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Untitled1La figlia di due vittime della dittatura continua a lottare per avere giustizia per tutti i desaparecidos
di Jean Georges Almendras*
*Firma la petizione contro la sentenza del Tribunale di Roma

“Bambino, bambino mio, nascerai in primavera, sarai con me,
Gurisito mio, un luogo di madreselva ti darò.
E anche se nascerai povero, lo stesso ti porterò qui: servono bambini per una nuova alba”.

Agli inizi degli anni '70 il cantautore Daniel Viglietti lanciò un brano rivoluzionario e popolare: “Gurisito”. A Montevideo lo cantavano tutti prima della mattina del 27 giugno del 1973, quando i militari, con l’aiuto di alcuni politici, schiacciarono la nostra democrazia. Cinque anni dopo il colpo militare in Uruguay una giovane studentessa di medicina incinta cantava ancora questa melodia. La ragazza era reclusa in un centro clandestino della dittatura argentina, noto come il “Pozo de Banfield”, sito tra le vie Siciliano e Vernet, denominato “Camino Negro”, che appartiene a Lomas de Zamora, provincia di Buenos Aires: un edificio di tre piani di 25 x 20 metri. Al piano terra c’era l’ufficio del capo, una stanza di tortura e altre stanze; al primo piano c’erano alcune celle, degli uffici, la mensa, le stanze del personale, le cucine e i bagni; al secondo piano c’erano altre celle ed un bagno. Questa giovane uruguayana, vicina ai 9 mesi di gestazione, che cantava “Gurisito” in una cella del secondo piano, era María Asunción Artigas (“Mary”), nata a Montevideo, nel quartiere La Teja, il 26 Marzo 1951.
Due testimoni della sua vita in cattività, tre decenni dopo, hanno raccontato al regista Carlos Asseph che “Mary” cantava ogni giorno la canzone di Viglietti con grande ottimismo, nonostante la sofferenza della prigionia e l’incertezza sulla propria vita e quella del figlio che portava in grembo. Hanno raccontato anche che “Mary” nel cantarla cambiava un po’ il testo originale:

“Gurisito mio, luogo di madreselva ti darò.

Anche se nascerai in ‘cattività’, ti porto qui lo stesso, servono bambini per una nuova alba...

Le due persone che hanno conosciuto “Mary” in quella cella hanno anche raccontato che i carcerieri dedicavano particolare attenzione a Mary vista la sua situazione. Il 25 agosto del 1978  arrivò il momento del parto; la guardia di turno fu avvisato dai pochi prigionieri che si trovavano lì, Mary fu portata al piano inferiore dell’edificio, e tutti sentirono le sue grida quando diede alla luce suo figlio. Poi le guardie salirono e comunicarono che era nata una bambina. Solo 8 ore dopo il parto, hanno spiegato i due testimoni, i repressori lasciarono salire la donna nella sua cella con un lenzuolo insanguinato e una boccetta di “espadol” (un disinfettante di quell’epoca), ma  senza figlia. Mary raccontò che i suoi carcerieri le avevano permesso di stare con la sua piccola circa otto ore e nonostante le fosse stato proibito, lei la allattò e in quelle 8 ore si era goduta la bambina osservandola mentre dormiva, aveva notato che le piccole orecchie erano come quelle del suo compagno Fredy, il papà, e che la piccola sussultava nelle sue braccia. Poi a notte inoltrata i suoi carcerieri entrarono nella stanza dove aveva partorito dicendo che la bambina sarebbe stata portata in un nido, quindi la portarono via avvolta nel giubbotto di un uomo che indossava una specie di camice bianco. Mary non seppe mai più niente di sua figlia durante la sua prigionia nelle celle del Pozo de Banfield.

