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vaticano-2013-03di Marco Ansaldo - 1° febbraio 2015
La relazione del Promotore di giustizia: “In una circostanza i narcos sfuggiti alla cattura per colpa della stampa tedesca”. Nel 2014 due casi di pedopornografia e 6 arresti. Nominato un curatore per la scomparsa di Emanuela Orlandi
Città del Vaticano. Traffico di droga, detenzione di materiale pedopornografico, truffe, furti. Solo mezzo chilometro quadrato di superficie, e reati tutt’altro che consoni a uno Stato santo per definizione. Anzi, proprio di nome. Il Vaticano, la Santa Sede. Crimini però, a quel che si afferma, in gran parte sventati dalla Gendarmeria.
Eppure, a leggere la relazione di apertura dell’anno giudiziario del Tribunale vaticano, presentata ieri dal promotore di giustizia, il professor Gian Piero Milano, i reati «sono purtroppo statisticamente in crescita». Nel 2014 le decisioni del giudice unico in materia penale sono state 62 (6 gli arresti), e il rapporto con il numero dei cittadini vaticani è, ovviamente, impressionante. In uno Stato dove i residenti sono 800 e meno di 600 possiedono la cittadinanza, le decisioni in materia penale sono numericamente superiori al 10 per cento. Anche se, in realtà, i reati sono commessi soprattutto da borseggiatori italiani e stranieri.
Ma quella fatta in occasione del nuovo anno giudiziario è un’analisi rivelatrice del mondo a volte oscuro che si cela in Vaticano. Con un’apertura, ieri del tutto a sorpresa, sul caso Orlandi il quale è stata chiesta la nomina di un curatore. Il promotore di giustizia ha voluto ricordare il dramma della famiglia di Emanuela, la cittadina vaticana di 16 anni scomparsa il 22 giugno 1983, con grande rispetto. Ha parlato di «un caso delicato, dai tratti in larga parte irrisolti, che ha suscitato negli anni l’attenzione dei mass-media e dell’opinione pubblica per le sconcertanti modalità con cui è avvenuto».

È la prima volta che, con un atto ufficiale, il papato di Francesco si occupa del caso. Più volte il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, si è battuto scendendo anche in piazza e chiedendo al Pontefice un aiuto. E Bergoglio si è infine mosso, mostrando sensibilità. «Dubito che Papa Francesco sia rimasto indifferente — dice Orlandi — forse queste poche righe del pg vaticano sono un segnale di interessamento. Si parper la di caso irrisolto, quindi di un mistero. I misteri si risolvono. Questo accenno lo considero un fatto positivo».
Molti sono poi gli spunti citati dal promotore sui reati del 2014. E la piaga del traffico di droga non ha risparmiato il Vaticano. «Tentativi isolati» — si legge — non hanno «purtroppo lasciato indenne il nostro piccolo Stato» ma sono stati «neutralizzati sul nascere». Un caso è stato rimarcato. Quello di una «consegna controllata della sostanza stupefacente» transitata attraverso uno Stato comunitario. Ma «l’improvvida divulgazione della notizia da parte di un quotidiano straniero — così dice la relazione — ha reso vana l’operazione congiunta tra forze di polizia di diverse nazionalità, non essendosi presentato alcuno per il ritiro del plico contenente la sostanza stupefacente». Secondo lo scoop della Bild am Sonntag, il 19 gennaio 2014, all’aeroporto di Leipzig la Polizia di frontiera tedesca scoprì 340 grammi di cocaina avvolti in 14 preservativi, in un pacchetto proveniente dalla Colombia con indirizzo finale in Vaticano. Prezzo al mercato nero: 40.000 euro.
Uno dei due casi di pedopornografia affrontati dal procuratore, ha poi spiegato il portavoce della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, «riguarda monsignor Wesolowski», l’ex nunzio polacco. E un’altra indagine è quella su monsignor Bronislaw Morawiec, l’economo polacco di Santa Maria Maggiore, la basilica dove spesso il Papa va a pregare prima e dopo i suoi viaggi, già condannato per «truffa aggravata» per aver tentato di appropriarsi di 210 mila euro appoggiati in un conto Ior.
Il pg vaticano ha infine rimarcato «l’importanza delle intercettazioni come vero strumento di indagine». E sul caso di monsignor Nunzio Scarano, imputato per truffa, riciclaggio e corruzione, ha accusato l’Italia di aver trasmesso materiali «non solo risultati lacunosi», ma con «modalità di acquisizione di alcune prove, che si possono definire improprie e non in linea con i vigenti protocolli internazionali».

Tratto da: La Repubblica del 1° febbraio 2015

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