di Margherita Furlan - Video
Le immagini divulgate da Press TV parlano più di ogni parola.
“Blood for Oil” è l’operazione - così battezzata dal sito americano Daily Beast - con cui Donald Trump spedisce in Siria 2mila uomini con trenta carri armati modello Abrams per fare la guardia ai pozzi petroliferi di Der ez-Zor, nell’est della Siria controllato dalle milizie curde. Trump ha così prima trasferito dalla Siria all’Irak mille uomini per poi rispedirne 2mila a Deir ez-Zor per circa 24mila barili di petrolio al giorno - contro i 350mila del livello pre-bellico nel 2011, un quantitativo anche allora modesto e destinato in gran parte al consumo interno. Il vicino Irak, invece, produce 5-6 milioni di barili al giorno di ricco oro nero. Il Paese, con 150 miliardi di barili di riserve, è una cassaforte di energia, così come l’Iran, che ha le seconde riserve di gas al mondo dopo la Russia. Ma, disgraziatamente per l’Europa, è sotto embargo americano. “Ci prenderemo il petrolio siriano per evitare che cada in mano all’Isis e lo daremo alle nostre compagnie”, ha dichiarato il presidente Donald Trump dopo l’ennesima morte annunciata del Califfo Al Baghadi.
Ma secondo le immagini fornite dal ministero della Difesa russo, il petrolio siriano, sia prima che dopo la sconfitta dell’Isis, è stato costantemente estratto e inviato con ingenti quantitativi di autocisterne fuori dalla Siria, sotto la protezione dei militari americani e delle compagnie militari private. La produzione e la raffinazione del greggio è realizzata con attrezzature fornite dalle principali società occidentali aggirando tutte le sanzioni americane, mentre le operazioni di esportazione sono eseguite dalla società Sadcab, controllata dagli americani stessi. Un vero e proprio contrabbando di petrolio, il cui ricavato secondo l’intelligence russa, supererebbe i 30 milioni di dollari al mesi, soldi che finirebbero direttamente sui conti privati delle compagnie di contractors statunitensi. E Langley dovrebbe saperlo bene, a quanto pare. Così, in violazione di ogni legge internazionale, Washington rende chiaro che impedirà la costruzione di qualunque pipeline che dall’Iran, attraversando l’Irak, raggiunga la Siria e il Mediterraneo, motivo quest’ultimo che, tra l’altro, è una delle vere cause per cui è scoppiata la guerra per procura in Siria.
Ma la bandiera Usa sui pozzi siriani è anche un inequivocabile messaggio che Washington manda contemporaneamente all’Europa, alla Russia e alla Turchia. Gli Usa vogliono controllare il flusso delle risorse energetiche e determinare le quote di potere economico e politico degli Stati della regione medio orientale ma anche della Russia e della Turchia, Paesi che, dopo avere inaugurato il Turkish Stream che approderà in Europa attraverso i Balcani, hanno protestato duramente quando gli Stati Uniti hanno occupato i pozzi siriani.
“Ogni goccia di petrolio vale una goccia di sangue”, diceva Lord Curzon che alla fine della prima guerra mondiale decise il destino dei pozzi irakeni di Mosul e Kirkuk. Fu quello il primo tradimento dei curdi misurato in barili di petrolio. Ma questa volta Mosca sembra non avere intenzione di stare semplicemente a guardare.
Perché le truppe d’invasione USA restano in Siria?
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