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di Jean Georges Almendras
Due anni dopo un crimine di stato l'impunità fa orrore. Un crimine di Stato che lasciò una vittima, un cittadino argentino che per scelta (e per coscienza politica), si era unito alle comunità mapuche della provincia di Chubut, a 80 chilometri della città di Esquel, lungo la statale 40, in una zona vicina a El Bolsón. Un crimine di Stato contro l’artigiano e tatuatore Santiago Maldonado la cui lotta a fianco dei mapuche della Lof in Resistenza di Cushamen ha segnato una delle fasi più tragiche della lotta delle comunità mapuche dell'Argentina per recuperare le loro terre, nella regione patagonica. Una regione dove si incontrano l’attrazione turistica e la violenza dello stato esercitata in diverse forme contro i popoli originari. Un evento tragico accaduto nel 2017, precisamente il 1° agosto, che fu il preludio di una seconda tragedia che ha colpito le comunità mapuche di Bariloche: l'assassinio del giovane Rafael Nahuel, il 25 novembre. Anche questo un crimine di Stato.
Santiago Maldonado, pur non essendo mapuche, è un martire della lotta mapuche. Rafael Nahuel era un giovane di 22 anni, lui era un mapuche, e un altro martire della stessa lotta.
E gli assassini di entrambi erano (e sono) uomini bianchi che indossano un'uniforme. Un'uniforme che rappresenta l’autorità, ma che in questo caso la disonora trasformandosi nella divisa del terrorismo di Stato. Perché non possiamo ignorare, dalla nostra posizione di giornalisti o nella comodità delle nostre (vostre) case, che la persecuzione contro i popoli originari è stata la bandiera del terrorismo che il governo di Mauricio Macri ha sventolato in tutta la regione, con il sostegno dei grandi proprietari terrieri e dei mezzi di comunicazione al suo servizio. Per preservare i suoi sentimenti razzisti ed i suoi interessi di evidente profitto economico.
Facundo Jones Huala, il Lonko della Lof Cushamen (autorità spirituale e politica di una comunità mapuche argentina), rinchiuso in una prigione cilena da oltre un anno, vittima di un complotto tra uomini di potere del Cile e dell'Argentina, è ancora un baluardo della causa della nazione mapuche. Un uomo perseguitato per i suoi ideali. Un uomo vilmente sopraffatto dalla meschinità dell'uomo bianco al che abbraccia il sistema capitalista.
Facundo Jones Huala, da uomo libero, anche adesso che è privato della sua libertà, ha sempre stimato e reso onore a Santiago Maldonado. Un onore che ha radici nella sua stessa lotta perché considerava l'artigiano un mapuche come lui.
Oggi, 1° agosto del 2019, ricorre il secondo anniversario della morte di Santiago Maldonado. Un crimine di Stato che si culla nell’impunità. Impune da qualsiasi punto lo si guardi. Un crimine di Stato di cui i responsabili della sparizione forzata e successiva morte del giovane, hanno un nome e un cognome. Un crimine di Stato i cui retroscena delittuosi sono spiegati con chiarezza nel libro di Sebastián Premici “Santiago Maldonado un crimen de Estato", affinché tutti conoscano liberamente i sinuosi recessi della criminalità organizzata dall’interno della Casa Rosada. Un libro che consigliamo caldamente.
Oggi, 1° agosto del 2019, a due anni dal crimine di Santiago Maldonado, Facundo Jones Huala ed il Comitato di perseguitati politici per la causa mapuche hanno trasmesso un messaggio al giornalismo locale ed internazionale. Un messaggio incisivo. Diretto. Un messaggio di impegno.
"Il compagno Santiago Maldonado scomparve nel nostro territorio mentre rivendicava la mia libertà e la lotta territoriale del popolo mapuche. Non dimentichiamo la sua indole combattiva, solidale e fraterna perché scomparve mentre lottava a fianco di un movimento politico".
Come si ricorderà, il 1° agosto 2017, la Gendarmeria Nazionale (e criminale, nel vero significato della parola) assaltò illegalmente i membri della comunità in Resistenza di Cushamen, un territorio recuperato dalle mani dell’imprenditore Benetton. Maldonado sparì nelle acque del fiume Chubut, a pochi metri dal punto dove in seguito fu ritrovato il suo cadavere.
"Cerchiamo di portare avanti l'autonomia nonostante le nuove repressioni, l'incendio del posto di guardia e il costante logoramento che deriva dal ritrovarci quasi tutti sotto processo" ha dichiarato a Pagina 12 Andrea Millañanco, compagna di Facundo Jones Huala.
Mentre i membri del Comitato di perseguitati politici per la causa mapuche, in un comunicato sostengono che il corpo di Santiago Maldonado fu portato sul luogo del ritrovamento.
