di Giulietto Chiesa - 25 agosto 2015
I bambini non sanno farsi da mangiare da soli. La gente non è in grado di farsi la propria razione d'informazione. Chi ha pensato il contrario, si sbaglia
con una nota della redazione di Megachip in coda all'articolo.
Per cambiare l'atteggiamento dell'individuo nei riguardi del mondo che lo circonda occorre modificare la sua coscienza.
I bambini non sanno farsi da mangiare da soli. La gente non è in grado di farsi la propria razione d'informazione. Chi ha pensato il contrario, si sbaglia e procede sognando.
Sia i bambini che gli adulti ingoiano ciò che viene loro preparato.
In più: il bambino prende più facilmente la medicina se questa è confezionata in modo da ricordare una caramella. Il comportamento degli adulti, specie se sottoposti da tempo a determinati riflessi condizionati, è identico.
Il comportamento dell'individuo è l'effetto della coscienza, cioè del panorama che sta guardando. Se questo è ristretto, tale sarà il suo comportamento. Chi forma la coscienza determina il comportamento. Di fatto tutto ciò, se usato con determinazione, produce un potere illimitato.
Vi stupisce sapere che tutti i più importanti media mondiali appartengono - in forma diretta o mediata da diversi pacchetti azionari - a quattro grandi concentrazioni finanziarie?
I loro nomi contengono i nomi dei proprietari universali. Sono: BlackRock, State Street Corp, FMR Fidelity, Vanguard Group.
NOTA DI MEGACHIP
La breve riflessione di Giulietto Chiesa che potete leggere qui sopra, tratta dalla sua pagina Facebook, ci ha fatto richiamare - per come descrive l'incapacità di decodifica delle nozioni da parte di enormi masse di adulti - un'intervista al linguista Tullio De Mauro pubblicata da Il Mattino del 29 maggio 2014. Ve la riproponiamo qui di seguito.
Buona lettura.
«Così gli italiani ridiventano somari»
Tullio De Mauro spiega l'analfabetismo di ritorno: «Regrediamo se il cervello non si allena»
di Ida Palisi - 29 maggio 2014
Italiani popolo di analfabeti, o quasi. Pare che in età adulta si deteriorino le competenze costruite a scuola, e che la regressione riguardi le abilità generali di base: leggere, scrivere e anche far di conto. A dirlo è la ricerca internazionale Piaac - Programme for the International Assessment of Adult Competencies - un'indagine sui livelli di conoscenza e capacità degli adulti in lettura e comprensione di testi scritti, risoluzione di problemi matematici, conoscenze linguistiche.
Dall'inchiesta, che ha interessato un campione di 166mila adulti (tra i 16 e i 65 anni), risulta infatti che all'Italia spetta il primato negativo in Europa per il cosiddetto «analfabetismo di ritorno», seguita da Spagna e Francia: la regressione colpisce in modo più grave le popolazioni in cui non c'è una cultura diffusa del leggere e del tenersi informati. Questi risultati sono stati presentati a Napoli in un seminario organizzato dal professor Emilio Balzano dell'Università Federico II, che ha visto la partecipazione di Tullio De Mauro, linguista, professore emerito dell'Università di Roma La Sapienza, già ministro della Pubblica istruzione (nel 2000-01).
Professor De Mauro, quali sono le cause principali che determinano questa regressione?
«Quella principale è una tendenza d'ordine biologico e psicologico: data la natura selettiva della nostra memoria, si constata che in età adulta tendiamo a regredire di cinque anni rispetto ai livelli massimi raggiunti durante gli studi a meno che, ed è fondamentale, non continuiamo a esercitare quella competenza. Per esempio, nell' ultimo anno di liceo ci siamo inoltrati in argomenti non elementari di matematica ma, se non diventiamo bancari, geometri o ingegneri, la nostra matematica adulta si rattrappisce e, se va bene, torna ai livelli della terza media. Così avviene per ogni altro campo. Se non leggiamo libri o romanzi, di tutta la storia studiata restano brandelli sospesi nel vuoto: Pirro re dell' Epiro, Stlicone, trattato di Campoformio».
Ma siamo sicuri che sia una novità? O semplicemente prima certe cose non si misuravano? In fondo molti esercitano la lettura solo a scuola, poi smettono.
«No è del tutto una novità. Negli anni Novanta alcuni di noi hanno insistito sul fatto che gli analfabeti non sono solo quelli che si dichiarano tali ai censimenti dell'Istat, ma ce ne sono molti altri. Cercavamo di formulare ipotesi attendibili partendo da altri dati: meno di metà della popolazione adulta leggeva giornali, meno di un terzo libri, il 20-25 per cento dei licenziati alle scuole inferiori avevano gravi difficoltà di lettura e scrittura. Ma erano solo congetture e venivamo criticati. Poi le indagini promosse in vari paesi e in Italia da Statistics Canada sono state riprese su scala più ampia dall' Ocse nel 2012-13. Grazie a cinque questionari di difficoltà crescente, abbiamo un quadro analitico certo dei diversi livelli di capacità di lettura e di uso di strumenti matematici e scientifici della popolazione in età di lavoro di 23 Paesi, Italia compresa».
La regressione colpisce le competenze di base della lettura e della scrittura. Rispetto a vent'anni fa, cosa è cambiato?
«La nostra conoscenza dei fatti. Nelle indagini fatte in Italia è restato costante un dato: solo il 30 per cento degli adulti ha un rapporto sufficiente con lettura, scrittura e calcolo. Gli altri si muovono solo in un orizzonte ristretto, subendo quel che succede senza saper capire e reagire».
C'è una specificità italiana rispetto agli altri Paesi interessati dallo studio?
«Certo, la quantità. In tutti i paesi ci sono masse consistenti di persone sotto il livello minimo di competenze. In Francia, Germania, Usa, Gran Bretagna, più della metà della popolazione è in questa condizione. Anche in paesi più virtuosi - Olanda, Finlandia, Corea, Giappone - la percentuale sfiora il 40».
È stata rilevata qualche differenza tra il Sud e il Nord Italia?
«Le differenze emergono solo per grandi comparti. Il Nord-Est ha livelli nord-europei, Sud e Isole tirano in basso, verso Spagna e Grecia, la percentuale complessiva. L'indagine offre una base eccellente per successivi studi più mirati e, soprattutto, per interventi che già sono stati individuati da un gruppo di lavoro interministeriale. Interventi che sarebbero possibili se le forze politiche volessero occuparsene».