Untitled2Secondo i testimoni intervistati dallo staff del regista argentino Asseph, che sta realizzando il documentario “El Robo” (*), María Asunción Artigas, “Mary”, sarebbe rimasta rinchiusa fino al 12 ottobre del 1978, quando si ritiene sia stata portata a destinazione sconosciuta fino ai nostri giorni. Il suo compagno, padre della piccola nata in cattività, Alfredo Moyano, “Fredy”, nato a Buenos Aires nel 1956, riuscì a stare insieme a lei nella cella di Pozo de Banfield fino al 16 maggio, quando lui ed altri prigionieri furono portati ad altra sede, destinazione sconosciuta.
La nascitura nata in cattività si chiama María Victoria Moyano Artigas e oggi ha 39 anni, studentessa di diritto vicina alla laurea che vive a Buenos Aires con suo marito ed una figlia adolescente, trovata dalla giustizia e dai suoi nonni biologici il 30 dicembre 1987.
Untitled3Questo bambina nata in cattività, in quel drammatico mese di agosto del 1978, fu letteralmente strappata alla madre e portata alla casa del fratello di un commissario. Da quel momento prese il nome di Victoria Penna. Sorprendentemente i suoi rapitori rispettarono il nome dato a lei da sua madre. Il suo padre “adottivo” era Victor Penna, un impiegato tessile, e sua madre “adottiva” era María Elena Mauriño. Il medico Jorge Héctor Vidal firmò il certificato di nascita, ovviamente falso e di conseguenza, dopo il ritrovamento di María Victoria Moyano, dovette fare i conti con la giustizia.
La storia di María Asunción Artigas, del suo compagno Alfredo Moyano e della figlia sopravvissuta agli aguzzini del terrorismo di Stato, è una delle tante storie della lotta contro le dittature argentine e uruguaiana. È una delle tante storie che accomunano la maggior parte delle vittime del Piano Condor: migliaia di desaparecidos con migliaia di loro familiari che ancora oggi devono sopportare gli effetti di una impunità lacerante e denigrante. Quella impunità che mai ha perso terreno da oltre quaranta anni, perché ancora molti responsabili dei soprusi commessi camminano tra noi, come se niente fosse.
Questa storia difficilmente può passare inosservata. Perché? Perché quel bebè nato in cattività è oggi una donna coraggiosa fortemente consapevole della lotta che porta avanti per abbattere quel ripugnate muro di impunità, rende onore con la sua tenacità alla lotta dei suoi genitori.
I suoi genitori si erano conosciuti a Montevideo negli anni settanta. Mary studiava medicina e Fredy era un operaio edile. Inizialmente militavano nel MLN, poi furono sempre impegnati nelle lotte sindacali e studentesche di Montevideo, militarono nella ROE (Resistenza Obrero Estudiantil), vincolandosi anche al GAU (Grupos de Acción Unificadora) e ad altri gruppi di sinistra. Poi si trasferirono in Argentina e caddero vittime della feroce persecuzione ad opera delle forze repressive, in particolar modo da membri del FUSNA (di Uruguay, il loro  principale persecutore era il militare della marina uruguayana Jorge Néstor Trócoli, con il sostegno di Nino Gavazzo, un altro militare con funzione analoga) e da personale dell’ESMA, dell’Argentina.

Untitled4Di recente è venuto alla luce un filmato estremamente prezioso per María Victoria Moyano Artigas dove si vede l'immagine di sua madre. I suoi genitori, dopo il colpo di stato in Uruguay, parteciparono a molte manifestazioni, tra qui quella del 9 luglio del 1973. Tredici giorni dopo il colpo militare fu fatto un appello al popolo ed ai gruppi militanti per una manifestazione lampo in Via 18 de Julio. Mary e Fredy vi parteciparono insieme ad altri compagni di lotta. In uno dei filmati dell'epoca si vede, anche se per pochi secondi, María Asunción Artigas, madre di María Victoria, militante e combattiva, abbracciata ad altre compagne durante la marcia nei minuti antecedenti alla repressione. Per María Victoria Moyano Artigas è stato un forte impatto vederla mentre lottava per i suoi valori. Vederla viva, appena cinque anni prima di essere rinchiusa nel Pozo de Banfield. Appena cinque anni prima di averla data alla luce in una fredda cella dove era prigioniera.
L’inizio della loro prigionia avvenne nella località di Berazategui, provincia di Buenos Aires, quando il Piano Condor era in pieno vigore. Quando il Condor mortale sorvolava l’urbe di Buenos Aires a caccia di militanti senza escludere donne incinte. È così che appena cinque giorni dopo il Natale del '77, il giorno 30 dicembre, i genitori di María Victoria furono sequestrati da un ‘grupo de tareas’ (Gruppi operativi di militari addetti ai sequestri, torture, ndr.), composto da militari argentini ed uruguayani. Mary era già incinta di María Victoria.

