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Il magistrato testimone a Brescia al processo a carico dell’ex pm di “Mani Pulite” imputato per violazione di segreto d’ufficio

I verbali di Amara? Non sono “nemmeno calunnie”, ma “pattumiera con un fondamento nel nulla. Non avrei voluto che circolassero”. Quanto alle divergenze con Davigo “ci fu una frizione importante” all’interno del gruppo “Autonomia & Indipendenza” sulla nomina del Procuratore di Roma. E con l’arrivo al Csm di Nino Di Matteoci fu il vero problema”. “Davigo mi disse di non volerlo: 'Non lo stimo. Ha fatto il processo Trattativa in cui è coinvolto Di Maggio che conoscevo bene. Non lo voglio appoggiare'". Sono parole che pesano come macigni quelle pronunciate a Brescia lo scorso giovedì 23 febbraio dal magistrato Sebastiano Ardita depositate al processo a carico di Piercamillo Davigo.
Quest’ultimo, l'ex pm del pool di “Mani Pulite”, è imputato per rivelazione di segreto d’ufficio per aver rivelato ad alcuni membri del Csm ed a un parlamentare il contenuto dei verbali secretati dell'ex legale esterno di Eni, Piero Amara, nei quali, secondo la Procura di Milano e di Perugia erano contenute calunnie e si parlava della presunta Loggia “Ungheria”.
Ardita, che da poco ha concluso il suo mandato da consigliere togato al Csm, davanti alla Corte presieduta da Roberto Spanò (pm Francesco Carlo Milanesi e Donato Greco) ha testimoniato in qualità di parte civile ricostruendo alcune vicende che lo hanno riguardato all’interno di Palazzo dei Marescialli. Tra queste la circolazione dei verbali di Amara all’interno del Consiglio, il cambiamento dei rapporti amicali e istituzionali con il consigliere Davigo, l’isolamento ricevuto successivamente alla pubblicazione dei verbali in cui lo stesso Ardita era rappresentato come un appartenente alla loggia coperta, e altro.


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L'ex magistrato, Piercamillo Davigo, e il suo legale, Francesco Borasi © Imagoeconomica


Sentita in aula anche la procuratrice della Dda di Milano Alessandra Dolci, la quale si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Stessa decisione per l’ex segretaria al Csm di Piercamillo Davigo, Marcella Contraffatto, da poco prosciolta dall'accusa di aver calunniato il procuratore di Milano Francesco Greco nell'ambito dell'inchiesta sui verbali. Anch’essa, come la Dolci, dopo la lettura da parte del Presidente Spanò delle dichiarazioni spontanee rese al Gup, si è avvalsa della facoltà di non rispondere, “perché vi è un secondo procedimento penale pendente, in cui le viene contestata la rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale, che risulta ancora pendente come da certificato rilasciato dall’ufficio 335 in data 18 febbraio 2023”, ha spiegato la sua avvocatessa. Tra i testi uditi anche la giornalista Liana Milella, una delle persone destinatarie del plico contenente i verbali di Amara, e l’ex consigliere togato del Csm Giuseppe Marra. Quest’ultimo, sentito in qualità di teste assistito (perché risulta iscritto presso la Procura di Roma “per i reati di ‘Omessa denuncia’ e ‘Distruzione del corpo di reato’ a seguito della trasmissione degli atti da parte del Gup di Roma Nicolò Marino che giudicava la Contrafatto), non si è avvalso della facoltà di non rispondere precisando - tra le altre cose - di aver distrutto il plico dei verbali di Amara che Davigo gli diede quando lasciò il Csm perché “erano documenti che scottavano, non volevo guardarli. Li ho strappati, li ho messi una busta grande e li ho buttati in un cassonetto della carta”.

