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L’ex pm di “Mani Pulite” è accusato di rivelazione e utilizzazione di segreto sui verbali di Amara, l'ex legale esterno di Eni

Parola alla difesa e poi sentenza nel processo a carico di Piercamillo Davigo accusato di rivelazione e utilizzazione di segreto sui verbali di Piero Amara, l'ex legale esterno di Eni e “avvocato dei misteri” che al procuratore aggiunto Laura Pedio e al pm Paolo Storari di Milano aveva parlato fra 2019 e 2020 della presunta “Loggia Ungheria”. Gli avvocati dell'ex pm di Mani Pulite, Francesco Borasi e Domenico Pulitanò, hanno preso la parola da pochi istanti nell'aula della Corte d'Assise di Brescia davanti al collegio della prima sezione penale. Dopo l'arringa eventuali repliche delle parti e oggi pomeriggio i giudici Spanò (Presidente), Macca e de Nisi si ritireranno in camera di consiglio prima del verdetto. I pm di Brescia Francesco Milanesi e Donato Greco, coordinati dal Procuratore Francesco Prete, hanno chiesto martedì scorso la condanna a un anno e 4 mesi con pena sospesa per aver indotto il pm di Milano Paolo Storari a consegnargli i verbali di sintesi di Amara e per 11 episodi di rivelazione di segreto avvenuto a Roma fra maggio e settembre 2020. Davigo è accusato di averne divulgato il contenuto o consegnato una copia all'ex vice presidente, David Ermini, l'ex primo presidente di Cassazione, Pietro Curzio, l'ex Pg di Cassazione, Giovanni Salvi, i consiglieri Csm Giuseppe Marra, Ilaria Pepe, Alessandro Pepe, Giuseppe Cascini, Fulvio Gigliotti, Stefano Cavanna, l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, e le assistenti amministrative al Consiglio Giulia Befera e Marcella Contraffatto. La parte civile - il magistrato Sebastiano Ardita, inserito da Amara fra i nomi di “Ungheria” - ha chiesto un risarcimento per aver visto infangato il proprio nome con l'obiettivo - ha sostenuto il suo legale Fabio Repici, - di orientare il voto per la Procura di Roma nel 2020 dopo l'addio di Giuseppe Pignatone e sul quale i due erano in disaccordo nonostante fossero compagni di corrente e in passato co-autori di libri assieme. I principali nodi da sciogliere in sentenza sono di interpretazione e temporali: i giudici dovranno decidere se Davigo poteva, o addirittura aveva il diritto-dovere davanti a Storari che lamentava un "muro di gomma" da parte dei suoi capi e colleghi nello svolgere indagini sulle affermazioni di Amara, di accedere ad atti coperti da segreto investigativo bypassando le due circolari del Csm del 1994-1995 che disciplinano la trasmissione formale degli stessi a Palazzo dei Marescialli. Il magistrato in pensione ha sostenuto di voler evitare le fughe di notizie come era già avvenuto al Csm sul “caso Palamara” e che nessuno tra i vertici della magistratura gli ha mai chiesto di fare una relazione o di formalizzare. In secondo luogo bisognerà stabilire se l'ex presidente della Anm e presidente di sezione in Cassazione credesse alle rivelazioni di Amara o le abbia usate discrezionalmente nel tentativo di condizionare il Consiglio superiore sulla nomina della Procura di Roma e sull'età del suo pensionamento. Quasi tutti i testimoni riferiscono di averlo visto "preoccupato" in quelle settimane di maggio-giugno 2020, al limite della paranoia, tanto da fare le sue rivelazioni nei parcheggi o negli androni delle scale chiedendo di lasciare in stanza i telefoni cellulari. Mai chiarite invece in dibattimento le date-chiave della vicenda, anche a causa del fatto che l'imputato e alcuni dei principali testimoni - il Pg Salvi e l'ex Procuratore di Milano, Francesco Greco - hanno perso o venduto il telefono prima delle indagini, in alcuni casi poche ore prima delle perquisizioni: manca il giorno preciso in cui Storari si è recato sotto lockdown a casa di Davigo per consegnarli una pen drive con i verbali di Amara in formato word. I due collocano il momento nei primi dieci giorni di aprile. Davigo ha riferito di esserseli mandati via mail il 7 aprile per poi stamparli a Roma il 4 maggio (temendo un furto sul treno se li avesse portati con sé), giorno in cui comincia a parlarne ad altre persone. I pm di Brescia, e soprattutto la parte civile, hanno fatto aleggiare in più occasioni il sospetto che l'ex magistrato sapesse delle dichiarazioni di Amara almeno due mesi prima, portando come indizi alcuni atteggiamenti tenuti nei confronti di Ardita come la frase "tu mi nascondi qualcosa" urlata in presenza di altre persone poche ore prima del plenum del Csm del 3 marzo per la nomina della Procura di Roma. Date “fumose” anche rispetto agli episodi di rivelazione a Roma e alle cene organizzate per parlare "dell'età pensionabile dei magistrati" a casa dell'ex presidente di sezione al Consiglio di Stato, Sergio Santoro, indicato da Piero Amara come membro della loggia massonica e prima ancora finito sotto indagine per corruzione in atti giudiziari - completamente archiviato e scagionato - a causa di alcune dichiarazioni rese dal socio dell'avvocato siciliano, Giuseppe Calafiore. Secondo gli avvocati di Davigo sono quegli incontri avvenuti prima che sapesse di “Ungheria”. Per la difesa di Ardita sarebbero invece avvenute mesi dopo - settembre-ottobre 2020 - dimostrando come Davigo non avesse problemi a frequentare quelli che all'epoca riteneva presunti massoni o non desse credito alle calunnie di Amara se non dove gli faceva comodo pensarlo.

Foto © Imagoeconomica

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