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Imagoeconomica 1126370di Aaron Pettinari - Video/Foto
Salvatore Borsellino: “Sia fatta una Commissione sulle stragi”

Ci vuole coraggio per guardare dentro se stessi, scavare fino ad arrivare in quegli angoli più profondi e bui del proprio essere, ripercorrere il proprio passato, analizzarlo con spirito critico, senza pregiudizi. Un percorso difficile per ogni singolo uomo che diventa una montagna immensa se il “soggetto” che deve guardarsi allo specchio sono quegli organi istituzionali che rappresentano lo Stato. Ieri, nella sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio a Roma una parte di Stato ha voluto fare questo passo, ospitando la presentazione del libro “La Repubblica delle stragi – 1978-1994, il patto di sangue tra Stato, mafia, P2 ed eversione nera” (ed. Paper First) ascoltando le parole di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e curatore del libro, di Marco Lillo, vicedirettore de “Il Fatto Quotidiano” e degli autori, Antonella Beccaria, Federica Fabbretti, Giuseppe Lo Bianco, Stefano Mormile, Fabio Repici, Giovanni Spinosa.
Un evento, fortemente voluto dalla Presidente della Commissione Giustizia Camera, Giulia Sarti, con il pieno appoggio del Presidente della Camera, Roberto Fico, a cui hanno partecipato figure come il Procuratore Capo della Procura nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, o il membro togato del Csm Piergiorgio Morosini.
E' stato il Presidente della Camera ad introdurre l'evento con parole d'impegno per una ricerca della verità che non può e non deve mancare in ambito istituzionale: “Non saremo mai un Paese libero se non ci libereremo definitivamente dalle mafie, se non faremo luce sui segreti che hanno afflitto, colpito lo Stato. La sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-mafia è un primo passo rispetto alle vicende pesanti e oscure di quegli anni”. "Non servono solo le parole ma i fatti - ha proseguito la terza carica dello Stato - una lotta vera alla mafia. L'insegnamento di Falcone e Borsellino va valorizzato ogni giorno con la ricerca della verità, per far luce su quegli intrighi. Il Parlamento è un luogo centrale per questi obiettivi, se non li raggiungiamo non saremo mai un Paese libero. Non mi fermerò mai finché non sarà sconfitta la mafia e le commistioni fra Stato e mafia, finche non sarà fatta luce sui lati oscuri e grigi del nostro Paese. Solo allora potremo dirci una democrazia compiuta, prima di allora no".
Come in apertura ha ricordato Giulia Sarti “il libro, scritto da chi incarna lo Stato, magistrati, giornalisti, testimoni, semplici cittadini, mette insieme le tessere del mosaico di stragi e trattative che ha condizionato la storia del Paese”. Effettivamente da Portella della Ginestra ai giorni di oggi sono numerose le vicende che ancora oggi presentano lati oscuri. Certo è che il percorso verso la verità e la giustizia ha visto il sacrificio di tanti uomini e donne e alla memoria di uno di questi, Adolfo Parmaliana, il Presidente della Commissione Giustizia Giulia Sarti ha voluto dedicare l'evento, alla presenza della moglie Cettina. “Tra meno di 20 giorni, il 2 ottobre, saranno passati 10 anni dal giorno in cui quest'uomo si tolse la vita e lasciò una sua ultima lettera. La sua denuncia finale. Questo Paese è in debito con lui e la sua memoria e ritengo ingiustificato il ritardo delle Istituzioni nel conferire alla sua memoria un riconoscimento ufficiale”. Nel suo intervento la Sarti ha poi aggiunto: “Un pensiero va oggi all'indipendenza e all'autonomia della magistratura: la mia solidarietà ai magistrati che continuano a svolgere le loro indagini anche quando toccano esponenti di un certo rilievo; la mia solidarietà in particolare al procuratore di Agrigento Patronaggio. Sono principi fondamentali che nessuno dovrebbe mai mettere in secondo piano".