Frizioni: su Fava un dietrofrónt
Per comprendere la vicenda che ha travolto l’ex consigliere togato Sebastiano Ardita è bene prima analizzare gli umori interni al gruppo da lui fondato sulla scissione da “Magistratura Indipendente”, ovvero il gruppo di “Autonomia & Indipendenza”. A&I, ha detto Ardita in aula, è nato “da un lungo travaglio [di lavoro] importante anche dentro il gruppo di M.I. che poi si separò e diede luogo alla nuova formazione”. Prima di allora, a differenza del magistrato catanese che da qualche anno prestava già servizio al Csm, Davigo non lavorava a Palazzo dei Marescialli e fu proprio su spinta di Ardita che l’ex pm di “Mani Pulite” accettò e si convinse ad entrare nel gruppo di A&I, nato il 18 gennaio 2015. “Il nostro mandato era quello di essere contro la democrazia verticale in cui decidono in pochi sul destino di molti. Quindi i gruppi non rientravano nella nostra linea - ha spiegato Ardita -. Tant’è che per il procuratore di Roma, la prima importante nomina che si venne a determinare, Davigo votò per Marcello Viola per una serie di ragioni. Poi a queste vicende se ne aggiunsero altre. Una in particolare, per esempio, riguarda la questione della conoscenza che facemmo del collega Stefano Fava che era pubblico ministero a Roma e che io conobbi per il tramite di un altro collega: Erminio Amelio”. Ardita e Davigo si incontrano un paio di volte con i due iscritti a “Magistratura Democratica”. Entrambe persone “libere e molto integre”, le ha definite il magistrato catanese. Il teste ha richiamato la vicenda di Fava per ricostruire come i rapporti tra lui - Ardita - e Davigo siano mutati nel corso del tempo, aggravandosi sempre più.


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La sede del Csm a Roma nel Palazzo dei Marescialli © Imagoeconomica


Durante gli incontri, Fava avrebbe manifestato ai colleghi un problema all’interno della Procura di Roma. In particolare, stando alla testimonianza di Ardita, non riusciva a portare avanti un’indagine sull’avvocato Amara perché aveva degli ostacoli dentro la Procura capitolina. Per questa ragione si rivolse ad Ardita che tempo addietro si occupò di vicende giudiziarie riguardanti l'ex legale esterno di Eni, sia a Messina sia a Catania.
Fava sapeva che io facevo parte della 1° Commissione e ritenne di dovermi rassegnare questa vicenda” anche se la ragione degli incontri era un'altra, ha detto l’ex consigliere togato. “In quel momento lui mi esternò senza preavviso questo problema, noi ne prendemmo atto e gli dicemmo di fare quello che doveva fare e che ce ne saremmo occupati nelle sedi opportune”, ha continuato Ardita. Successivamente Fava “fece un esposto che non venne mai trattato a causa della vicenda dello Champagne e dunque saltò tutto”. La somiglianza alla vicenda Storari è evidente, con la differenza che “Fava non ci diede nessun fascicolo, non ci rivelò nulla e gli dicevo di fare ciò che doveva nelle sedi opportune”. Ma allora dov’è il punto in tutto ciò? Stando al racconto di Ardita, tra lui e Davigo iniziarono ad esserci delle “divergenze di opinioni” su Fava. L’ex magistrato milanese iniziò a “prendere le distanze” dal collega che aveva denunciato uno stallo nella Procura di Roma, e iniziò a considerarlo “un personaggio poco raccomandabile per le sue iniziative, nonché un pezzo dello Champagne (cosa che non era) e quindi a quel punto diventò una cosa un po’ più dialettica”, ha detto Ardita. La vicenda riguarda gli incontri all’hotel di Roma tra magistrati e politici per pilotare le nomine ai vertici delle più importanti procure italiane. Lo scandalo, tra le altre cose, ha riguardato alcune intercettazioni tra Luca Palamara e i parlamentari Cosimo Ferri e Luca Lotti per indirizzare la nomina del procuratore capitolino.