Untitled5Nell’ottobre del 2013, il giornalista Luis Rómboli del quotidiano La Diaria (di Montevideo) intervistò María Victoria in occasione della sua visita in Uruguay per partecipare ad un Evento contro l’Impunità, organizzato dall’Agrupación Universitaria Tesis XI de la Facultad de Humanidades y Ciencias Sociales de la Educación, dall’Università della Repubblica e dal Centro de Profesionales de los Derechos Humanos de Argentina:
 “Mi erano arrivate notizie e denunce di quanto stava avvenendo in Uruguay, anche se abito in Argentina. Capisco che c’è una lotta contro l’impunità che è congiunta, qui e là e in tutto il Latinoamerica, dove fu messo in atto il Piano Condor. Pochi giorni fa ho appresso, grazie a diverse ricerche, che i miei genitori sono scomparsi in Uruguay e non in Argentina. Significa che dopo la mia nascita al Pozo de Banfield e del mio sequestro mia madre fu portata nuovamente in Uruguay, per cui la sua scomparsa avvenne in questo paese. Dovremmo combattere contro la prescrizione dei reati di lesa umanità, andrò fino in fondo.  Farò causa all'Uruguay. A me nessuno può convincermi che non posso fare processare e rinchiudere gli assassini dei miei genitori. È vero che siamo in una situazione difficile dopo la sentenza della Corte Suprema di Giustizia, ma bisogna raddoppiare gli sforzi e se è necessario rivolgerci alla Corte Interamericana di Diritti Umani. Qui stiamo ricostruendo i fatti accaduti, con lo sforzo delle vittime. Ho 35 anni e solo adesso vengo a sapere che i miei genitori sono scomparsi in Uruguay. Non ho potuto avviare alcun procedimento penale perché non lo sapevo. Il problema è che ci cerchiamo noi da soli  i dati, perché lo Stato non fa niente. Bisogna fare il confronto delle date dei trasferimenti della Forza Aerea con la date in cui i miei genitori furono portati via dal Pozo de Banfield e ricostruire il probabile percorso”.
Quando Luis Rómboli le chiese quale azioni avrebbe intrapreso per cambiare la situazione attuale, tenendo conto che in Uruguay ci sono stati due referendum dove non si è raggiunto il quorum per eliminare la Ley de Caducidad (Legge di Prescrizione), María rispose: “Bisogna dare vita ad organizzazioni indipendenti dallo Stato e da tutti i governi, così ognuno è libero di dire ciò che pensa senza compromessi con nessuno. Poi io ho fiducia nella mobilitazione della gente. Il plebiscito non mi è sembrato uno strumento adatto. Non ho motivo di chiedere al resto della società se posso o meno far rinchiudere gli assassini dei miei genitori. Chi chiede una cosa simile ad un’altra persona? E tanto meno un plebiscito dove votano gli stessi torturatori e assassini, aventi lo stesso diritto delle madri degli ex prigionieri che furono torturati. Non è lo strumento giusto. Non è giusto. Ho fiducia che ci si possa organizzare con altre persone per una lotta congiunta dove bisogna mobilizzarsi. Per questo motivo sono venuta in Uruguay, perché si sta cercando di isolare certi gruppi indipendenti e debilitare le mobilitazioni, perché se io protesto posso essere arrestato. La gente che manifesta, inoltre, può incidere anche nelle istanze processuali come in Argentina, dove le Madri e le organizzazioni sociali e sindacali hanno appoggiato i processi giudiziari con manifestazioni permanenti”.