“Aprite una Commissione stragi”
Primo ad intervenire è stato Salvatore Borsellino che con la solita emozione ha ricordato le parole della madre nel giorno della morte del fratello e quel messaggio di “raccontare in tutta Italia il sogno di Paolo, che altro non era che un sogno d'amore”.
“Sono fortunato - ha poi proseguito il fratello del giudice - quest'anno ci sono state due sentenze inaspettate, sono state fermate delle verità, ed io avrei voluto morire subito dopo: mia madre purtroppo questa verità non ha potuto vederla. La mamma di Ilaria Alpi non ha potuto avere giustizia. Questi due processi rappresentano un punto fermo, una svolta". Quindi ha chiesto l'impegno da parte della politica di fare la sua parte assumendosi le proprie responsabilità. “Mi aspetto che venga istituita una Commissione sulle stragi non solo la Commissione antimafia - ha detto Borsellino -, mi aspetto venga eliminato il segreto di stato, sono sicuro che l'agenda rossa sia negli archivi di qualche servizio. Deve essere fermata la prescrizione dopo il primo grado di processo, questo mi aspetto da questo governo, queste sono veramente cose che riguardano la vita di questo paese, forse allora potrebbe sentirsi il profumo di libertà che Paolo non ha potuto sentire".
Successivamente, uno dopo l'altro, a prendere il microfono coordinati da Marco Lillo sono stati gli autori. Stefano Mormile, fratello di Umberto (l'educatore carcerario ucciso l’11 aprile del 1990) ha partecipato al libro assieme alla sorella Nunzia. Nel presentare i “compagni di viaggio” di questa ricerca della verità sui fatti che vanno dal 1978 al 1994, ha parlato a nome delle tante vittime di mafia che ancora oggi aspettano verità e giustizia: “Noi ci siamo sentiti anche depredati dallo Stato in questi anni. Abbiamo assistito a calunnie, inquinamenti di prove, depistaggi, schizzi di fango che ci hanno fatto sentire a lungo soli. E questo è accaduto anche ad altri familiari di vittime di mafia. Oggi non lo siamo più e in questi anni è iniziato un nuovo percorso”. Nel suo intervento ha anche appoggiato la richiesta di Salvatore Borsellino sull'eliminazione dei Segreti di Stato ma anche per intervenire e disciplinare gli apparati di sicurezza dello Stato.
Federica Fabbretti, che di fatto rappresenta l'impegno della società civile nella ricerca della verità, ha ricordato quanto ogni singola persona può dare in questo percorso: “Il carico non può poggiarsi solo sulle vittime di mafia o su quei soggetti che per professione si caricano sulle spalle l'impegno della ricerca della verità. Serve l'impegno della società civile per coprire quei vuoti che si creano. Dalla trascrizione di una conferenza stampa tenuta nel luglio 1994 da Tinebra e dalla Boccassini, al seguire e documentare quel che avviene in un determinato processo”.


Dalla Uno Bianca alla Falange armata
Ad entrare nel vivo degli argomenti trattati nel libro è per primo Giovanni Spinosa, Presidente del Tribunale di Ancona che in passato si è occupato delle indagini a Bologna sulla 'banda della Uno Bianca'. In particolare ha evidenziato l'evoluzione che, in un dato momento, ha visto anche il coinvolgimento della Banda in episodi poi rivendicati dalla cosiddetta “Falange Armata”. “La nostra storia è un racconto di commistioni in cui sono presenti soggetti che hanno indubbiamente avuto come finalità la destabilizzazione del Paese. Ci sono eventi che vanno collocati all'interno di un contesto internazionale e se fino alla fine degli anni Settanta vi erano state stragi e delitti inseriti nel contesto della difesa del cosiddetto 'Atlantismo', da quel momento in poi in Italia le bombe proseguono seguendo un altro piano con una strategia più ambiziosa. Non destabilizzare per destabilizzare ma destabilizzare per conquistare un potere in maniera sotterranea e per occupare le istituzioni con uomini di fiducia”. In questo contesto vanno rilette le stragi di Bologna, del Rapido 904, e le stragi del 1992-1993. “Questa pulsione per l'occupazione del potere diventa progetto a partire dall'11 aprile 1990 con il primo omicidio rivendicato dalla Falange Armata, sigla che si intreccia con stragi e delitti. Tra questi fatti rientrano anche alcuni episodi della Uno Bianca, non quelli delle rapine, che rappresentano la prima fase, ma quelli delle stragi ai carabinieri e quella al campo nomadi. E per rendersi conto della differenza basta rileggere i comunicati di rivendicazione”. Quindi Spinosa ha ribadito l'importanza, per un Paese, di conoscere la propria storia che poi è uno degli obiettivi che il libro si propone, offrire un contributo di conoscenza e di riflessione.