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L'ex magistrato e consigliere del Csm, Luca Palamara © Imagoeconomica


“Di Matteo non lo voglio. Non lo stimo”. E poi: “Ha fatto il processo Trattativa…”
Dal racconto di Ardita sono emersi ulteriori aspetti e comportamenti di Davigo all’interno del Csm. Financo all’interno del gruppo di “Autonomia & Indipendenza”. “Quando arrivò Di Matteo al Csm ci fu il vero problema - ha detto Ardita -. Di Matteo al Csm sostanzialmente riproduceva quello che noi volevamo fare all’inizio: un atteggiamento che non guardi in faccia i gruppi; che si allinei alla migliore interpretazione; che difenda i colleghi rimasti soli. Quello che doveva essere lo spirito originario del gruppo”. Nel suo racconto, il magistrato ha analizzato quanto accaduto con la nomina del procuratore di Roma. “Lì ci fu un momento fondamentale di frizione - ha detto -. Già in precedenza Di Matteo interveniva smentendo Davigo in Consiglio per alcune scelte, anche nelle nostre riunioni dove spesso ci vedevamo e discutevamo delle prospettive. Per queste ragioni si creò una sorta di bipolarismo dentro il nostro piccolo mondo di poche persone. Mentre io le cose a Davigo le ho dette sempre in modo attento e molto misurato, Di Matteo magari andava più per la strada principale, le affrontava in modo più diretto. Questo creò una situazione di scarsa tolleranza di Davigo rispetto a questa realtà”. “Tenga conto del fatto - ha proseguito Ardita rivolgendosi al Presidente Spanò - che Di Matteo arriva al Csm con l’appoggio del nostro gruppo. Davigo non lo voleva. Mi disse: ‘Non lo stimo. Ha fatto il processo Trattativa in cui è coinvolto Di Maggio che conoscevo bene. Non lo voglio appoggiare’. In risposta gli dissi che, oltre ad essere un grande magistrato, ‘Di Matteo è una persona molto in linea con il nostro pensiero ed è carta vincente contro le correnti’”. Nulla da fare. “Questo pregresso comportò una difficoltà di rapporti anche tra Davigo e Di Matteo”, ha evidenziato Ardita, il quale ha detto di essersi trovato di fronte ad una scelta non “tra persone che ritenevo comunque entrambe amiche e rispettabilissime”, bensì “una scelta tra linee di comportamento. Una era la scelta di aderire al gruppo di ‘Area’ (Davigo, ndr) e l’altra era il mantenimento di una linea indipendente dai gruppi e critica (Di Matteo, ndr). Ho preferito questa seconda. Lì probabilmente Davigo ebbe anche una reazione emotiva”.


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Il magistrato Nino Di Matteo © Imagoeconomica


