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La libertà di stampa non s'ha da fare, non nell'Afghanistan dei Talebani.
E come fedeli soldati del nuovo regime, hanno inciso questo diktat direttamente sulla pelle di due giovani giornalisti afghani che lavorano per il loro giornale Etilaat Roz, uno dei principali quotidiani dell'Afghanistan. Taqi Daryabi, fotoreporter di 22 anni, e Nematullah Naqdi, cameraman di 28. I loro corpi parlano da soli delle violenze subite. Tutti e due sono coperti di ecchimosi ed ematomi, Daryabi mostra larghe lacerazioni sotto il mento - è stato colpito agli zigomi, pochi millimetri dagli occhi - e Naqdi ha un’ampia garza incerottata sulla guancia destra.
La loro colpa? Quella di aver voluto riprendere una manifestazione di protesta contro il regime nascente. Hanno subito prima delle minacce per strada, mentre uno dei soldati ha cercato di togliere loro la telecamera - che i due reporter sono però riusciti a consegnare di nascosto a una dimostrante - poi si è passati alla violenza fisica: sono stati trascinati di forza dentro il commissariato e picchiati per ore.
Ci hanno catturati - ha raccontato Taqi Daryabi al Corriere della Sera - e poi picchiati fino a farci svenire. Ci hanno colpito con dei bastoni con tutta la loro forza. Dopo le botte, ci hanno trascinati in una cella assieme ad altre persone”. In seguito i due giovani sono stati trattenuti per quattro ore prima di essere rilasciati e tornare alla sede del loro giornale e quindi in ospedale.
Dopo l'episodio sono stati numerosi i giornalisti che si sono recati alla sede di Etilaat Roz per intervistarli. I giornalisti hanno mostrato i segni delle percosse, si sono mossi a fatica, ancora intorpiditi dal pestaggio. "Se non fosse per gli antidolorifici dovremmo rimanere stesi a letto", hanno detto. "È avvenuto ieri mattina (7 settembre, ndr) - ha raccontato Taki - dai social avevamo saputo che ci sarebbe stata una nuova manifestazione di donne nel Distretto numero tre della capitale. Siamo arrivati presto, abbiamo incontrato una trentina di loro che stavano preparando cartelli e volantini. Quando hanno iniziato a sfilare sono arrivati i talebani armati. Mi hanno catturato una prima volta. Sono riuscito a divincolarmi. Le donne si sono messe attorno per proteggermi. E questo perché i talebani picchiano e persino minacciano di uccidere gli uomini che li contestano. Con le donne sono relativamente più leggeri. Poi però mi hanno preso una seconda volta e non c’è stato scampo". Il trasporto nella stazione di polizia e poi le botte. "Sono svenuto una prima volta. Mi hanno buttato in faccia un secchio d’acqua e hanno ripreso. Ho perso di nuovo i sensi. Uno di loro mi aveva legato mani e piedi, premeva la suola di una scarpa sul collo mentre gli altri bastonavano. Poi ho visto che picchiavano anche Nematullah", ha continuato il giovane.
Tuttavia il loro non è stato un caso isolato benché ne dicano i nuovi soldati nell’Emirato dei mullah.
Zaki Daryabi, 33 anni, il direttore del suddetto giornale, ha specificato che almeno 5 dei suoi 45 giornalisti sono stati arrestati negli ultimi giorni. "Per noi è l’eclissi dell’era della libertà di stampa in cui siamo cresciuti negli ultimi vent’anni. Siamo tutti minacciati, non ci resta che denunciare pubblicamente gli abusi nella speranza che la comunità internazionale possa aiutarci", ha detto il Zaki senza nascondere tuttavia un profondo senso di impotenza, "temo che dei nostri e vostri appelli a loro importi molto poco. E' un regime allo stesso tempo teologico e politico. I loro poliziotti e militari si presentano come custodi della vera fede. Criticarli è come criticare Allah". I giornalisti del Corriere della Sera hanno inoltre riferito che altre sedi giornalistiche o sono state chiuse oppure hanno dovuto reinventarsi da capo per far fronte all'esodo di reporter fuggiti all'estero. "Abbiamo dovuto assumere una decina di giornalisti, ma sono tutti giovani senza esperienza. Inevitabilmente i programmi ne soffrono" ha detto Ismatullah Niazi uno dei nuovi dirigenti.
Grave colpo anche per le donne. Molte di loro facevano i reporter e sono quasi tutte sparite. "Noi abbiamo sofferto vent’anni per combattere la jihad. Ora tocca a voi soffrire e se fosse necessario saremmo anche pronti a uccidere tutti i giornalisti" ha detto un talebano al fotografo Wahid Ahmadi, che non si è mai tirato indietro nel mostrare al mondo le ingiustizie del nuovo regime. "Con me era stato arrestato anche un giornalista norvegese - ha detto il fotografo - ho sentito due talebani dire che volevano ucciderlo perché infedele".
Sono episodi molto tristi ma anche molto familiari. Si perché il regime dei Talebani non è poi tanto diverso da quello delle nostre dittature che molti fedeli del "santo manganello" stanno ancora sostenendo.

Fonte: corriere.it

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