Eversione nera e P2
Alla giornalista Antonella Beccaria è toccato il compito di evidenziare le relazioni tra soggetti appartenenti all'eversione nera ed alla loggia massonica P2. Rileggendo anche le motivazioni della sentenza del 2015 emessa dalla Corte d'assise d'appello di Milano su Piazza della Loggia, ha ricordato come dietro a certi episodi vi siano forze “individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza della Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della Destra estrema e hanno sviato poi, l’intervento della Magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità”. In quella sentenza venivano condannati all'ergastolo Maggi e Tramone ma vi sono anche “altri, parimenti responsabili, che hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe”. Ed è proprio questo che rende più complicata la ricerca della verità che, tuttavia non deve arrestarsi. Dopo aver accennato i ruoli di figure come Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie, e ancora ricordando le interconnessioni tra piduisti, uomini di estrema destra e le criminalità organizzate, ha ribadito l'importanza che si crei un centro di raccolta digitale di tutti gli atti giudiziari, oltre alla completa disponibilità degli archivi di Stato. Una richiesta che più volte il Presidente dei familiari vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi (ieri presente) ha ribadito in questi anni.
Ugualmente Peppino Lo Bianco, che di certi temi si è occupato come giornalista a Palermo, ha sottolineato il collegamento tra certi segmenti di potere. In particolare si è concentrato sul contesto affrontato dal processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. E diversi sono gli spunti emersi nel corso di quel processo anche su fatti come “i vari tentativi di golpe, le stragi dei primi anni Settanta, il sequestro di Moro, la stagione dello stragismo brigatista, la Loggia massonica deviata della P2, il ruolo di Gelli, il sequestro Cirillo, le stragi di mafia, la strage di viale Lazio, la sequela di omicidi senza pari nel mondo che ha visto uomini delle Istituzioni uccisi in Sicilia, gli interventi di strutture occulte di natura massonica o para massonica e di esponenti infedeli dei servizi segreti. Tutto questo c'è nella storia della Repubblica. In questo contesto la trattativa avviata nel giugno 1992 è stata solo un ulteriore, gravissimo momento di interlocuzione concluso nel gennaio 1994 quando fallisce l'attentato all'Olimpico”. Lo Bianco ha anche mosso un rilievo a chi ha criticato ed osteggiato il processo della Trattativa, anche con ipotesi di liceità della stessa. “Se la trattativa è lecita - ha detto Lo Bianco - allora è lecito tutto quello che c'è dentro. Sia i singoli atti compiuti da funzionari dello Stato per realizzare il colloquio a distanza, sia i loro effetti, compresa la macelleria di uomini e donne che tra il '92 e '93 hanno pagato il prezzo del dialogo tra mafia e Stato. E questo per me è inaccettabile”.
Infine è stata la volta dell'avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino e di tanti familiari di vittime di mafia che in questi anni ha compiuto tante battaglie per la ricerca della verità. “In questo rapporto di sinergia tra diverse entità credo che un collante tra i diversi mondi, che andava oltre la mafia e l'attività politica dei bombaroli, sia stato condotto da certi apparati deviati”. Secondo Repici non è un caso se dietro a molte attività, mafiose e non solo, vi sia un mandamento come quello di Resuttana che in Nino Madonia ha il suo leader, investito dallo stesso Totò Riina come colui che doveva tenere le relazioni con gli apparati dei Servizi segreti e della Polizia di Stato.