La riunione di febbraio
Nel mese di febbraio 2020 ci fu una riunione del gruppo A&I nell’ufficio di Davigo in sua presenza. Un incontro “quasi scioccante”, lo descrisse Nino Di Matteo davanti Corte presieduta da Spanò lo scorso novembre. Assieme a lui, erano presenti anche i consiglieri Ardita, Marra e Pepe. “Noi arriviamo a questa riunione con un presupposto abbastanza importante in quanto facciamo una precedente riunione nella quale sia io che Di Matteo - ma anche i colleghi Marra e Pepe - diciamo a Davigo che dal nostro punto di vista non è pensabile votare per il collega Prestipino che, nonostante sia un ottimo collega, non ha i titoli sufficienti per reggere il confronto con gli altri candidati alla Procura di Roma - ha spiegato Ardita -. Davigo va in commissione e vota da solo per Prestipino”. Una scelta che non è stata intrapresa ha continuato Ardita, nemmeno dal gruppo di Area “che ovviamente era dietro la scelta di Prestipino, perché lo supportava e ben gradiva questa scelta, ma non si era sentito di votarlo perché nella precedente commissione aveva votato per Lo Voi che era candidato e sarebbe stata una grossa contraddizione”. Davigo, con quel voto, espose “il gruppo con una scelta che dal nostro punto di vista non aveva senso”. “Non eravamo affatto contenti di questa cosa - ha continuato il magistrato -. Andammo ad una riunione che precedeva il voto in plenum. Arrivammo ad una situazione un po’ paradossale perché mi chiamò la collega Pepe dicendomi di partecipare perché si sarebbe discusso del procuratore di Roma. Io gli risposi che essendo tutti contrari non c’era nulla di cui discutere. Solo Davigo era favorevole. Lei insistette. E iniziò a dare una spiegazione, parlando di forze che si contrapponevano alle questioni di giustizia e di forze oscure”. Quando poi prese la parola Davigo “perse le staffe. Urlandomi mi chiese perché io non avessi intenzione di votare Prestipino”. Ardita, ha raccontato di avergli spiegato le sue ragioni che erano meramente “tecniche” in quanto Prestipino “era un procuratore aggiunto più giovane che concorreva con due procuratori più anziani con più esperienze in uffici distrettuali e con grandi uffici alle spalle. Quindi erano situazioni diametralmente opposte e imparagonabili fra loro”. Poi, Davigo “perdette le staffe e iniziò a urlare”. “Mi disse: ‘Tu mi nascondi qualcosa, poi ti dico in privato’. Al che la Pepe mi disse nella premessa che c’erano ‘Questi dello Champagne’. Questa è l’espressione più inquietante che io ho recepito in quel momento. Dopo questa frase lui mi chiese: ‘Ma tu per chi voti?’ ‘Per Creazzo’, risposi affermando che mi sembrava il candidato più idoneo a svolgere questo ruolo. E lui mi disse: ‘Se tu voti Creazzo allora stai con quelli dello Champagne’. Gli chiesi come potesse dire un’affermazione del genere dato che quelli dello Champagne volevano colpire proprio Creazzo. Poi mi ha detto anche: ‘Se tu voti per Creazzo sei fuori dal gruppo’”. Ardita ha voluto sottolineare alla Corte come Davigo quel giorno si comportò in maniera incomprensibile. Probabilmente si comportò come una persona che aveva riserve mentali. L’ex pm di “Mani Pulite” quel giorno “aveva un atteggiamento molto violento, aggressivo”. In quell’occasione, “registrai un dato inequivocabile: i colleghi Pepe e Marra cambiarono idea senza una ragione comprensibile”. Quando uscì la notizia che Davigo era indagato, Ardita parlò con i due colleghi “per una questione di responsabilità verso il gruppo”, perché “il problema vero era il condizionamento del Consiglio superiore della magistratura. Il resto conta poco”.


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Gli ex consiglieri del Csm, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra © Imagoeconomica


Terra bruciata
Nel corso di questo processo è emerso che Davigo, una volta ricevuti da Storari i verbali contenenti le dichiarazioni dell’avvocato Amara, ha informato il comitato di presidenza del Csm (e non solo). Vale a dire l’allora Vicepresidente del Csm David Ermini (il quale informò a sua volta il Capo dello Stato, Sergio Mattarella), il primo presidente della Corte di Cassazione ed il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Con la circolazione dei verbali di Amara all’interno del Csm, si venne a creare una situazione “paradossale”. “Ero isolato - ha detto Ardita in risposta al Presidente Spanò -. Poi ad un certo punto Davigo aveva adottato un atteggiamento verso di me incomprensibile, anche provocatorio: mi sbatteva la porta in faccia, mi guardava in cagnesco, mi sembrava l’atteggiamento di debolezza di uno che ha fatto qualcosa. Ovviamente non ho replicato a questi atteggiamenti”. Alcuni consiglieri, inoltre, per esempio Cavanna”, hanno invitato Ardita a dare una sua spiegazione circa la frizione con Davigo. “Cavanna mi disse: ‘Davigo ha dato la sua motivazione, dà la tua’. Anche altri mi hanno fatto intendere che Davigo parlava male di me alle spalle. E io non lo sapevo”, ha detto il magistrato.
L’ex consigliere Ardita, successivamente, ritornando sulla riunione di febbraio, ha voluto precisare alla Corte che quella di Davigo non fu una “sfuriata”, ma “una chiara minaccia”. “A me è stato detto: ‘Se non voti Prestipino sei fuori dal gruppo e stai con quelli dello Champagne’. L’ipotesi che si sia potuto determinare un cambiamento di orientamento di due consiglieri e quindi di maggioranza, rispetto a questa realtà se si fossero conosciute le dichiarazioni di Amara prima del voto per il Procuratore di Roma, significherebbe che sulle dichiarazioni di Amara è stato fatto il Procuratore di Roma, che non è un fatto indifferente da un punto di vista del turbamento istituzionale che c’è stato”.
Quanto ai colleghi che conoscevano il contenuto dei verbali, il magistrato ha detto di non essersi offeso per il comportamento degli altri consiglieri. “Non pretendevo che mi dicessero qualcosa - ha spiegato -. Ma non ho gradito che circolassero calunnie, perché queste hanno una dignità, bensì pattumiera. Cose che era evidente avessero il fondamento del nulla. Questo ho ritenuto che fosse grave: che dentro il Csm si utilizzassero questi strumenti per mettere in cattiva luce un Consigliere e in qualche maniera modificarne l’operato”.


