazione di quel paese. In altri paesi come l'Argentina, dopo 40 anni dal colpo genocida, c'è stato un avanzamento, seppure lento, a livello giudiziario, ma molti dei processi per lesa umanità sono oggi fermi e nell'ultimo anno circa 50 repressori hanno beneficiato degli arresti domiciliari.
Ugualmente, esistono quantità di cause che non vanno avanti e si trovano in netta regressione nei tribunali nazionali di paesi come Uruguay.
E' necessario mettere fine all'impunità. I sottoscritti ripudiano la sentenza della Corte Penale del Tribunale di Roma ed esigono siano processati e dovutamente condannati tutti i repressori, civili e militari, che agirono nelle dittature dei nostri paesi: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
*"El Robo": È un documentario del regista argentino Carlos Asseph che narra la storia di María Victoria Moyano Artigas, nipote ritrovata e militante del PTS
*Foto di copertina: www.indymediaargentina.com (María Victoria Moyano in una manifestazione)
*Foto 2: www.ladiaria.com (magistrato italiano Giancarlo Capaldo, nel processo a Roma)
*Foto 3: www.ecosuruguay.com (Jorge Néstor Trócoli, uno dei militari uruguayani assolto)
*Foto 4: www.indymediargentina.com (María Victoria Moyano in una manifestazione)
*Trascrizione dell’intervista: Camila Ocampo
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