Untitled6I genitori di María Victoria non sono sopravvissuti al Condor. Ma lei sì. Non solo è sopravvissuta, ma oggi lei stessa, madre di un’adolescente di 14 anni, è una militante indipendente che cerca tenacemente la punizione per i colpevoli della scomparsa dei suoi genitori e dei genitori di molti minori, perché non concepisce che l’impunità continui a farla da padrona e non concepisce che nel paese di sua madre, Uruguay, si continui a proteggere i responsabili di torture, ‘desapariciones’ e morti, con leggi e dilazioni –orientate e imposte dal sistema politico - per localizzare i corpi sotterrati nelle caserme e per portare di fronte alla giustizia i tanti militari coinvolti in atti di violazione dei diritti umani prima, durante e dopo la dittatura, mentre le vittime erano esclusivamente uomini e donne che pensavano differente o che avevano delle idee rivoluzionarie.
“I miei genitori e tutta quella generazione non solo erano bravi ragazzi, non solo avevano buone intenzioni, ma avevano anche un progetto politico per cambiare la società dalla radice”, dichiarò in un’occasione María Victoria Moyano alla stampa argentina. Un’idea che si trasforma in una premessa, in una meta per questa generazione. Un pensiero che condividiamo appieno.

Untitled7María Victoria Moyano Artigas, nel novembre del 2015, andò a Roma per assistere al processo sul Piano Condor, la cui vergognosa sentenza è stata resa nota due anni dopo, il 17 gennaio 2017. Sulla sua presnza a Roma “La izquierda Diario” scrisse: “Victoria Moyano Artigas ha prestato testimonianza la mattina del giovedì (26 novembre 2015) nella causa sul Piano Condor a Roma. Nel processo hanno già prestato dichiarazione altri familiari come Valentín Enseñat (figlio del detenuto desaparecido a Buenos Aires Miguel Ángel Río Casas), Sara Méndez (ex detenuta politica durante la dittatura e madre di Simón Riquelo, a lei sottratto dai militari durante la dittatura e che recuperò la sua identità negli ultimi anni), Dardo Artigas (fratello di María Asunción Artigas e zio di Victoria), testimoni come il giornalista Roger Rodríguez e l’ex pm uruguaiana Mirtha Guianze. Questa causa coinvolge anche il militare dell’Armata Uruguaiana Jorge Troccoli, residente in Italia che è uno degli imputati. Le testimonianze sulla partecipazione delle armate uruguaiana e argentina nella repressione dei ‘70, su entrambe le sponde del Rio de la Plata, acquisì particolare importanza in questa causa dovuto all’arresto e processo contro il militare in pensione della Marina uruguaiana Jorge Troccoli nel paese europeo. In particolar modo per l’azione di repressione degli anni 1977 e 1978, messa in atto dal Fusna (marina uruguaiana) e l’ESMA (marina argentina), e che aveva come unico obiettivo colpire ed eliminare militanti dei GAU e altre organizzazioni della sinistra uruguaiana, esiliati in Argentina. Operazione che finì con la scomparsa della maggior parte dei militanti, dopo il loro trasferimento clandestino verso l’Uruguay. I genitori di Victoria, María Asunción Artigas e Alfredo Moyano, che erano militanti legati ai GAU e rifugiati politici, furono sequestrati e scomparvero precisamente in quel periodo”.
María Victoria ha testimoniato nel processo a Roma come querelante, dichiarando fatti di sua conoscenza. A questo proposito (ricordiamo che lei è nata in cattività, in un centro clandestino) ha parlato del piano di sottrazione di bebè nati in clandestinità, dicendo il modo in cui le forze repressive uruguaiane, in coordinamento con quelle argentine, visitavano i centri clandestini dove erano rinchiusi cittadini uruguaiani.
La giovane ha detto con fermezza (si legge in La izquierda Diario”) che “purtroppo in Uruguay non è possibile andare avanti nelle indagini, perché lo Stato Uruguayano non indaga su questi temi”.
Ha dichiarato inoltre ai mezzi stampa (sul fatto che per la prima volta lo Stato uruguaiano non accompagna un testimone di questa causa): “non mi sorprende che non si siano presenti quando a dichiarare sono io”. E subito dopo è stata molto critica riguardo un editoriale del diario argentino La Nación, dove si rivendicava il genocidio, rifacendosi alla teoria che si era in guerra e alludendo a processi per vendetta. María Victoria ripudiò energicamente quell’editoriale e disse che i lavoratori de La Nación non condividevano: “Per fortuna i lavoratori mostrarono la loro solidarietà verso migliaia di desaparecidos”.
Sempre La Izquierda Diario scrive che María Victoria (nipote recuperata da Abuelas de Plaza de Mayo) rafforzò la sua denuncia contro lo Stato ed il regime politico uruguaiano: “Dall’accordo del Pacto del Club Naval si sono preoccupati di proteggere i repressori e soprattutto le istituzioni (che formano parte dello Stato stesso, come le Forze Armate), responsabili dei crimini commessi. Mantenendo l’impunità da quell’epoca fino ad oggi e non adempiendo alla normativa internazionale a partire delle risoluzioni adottate a seguito del caso Gelman. Con strumenti come la Legge di impunità (Prescrizione), usata per garantire questo stato di cose e nonostante i processi simbolici di alcuni militari negli ultimi anni, sono ancora in vigore degli ostacoli giuridici e politici per avanzare nei processi e conoscere il destino finale dei detenuti scomparsi”.
Bambino, bambino mio, il piccolo uomo arriverà…
Gurisito bruttino, ñatita di glicine, lui avrà
E mentre lui cresce, crescerà anche il luogo di tutti, sarà per il bene (o sarà positivo??)
Bambino, bambino mio, il tuo bambino e quel bambino, tutti andranno lì.
Ruota, ruota, verso la vita nuova, ci arriveranno
Ogni bambino un po’, tutti prenderanno dello stesso latte e dello stesso pane.