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Plenum del Csm © Imagoeconomica


Davigo non poteva non sapere che i verbali contenevano falsità su Ardita
In merito alla possibilità che Davigo non si sia potuto accorgere che le dichiarazioni di Amara su Ardita erano false, quest’ultimo ha voluto fare una premessa alla Corte. “In 3 anni diversi - 2017, 2018, 2019 - e in tre funzioni diverse - aggiunto a Messina, poi a Catania e infine consigliere togato al Csm, ho operato in direzione o di incriminazione o dell'arresto dell'avvocato Amara - ha detto -. Quei verbali contenevano affermazioni sgangherate in cui non corrispondeva nulla. C’erano errori sui miei dati di carriera. Ero indicato come facente parte di un gruppo conviviale, di una cena, come sostituto procuratore a Catania nel 2006 quando io al tempo ero il direttore dell’Ufficio Detenuti (al Dap, ndr) ed ero un diretto dipendente del capodipartimento Giovanni Tinebra.

Ardita non sarebbe mai venuto a conoscenza del contenuto dei verbali
In questo processo si è a lungo discusso sui modi in cui sono circolati i verbali di Amara dentro e fuori al Csm. Ardita, tra le cariche all’interno di Palazzo dei Marescialli, è stato anche il presidente della 1° Commissione. A chi sostiene che in virtù di quel ruolo avrebbe potuto apprendere del contenuto delle dichiarazioni di Amara il magistrato ha risposto in maniera categorica: “I verbali non potevano essere veicolati perché gli atti giudiziari coperti da segreto non vengono mai a conoscenza del Csm - ha specificato Ardita -. Il Csm viene a conoscenza dei nominativi delle persone iscritte, quando vengono iscritte. E in quel momento non c’era nessun iscritto. Molte volte se ne viene a conoscenza alla fine delle indagini. Quando si fanno le indagini più delicate, per esempio, vengono comunicati quando non c’è più il pericolo della Discovery”. Il magistrato ha spiegato che se fosse arrivato un plico con dei verbali riservati il comitato presidenza “l’avrebbe richiuso e rimandato indietro”. “È impensabile - ha aggiunto - che si possa inviare un plico contenente atti riservati di indagini in corso. Non è mai successo nella mia esperienza e penso che non sia mai successo nel Csm. Il Consiglio non è un organo che sovrintende alle investigazioni, bensì interviene se ci sono problemi amministrativi concreti. Quindi sul mio tavolo non sarebbe potuto arrivare mai questo plico. Invito chi sostiene il contrario a raccontare un episodio in cui un fascicolo coperto da segreto è stato mandato da un ufficio giudiziario alla 1° Commissione. Non mi è mai successo in due anni”.

Foto di copertina © ACFB

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