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Il giurista: “L’ordinamento penitenziario italiano è certamente da ripensare, ma s’illude chi pensa di poter fare a meno della detenzione in carcere”

Professor Musacchio cosa ne pensa delle varie proposte di abolire il carcere?
Se mi si parlasse di abolire il carcere nella situazione in cui è oggi, sarei d’accordo. Nel caso s’intendesse abolizione del carcere come ripensamento della funzione della pena e della restrizione della libertà personale per determinati reati, il discorso diventerebbe molto più complesso e articolato. La pena non può non essere proporzionata alla gravità del delitto, non può essere mai vendetta contro il reo, ma non può neanche essere totalmente svuotata della sua essenza. L’afflittività è un elemento essenziale della pena che trova il suo limite quando viola la dignità della persona umana.

Da dove occorrerà partire dunque per una vera riforma del sistema carcerario italiano?
In primis credo si debba fare una fotografia evidenziando soprattutto le realtà non conformi alla nostra Costituzione. In questa circostanza i numeri sono decisivi per comprendere la situazione attuale. Le più recenti statistiche rese pubbliche dal Ministero della Giustizia ci confermano che il sovraffollamento in carcere è pari al 113%. I detenuti maggiorenni incarcerati in Italia, al 31 dicembre 2021, sono 54.134, distribuiti in 192 istituti, di cui 2.237 donne (il 4,1%). Del totale dei carcerati maggiorenni, 17.043 sono stranieri, circa il 31,5% e circa 16.000 sono in attesa di giudizio (29,5%) mentre 19.000 sarebbero i detenuti che devono scontare meno di tre anni. Una situazione simile non è più tollerabile.

Cosa ne pensa della reclusione applicata ai tossicodipendenti?
I dati ufficiali forniti dal Ministero della Giustizia ci dicono che un quarto dei detenuti è tossicodipendente. Da studioso ho sempre pensato che affinché la detenzione attuata nei confronti di un tossicodipendente possa avere una sola possibilità di riuscita occorra applicare quelle misure alternative alla detenzione finalizzate alla disintossicazione. Sono l’unico strumento idoneo al possibile reinserimento sociale di tali soggetti.

Esiste anche un problema suicidi in carcere, come affrontare questo problema in costante aumento?
Premetto di non essere un esperto della materia, ma credo che la riduzione del numero dei suicidi passi per la qualità di vita interna al carcere, per la condizione psicologica del soggetto, per l’isolamento e per la restrizione dei legami affettivi all’esterno. Il togliersi la vita spesso passa per situazioni traumatiche intollerabili come un abuso sessuale, una mancanza di psico-farmaci necessari, disperazione per il processo in corso o per la eventuale condanna. Le motivazioni possono essere davvero tante, ciò tuttavia non ci esime dall’impegnarci a individuarne le cause in primis per dare dignità a questi esseri umani sempre più spesso lasciati soli al loro inesorabile destino.

In una situazione critica come questa appena tracciata i costi dell’ordinamento carcerario restano esorbitanti, come se lo spiega?
È tutto concatenato. Emerge in tutta la sua evidenza, lo squilibrio tra il personale di custodia e quello dell’area trattamentale preposto alla reintegrazione sociale delle persone detenute. La detenzione costa allo Stato tre miliardi, di cui il 68% è impiegato per la polizia penitenziaria. Due sono le soluzioni. O si diminuisce drasticamente la popolazione carceraria o si deve assumere nuovo personale civile. Tertium non datur.

In conclusione, il sistema carcerario attuale dunque va ripensato?
La riforma carceraria ha un senso se serve a costruire un sistema penale più equo e giusto. Nei nostri istituti di pena spesso è recluso chi potrebbe star fuori e purtroppo sta fuori chi invece dovrebbe esser recluso. Nei miei studi e nelle mie ricerche ho sempre sostenuto con forze che occorre intervenire principalmente sulle cause sociali della devianza. Il carcere non può essere la soluzione alla mancanza di politiche sociali ed economiche da parte dello Stato. Dobbiamo avere il coraggio di dire che principalmente nelle nostre galere non ci sono corruttori, mafiosi, stupratori e assassini. La metà dei detenuti in carcere sono responsabili di reati contro il patrimonio. Se rubo una bottiglia di vino in un supermercato rischio la detenzione. Ci sono invece persone che provocano molti più danni alla società, dal punto di vista politico ed economico, ma in carcere non ci stanno. Il dettato costituzionale e il moderno diritto penale sono gli strumenti con cui operare. Dobbiamo però cominciare a riflettere seriamente e concretamente sul futuro del nostro sistema carcerario. Su questo tema purtroppo il dibattito è ancora fermo alla sola teoria.

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista e associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni ’80.

Tratto da: poliziapenitenziaria.it

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