*Inviato speciale a Buenos Aires


*PETIZIONE PER LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI ROMA
I sottoscritti  vogliamo manifestare il nostro ripudio alla sentenza emessa lo scorso 17/01/17 dalla Terza Corte di Assise del Tribunale di Roma, nell’ambito del processo per il Piano Condor. Nella stessa sono stati assolti ed impuniti quasi tutti gli accusati. Di un totale di 27 repressori dell'Uruguay, Bolivia, Cile e Paraguay, solo 8 sono stati condannati. Dei 14 militari uruguaiani coinvolti, è stato condannato soltanto l'ex cancelliere Blanco.  
La ricerca di Giustizia e Verità non ha avanzato sufficientemente nel Cono Sud perché quella è stata la volontà di questi stati. In Uruguay abbiamo poche condanne con diversi privilegi come il carcere vip o gli arresti domiciliari, ma ci sono ancora centinaia di repressori che non sono stati portati dinnanzi la giustizia locale, grazie alla legislazione di quel paese. In altri paesi come Argentina, dopo 40 anni dal colpo genocida, si è avanzato seppure lentamente a livello giudiziario, ma molti dei processi per lesa umanità sono oggi fermi e nell'ultimo anno circa 50 repressori hanno beneficiato degli arresti domiciliari.  
Ugualmente, esistono quantità di cause che non vanno avanti e si trovano in netta regressione nei tribunali nazionali di paesi come Uruguay.  
Perché è necessario mettere fine all'impunità. I sottoscritti ripudiamo la sentenza della Corte Penale del Tribunale di Roma ed esigiamo siano processati e dovutamente condannati tutti i repressori, civili e militari che agirono nelle dittature dei nostri paesi: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  

* "El Robo": È un documentario del regista argentino Carlos Asseph che narra la storia di María Victoria Moyano Artigas, nipote ritrovata e militante del PTS

*Foto di copertina di Matías Guffanti
*Foto 2: www.desaparecidos.org (Alfredo Moyano “Fredy” padre di María Victoria Moyano Artigas)
*Foto 3: www.desaparecida.org (María Asunción Artigas “Mary” madre di María Victoria Moyano)
*Foto 4: www.laizquierdadiario.com (María Victoria Moyano e Mirta Acuña de Baravalle)
*Foto 5: www.anred.com (celle del Pozo de Banfield)
*Foto 6: www.laizquierdadiario.com (copertina di “El Robo”)
*Foto 7: www.clarin.com (María Victoria Moyano a Roma insieme ad un avvocato il giorno della sentenza)

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