di Giulietto Chiesa
Mentre un decisivo membro della NATO, la Turchia di Erdogan, in cui sono depositate una sessantina di armi nucleari, è in piena convulsione dopo un colpo di stato fallito, converrà rileggere con attenzione il comunicato finale del vertice della Nato di Varsavia del 9 luglio scorso.
Si tratta, a ben vedere di una dichiarazione di guerra. Dichiarazione preventiva, sotto forma di un impegno collettivo ad aggredire la Russia in un tempo indefinito, ma prossimo. "A meno che"….. la Russia non accetti di "cambiare corso".
Il testo, al paragrafo 15, dice esattamente così: "Siamo dispiaciuti che, nonostante i ripetuti appelli degli Alleati e della comunità internazionale, a partire dal 2014, affinchè la Russia cambiasse corso, non esistano attualmente le condizioni per una relazione. Il carattere dei rapporti dell'Alleanza con la Russia e le possibilità di una cooperazione saranno dipendenti da un chiaro, costruttivo cambiamento delle azioni della Russia, che dimostrino l'accettazione delle leggi internazionali e dei suoi obblighi e responsabilità internazionali. Fino a quel momento noi non potremo ritornare al <business as usual>".
Cosa significhi uno stato delle relazioni diverso dal <business as usual> è descritto dai fatti. Estensione sistematica dei confini della NATO (nonostante l'impegno contenuto nel Patto Fondativo delle relazioni NATO-Russia del 1997, in base al quale la NATO non si sarebbe allargata in nessuno degli ex membri del Patto di Varsavia, e non avrebbe colà installato armi nucleari); formidabile potenziamento in atto di tutti i sistemi militari della NATO; creazione di centri di comando di nuovo tipo nelle immediate vicinanze della frontiera russa, accompagnati da massicci dislocamenti di truppe e creazione di infrastrutture militari moderne di ogni tipo; installazione di missili nucleari di primo colpo in alcuni dei paesi alleati dell'Est Europa; più di cento esercitazioni militari solo negli ultimi due anni. Il tutto accompagnato da sanzioni economiche il cui scopo evidente è di colpire, anticipando le armi convenzionali, l'economia e la situazione finanziaria, e sociale, della popolazione russa.
Tutto questo è indicato al paragrafo 35, sotto il nome di "Readiness Action Plan" (Piano d'Azione Preparatorio). In esso sono compresi tutti i piani strategici e logistici per un attacco contro la Russia, inclusi quelli che, nelle intenzioni, dovrebbero assicurare il successo di un "primo colpo" nucleare. Le recenti esercitazioni, condotte in Polonia e nell'Oceano Artico, hanno sperimentato attacchi aerei di tipo nucleare, mediante missili cruise. Insomma tutto ciò che occorre per un attacco nucleare contro la Russia.
Il punto di partenza, l'assunto che regge il documento, è contenuto nel paragrafo 5, là dove si cerca di descrivere le "azioni aggressive" della Russia. Qui si può leggere una lunga serie di bugie vere e proprie, di distorsioni dei fatti, di accuse platealmente infondate o non documentate, in cui tutti gli eventi indicati — vicini e lontani — servono a mettere la Russia sul banco degl'imputati. Tra tutti spicca l'accusa alla Russia di aggressione verso l'Ucraina e la successiva "annessione" della Crimea. Qui il rovesciamento della verità, storica e cronachistica, raggiunge vette clamorose. Il nero (nazista) diventa bianco. È evidente che i firmatari (tutti, inclusa la Turchia, che ha armato e sostenuto il terrorismo del cosiddetto Stato Islamico. Ma, come sappiamo, parecchi tra i presenti a Varsavia hanno partecipato alla mostruosa operazione contro la Siria e, prima, contro la Libia, e ancor prima, contro l'Iraq e, ancor prima, contro la Yugoslavia) sanno perfettamente di sottoscrivere il falso.
Ma il ruolo di documenti come questo è anch'esso strategico: si tratta di uno strumento di propaganda concepito per essere usato e ripetuto all'infinito da tutto il mainstream occidentale; che servirà a pronunciare migliaia di discorsi dei leaders politici, articoli di commentatori, dove la parola Russia sarà permanentemente associata ai termini "aggressione" e "annessione". Una specie di lavaggio del cervello, simultaneamente esercitato sui leaders e sulle opinioni pubbliche.
Per quanto concerne il "cambiamento di linea" che si chiede alla Russia, esso altro non è che l'accettazione piena e incondizionata degli ordini della NATO. Che viene tout court identificata con la "comunità internazionale". Siamo di fronte a un ultimatum, che si presenta, esplicitamente, nella forma di una minaccia all'esistenza stessa della Russia come paese indipendente e sovrano. Viene in mente lo Statuto di Roma (art. 8bis) che dovrebbe guidare l'azione della Corte Penale Internazionale: "Per gli scopi di questo Statuto, per <crimine di aggressione> s'intende la pianificazione, la preparazione, l'avvio o l'esecuzione, da parte di una persona che sia in condizione effettiva di esercitare il controllo su, o di dirigere l'azione politica e militare di uno Stato, o di un atto di aggressione che, per la sua gravità, ed estensione, costituisca una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite".
Dal punto di vista tecnico, ognuno dei firmatari del documento di Varsavia 2016 sarebbe passibile di incriminazione davanti a quella Corte, e chiamato a rispondere dei suoi atti, di fronte ad essa e al proprio popolo. Così non sarà, naturalmente, come dimostra il fatto che Tony Blair è ancora a piede libero. Ma ora c'è un altro problema: la compagnia di ventura dei leader della NATO si sta dividendo e azzannando al suo interno. E perfino l'Imperatore non sa mettere ordine nel canile. Chi deciderà dunque gli atti successivi?
Tratto da: it.sputniknews.com
Foto © AFP 2016/ Mandel Ngan