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“È nel territorio del mandamento di Resuttana che si trovano i luoghi che fonti ormai sovrabbondanti indicano come le sedi delle relazioni diplomatiche fra Cosa Nostra e apparati deviati: il Fondo Pipitone dei Galatolo; il Castello Utveggio. Ed è nel territorio di Resuttana il borgo marinaro dell’Addaura, laddove venne posto in essere l’attentato a Giovanni Falcone programmato per il 20 giugno 1989. Su quel delitto sono stati condannati i vertici di Cosa Nostra e numerosi mafiosi del mandamento di Resuttana e di quello confinante e alleato di San Lorenzo. Prima di qualunque pentito, fu però Giovanni Falcone, poche settimane dopo l’attentato, in una sconvolgente intervista, a dire che l’azione di quei mafiosi era stata orientata da centri occulti di potere e da menti raffinatissime. E, del resto, a leggere la sentenza della Corte di cassazione sulla strage all’Addaura (del 6 maggio 2004) si trova l’attestazione che a corroborare la campagna contro Falcone furono anche le dichiarazioni, perfino in sede giudiziaria, circa l’attentato falso o addirittura simulato, formulate da alti esponenti istituzionali come Domenico Sica, Francesco Misiani e Mario Mori.
Ovviamente Repici ha anche parlato del delitto di Antonino Agostino, il poliziotto ucciso assieme a sua moglie Ida nell'agosto 1989 e dei depistaggi che hanno caratterizzato il delitto: “La complicità operativa di apparati deviati e Cosa Nostra nel duplice omicidio Agostino-Castelluccio, del resto, come successe anche alcuni anni dopo per la strage di via d’Amelio, fu certificata dagli immediati depistaggi che vennero commessi dalle strutture investigative, anche queste ormai accertate, con una perquisizione nell’abitazione del poliziotto Agostino nel corso della quale un ispettore di polizia, Guido Paolilli, fiduciariamente legato a Bruno Contrada, fece sparire preziosi appunti del poliziotto appena assassinato, o con un’informativa del solito Arnaldo La Barbera che due settimane dopo il delitto ne accreditava una sconclusionata pista passionale”. Repici ha poi evidenziato come le conclusioni del libro sulla strage di via d'Amelio siano armoniche con le motivazioni della sentenza Borsellino quater: “A commettere la strage di via d’Amelio è stata Cosa Nostra con il concorso di soggetti a essa estranei, dei quali è plastica espressione quello che nel libro chiamiamo l’uomo nero', indicato dal pentito Gaspare Spatuzza come l’uomo, forse del Sisde o forse della Polizia o forse di entrambi gli apparati ma comunque appartenente ad apparati di intelligence o investigativi, presente la sera del 18 luglio alla predisposizione della Fiat 126 che servì da autobomba. Inoltre il depistaggio, fra i più scandalosi della storia della Repubblica, eseguito operativamente - ancora una volta - da Arnaldo La Barbera e dai suoi uomini ma orchestrato certamente a livelli superiori, è stato compiuto per occultare il ruolo dei concorrenti esterni a Cosa Nostra”. A conclusione della presentazione un contributo alla ricerca della verità sulle stragi è stato offerto dalla proiezione del documentario “Nuove ipotesi sul furto dell’agenda rossa di Paolo Borsellino”, già mostrato in via d'Amelio lo scorso 19 luglio, curato da Angelo Garavaglia Frangetta. Un'opera investigativa che pone nuove domande sulla scomparsa di quell'agenda, frutto di un lungo lavoro di raccolta e analisi dei video del giorno dell'attentato e che si prefigge lo scopo di mettere nuove piste a disposizione degli investigatori.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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