di Lorenzo Baldo
E' un fermo immagine. Sono poche frasi che appaiono sullo schermo nella parte finale del documentario di Al-jazeera “A very sicilian justice”. Le parole sono chiare: “I produttori del film hanno chiesto al Presidente della Repubblica Mattarella e al Primo Ministro Renzi un commento sui rischi del dott. Di Matteo”. Subito dopo appare un'altra scritta: “Un portavoce del Presidente della Repubblica ha dichiarato che Mattarella sostiene i giudici che combattono le organizzazioni criminali 'includendo, ovviamente, anche il dott. Di Matteo'”. La terza scritta è ancora più sintetica: “Il Primo Ministro Renzi non ha voluto rilasciare alcun commento”. Era il 7 luglio di quest'anno quando l'emittente televisiva Al-Jazeera trasmetteva per un'intera settimana, in diverse fasce orarie, il documentario di Paul Sapin e Toby Follett incentrato su quella “giustizia molto siciliana” che ruota attorno al processo sulla trattativa Stato-mafia e al pm Nino Di Matteo. Quest'ultimo appariva più volte nel film testimoniando le immani difficoltà nel portare avanti un processo così spinoso dopo aver ricevuto la condanna a morte da parte di Totò Riina. “Io sto andando avanti – spiegava Di Matteo ai produttori inglesi –, non so se è la cosa giusta o no, non so se è la cosa che farò per sempre o no, abbiamo messo nel conto fin dall'inizio che la strada sarebbe stata comunque una strada in salita, una strada costellata di insidie, di tranelli, di trappole, di momenti di difficoltà. Ritengo che nelle storie che stiamo cercando di sviscerare c'è la vera ragione delle stragi che hanno fatto piangere tutti gli italiani perbene. Se non si chiariscono definitivamente certe pagine, noi passi in avanti ne faremo pochi e rischiamo anche di portarci come un germe infetto, condizione del presente che potrebbe condizionare il futuro, quello che è successo in passato”. Parole inequivocabili che, però, non avevano smosso minimamente Mattarella e Renzi una volta che il film era stato mandato in onda. Nessuna solidarietà. Nessuna presa di posizione effettiva per sostenerlo nel suo lavoro. Richieste di avanzamento di carriera di Di Matteo? Bocciate o ignorate. Csm sensibile alle sue condizioni di vita al punto di accogliere le sue richieste dal punto di vista professionale? Tutt'altro. Anm compatta attorno a lui? Esattamente il contrario (salvo rarissime eccezioni). E soprattutto: silenzio. Istituzionale in primis. Il 9 marzo dello scorso anno la fotografa palermitana Letizia Battaglia aveva scritto una lettera aperta a Sergio Mattarella in risposta agli auguri per il suo compleanno giunti dal Quirinale. “Caro Presidente – aveva scritto Letizia –, i Suoi auguri sono stati il regalo più prezioso che ho ricevuto per i miei 80 anni e di questo La ringrazio infinitamente. Oggi, però, Le scrivo per una ragione importante che riguarda il pm di Palermo Nino Di Matteo. Mercoledì prossimo il Csm discuterà definitivamente sulle nomine dei 3 nuovi consiglieri da designare alla Dna dopo che in un primo passaggio la domanda di Di Matteo è stata bocciata. Mi rivolgo a Lei, Presidente, per la sofferenza che ha patito dopo aver perso tragicamente un fratello sotto il piombo mafioso. Quella scena in via Libertà è scritta in maniera indelebile nella mia memoria. Per una stranissima coincidenza del destino quel giorno sono stata testimone, insieme al mio compagno di allora, di quel dramma. So di rivolgermi a chi ha provato un dolore indicibile. Ed è per questo che mi appello a Lei affinché quella sofferenza non debba più ripetersi. Da Presidente del Csm Lei ha pieno titolo per vigilare sulle decisioni che verranno prese in materia di nuove designazioni alla Dna. Mi appello alla Sua persona affinché la bocciatura sulla candidatura di Nino Di Matteo possa essere rivista. Si tratta di dare un segnale forte da parte dello Stato per salvare la vita a questo magistrato condannato a morte da Totò Riina. Come Lei sa meglio di me la Sicilia è una terra che vive di segnali e mai come in questo momento è importante non isolare il pm Di Matteo. La prego, Presidente, ascolti questo appello che raccoglie i timori e le preoccupazioni di tanta gente onesta di questo Paese. Un Suo gesto, una Sua parola possono realmente contribuire a cambiare il corso della storia. I miei occhi hanno visto troppi morti ammazzati, troppe stragi, troppi funerali. Non voglio pensare che tutto questo possa ancora ripetersi perché significherebbe che abbiamo perduto, e che anche noi siamo stati complici. Non voglio altri eroi morti, voglio che Nino Di Matteo possa continuare il suo lavoro da vivo e che anche lui possa vedere rinascere questa terra martoriata”. All'appello di Letizia Battaglia si era unito Salvatore Borsellino. “Con altrettanto rispetto – aveva scritto il fratello di Paolo Borsellino – e vorrei dire con eguale speranza, anche se questa ormai è una parola che mi riesce difficile pronunciare, mi associo all'appello di Letizia Battaglia nella speranza che Lei voglia fare il possibile per accoglierlo”. Quelle parole accorate, però, erano cadute nel vuoto, nel silenzio assordante dei palazzi romani. Un silenzio – che ricorda lo stesso isolamento vissuto dai troppi martiri del nostro Paese – gravido di responsabilità per tutto quello che non è stato fatto. Se si possa ancora porre rimedio a questo scempio degno di uno Stato-mafia sarà il tempo a dirlo, saranno gli storici a scriverlo negli anni a venire. Ma il momento di agire è adesso. Prima che i tanti sepolcri imbiancati delle nostre istituzioni si preparino a versare lacrime di coccodrillo. Al premier Renzi, indaffarato a mentire spudoratamente sul Referendum (e non solo), c'è poco da chiedere. Il suo epilogo nel cestino della storia non è poi così lontano. Per Mattarella, invece, questa è l'ultima chiamata: dia un segno della sua presenza, faccia in modo che qualsiasi sia la soluzione da trovare nei confronti di Nino Di Matteo appaia come un segnale di forza da parte dello Stato e non di fuga o debolezza.
Foto © Ansa
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