"A due anni dalla sparizione forzata e successiva morte del "wenuy" (amico) Santiago Maldonado comprendiamo bene perché il potere politico di turno in complicità con il potere giudiziario ha chiuso la causa".
Aggiungendo: "Oltre a quanto la famiglia di Santiago denuncia sugli esiti dell'autopsia (morte per annegamento, conservazione del corpo, documenti in perfetto stato), persistono degli interrogativi: Perché nella terzultima irruzione al Pu Lof hanno bloccato, sigillato e chiuso in una ‘ruka’ (casa), i ‘peñi/lamien’ (fratelli e sorelle), bloccando tutti gli accessi delle strade pubbliche per 12 ore nell’ambito di una massiva e violenta operazione delle forze armate speciali? Perché il giudice Lleral suggerì che l'ultima operazione fosse portata avanti in totale segretezza, senza la presenza di mezzi di comunicazione, organizzazioni sociali e comunità Mapuche? Che dire dei suggerimenti del capo di Prefettura Roata al giudice Lleral di effettuare l'ultima ispezione cominciando da un chilometro risalendo il fiume? (non dimentichiamo che Roata sarà in seguito uno dei responsabili dell'operazione in cui fu ucciso il weichafe (guerriero) Rafael Nahuel). Perché non fu perquisita la tenuta di Benetton né prima né dopo il ritrovamento di Santiago, essendo di pubblico dominio che lì esiste cella frigorifera? Perché Santiago aveva con sé il DNI in perfetto stato, mentre i suoi effetti personali erano nel suo zaino, che non fu mai ritrovato? Perché non fu effettuata la triangolazione di cellulare, sapendo che dal cellulare di Santiago qualcuno rispose ad una chiamata? Perché il perito della famiglia firmò in conformità i risultati dell'autopsia nonostante presentassero tante irregolarità? Perché i furgoni della Gendarmeria furono lavati prima di essere ispezionati? Perché fu rapidamente cancellato l’articolo giornalistico in cui Ricardo Bustos, riferiva dell'esistenza di un detenuto il 1° agosto nella Pu Lof"?
Infine, nel comunicato del Comitato si legge ancora: "La risposta a questi ed altri interrogativi è quella di garantire l'impunità della Gendarmeria, di Pablo Nocetti, Patricia Bullrich, Mauricio Macri, Guido Otranto, Gustavo Lleral, Silvina Ávila e Ricardo Bustos" e mettendo in evidenza che "lo Stato è responsabile".
Al momento della pubblicazione del presente articolo, almeno così era previsto, era in programma una mobilitazione a Plaza de Mayo, in occasione dell’anniversario della sparizione forzata seguita dalla morte, di Santiago Maldonado.
Sergio Maldonado, fratello di Santiago Maldonado, al momento della sua convocazione ha dichiarato agli organi di stampa: "l’importante è non cadere in alcuna provocazione e neanche avere paura di cosa possa fare il Governo durante la marcia. Lo slogan sarà "Basta impunità, no all’archiviazione della causa e giustizia per Santiago, e per gli altri casi di crimini provocati dalla violenza dello Stato".
Dalla nostra redazione di Montevideo, Uruguay, esortiamo a ricordare (e denunciare, senza peli sulla lingua) che la sparizione forzata e la morte di Santiago Maldonado, ha dimostrato e dimostra ancora oggi in modo grave fino a che punto si può spingere uno Stato criminale, pur di raggiungere un obiettivo altrettanto criminale nella loro persecuzione di perseguire i popoli originari in Argentina.
Dalla nostra redazione di Montevideo riteniamo sia un atteggiamento altrettanto criminale l‘indifferenza cittadina e giornalistica di fronte ad un episodio di simile portata. Un episodio che ha generato ovunque "paure." Come ad esempio le minacce ricevute dallo scultore Julio César Báez, fermato mentre realizzava una scultura del giovane Santiago Maldonado.
La causa di Santiago Maldonado è alla deriva, in una democrazia anche essa alla deriva fintanto che l'impunità continuerà a regnare nei confronti della causa mapuche e nei confronti di un'infinità di conflitti sociali. Lunedì 5 Luglio sono trascorsi sei mesi dall'appello presentato dalla famiglia Maldonado alla Camera del Commodoro Rivadavia, ma la risposta non è ancora arrivata.
Al riguardo Sergio ha detto pubblicamente: "La causa è chiusa in prima istanza… Non ne chiediamo la riepertura perchè non è stata chiusa in maniera definitiva, ma che si inizi ad indagare".
Due anni dopo questo crimine di Stato gli assassini materiali e quelli ideologici camminano ancora liberi lungo le strade di Buenos Aires.
Anche questo è un fatto criminale e orrendo. Mauricio Macri è il responsabile. Lo Stato argentino è responsabile.

*Foto di Copertina: www.laizquierdadiario.com

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