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di Karim El Sadi
Ieri l’anniversario della morte del cantante cileno torturato e ucciso dai militari di Augusto Pinochet

16 settembre 1973, in Cile è stato da pochi giorni assassinato il presidente Salvador Allende, leader di “Unidad Popular”: Al suo posto il generale Augusto Pinochet ha preso il potere con un colpo di Stato sostenuto dalla Cia instaurando una dittatura che durerà 17 anni. Santiago del Cile è sotto l’assedio della giunta militare, le strade pullulano di soldati e i cieli grigi sono solcati dai caccia. Sotto di loro sindacalisti, attivisti, studenti, operai, giornalisti, oppositori politici e artisti dissidenti vengono prelevati e arrestati. Alcuni vengono fucilati, altri vengono fatti semplicemente sparire. Altri ancora invece vengono detenuti per mesi o anni durante i quali vengono sottoposti alle torture più atroci che l’umanità abbia mai conosciuto. Tra questi c’è un cantante. Il suo nome è Lidio Jara Martínez, in arte Victor Jara. Figlio di contadini Jara viene al mondo il 28 settembre del 1938 a Lonquen, una piccola città nei pressi di Santiago del Cile. Amante della musica e della sua chitarra Victor Jara si appassiona di musica popolare cilena e di politica. “Manifiesto”, “Vientos del pueblo” e “El derecho de vivir en paz”, questi alcuni dei brani che lo consacreranno, specie l’ultimo divenuto emblema della musica folcloristica cilena nel mondo. Victor Jara scrive della sua terra, il Cile, della sua gente, umile operaia, ma scrive anche delle ingiustizie e della fame che questa è costretta a subire. Jara diventa così l'elemento portante del movimento musicale e culturale conosciuto come "Nueva Canción Chilena". "Io sono un lavoratore della musica, non sono un artista. Il paese ed il tempo diranno se sono artista. In questo momento sono un lavoratore, un lavoratore che ha la consapevolezza di far parte della classe lavoratrice che lotta per costruire una vita migliore”, dice di sé Victor Jara a un mese circa dal suo assassinio. Il periodo in cui diventa famoso coincide con il processo sociale e politico che accompagnava quell’arco di storia del Cile poi culminato con la vittoria di Salvador Allende alle elezioni che Jara sostiene esibendosi a favore degli ideali del suo partito. Quel tragico 11 settembre 1973, giorno del colpo di Stato, Víctor Jara, come molti alunni e professori dell'Università in cui si trovava, decide di rimanere sul posto ed accompagnare la resistenza. L’indomani viene catturato insieme ad altri 600 studenti universitari trasferiti nello stadio di calcio della Capitale, trasformato in centro di detenzione, luogo di sangue e di morte dove si trovavano le celle per i prigionieri e le buie stanze adibite alla tortura. L’artista viene riconosciuto da un alto ufficiale. “Sei tu Victor Jara, il cantautore marxista, il cantautore di merda?”.

jara victor cavallo da cinquecolonne it

Alla domanda segue un sordo colpo alla spalla con il calcio del fucile da parte di un militare. Victor cade a terra, l’ufficiale continua a malmenarlo violentemente al petto, alla testa e al volto. A fermare il pestaggio sono gli occhi delle centinaia di detenuti che assistono attoniti alla scena. Victor viene quindi portato nei sotterranei dove continuano a picchiarlo. Resterà li dentro per pochi giorni. Gli vengono spezzate le dita delle mani così che non possa più scrivere, così che non possa più dare vita alla sua amata chitarra. Alla violenza cieca dei carcerieri in divisa si aggiunge anche l’umiliazione. Lo invitano a cantare le sue canzoni, lo deridono. Con uno sforzo immane Victor Jara li sfida e canta. E’ l’arte che vince sulla brutalità. E’ l’amore che vince sull’odio. Per tre giorni continuano a torturarlo con una spietatezza ai limiti del diabolico. Ormai allo stremo delle forze, con la lingua mozzata per impedirgli di cantare e parlare, Victor Jara viene ucciso con 44 colpi di mitragliatore. Il suo cadavere viene ritrovato accanto alla ferrovia, accanto a un muro divisorio del Cimitero Metropolitano, nel comune di El Espejo. A trovarlo, un uomo che abitava lì vicino. Successivamente nell'obitorio, il suo corpo viene nuovamente riconosciuto da un funzionario, Héctor Herrera, all’epoca ventenne, che in quel momento decide di fare qualcosa di estremamente coraggioso. Decide che Victor non fosse un corpo da destinare ad una fossa comune. Herrera rintraccia quindi la moglie di Victor, Joan Thorn, che prenderà poi il cognome di Victor, Joan Jara. Herrera porta Joan all'obitorio per il riconoscimento finale. Sono momenti durissimi per lei. La donna ha solamente il tempo di organizzare un funerale sbrigativo e la sepoltura, prima di lasciare segretamente il paese, portando con sé alcune incisioni delle ultime canzoni del marito. Ne seguirà un processo, ma i colpevoli verranno condannati solo a 45 anni di distanza dall’omicidio quando, pensionati, hanno avuto modo rifarsi indisturbati la loro vita, sotto l’ala di impunità garantita dal “Plan Condor”, il piano segreto frutto della mente sinistra di Richard Nixon e di Henry Kissinger pensato per sopprimere la minaccia comunista in America Latina con l’instaurazione di dittature sanguinarie.
Oggi la voce di Victor Jara riecheggia ancora tra le strade del Cile. Riecheggia tra i villaggi dimenticati dal governo. Tra i resilienti della comunità Mapuche. Riecheggia tra il milione di cileni scesi in piazza per chiedere le dimissioni di Sebastian Piñera che un anno fa hanno intonato all’unisono “El derecho de vivir en paz” riportando in vita il grande cantante e la sua rivoluzione culturale.

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