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caselli-gian-carlo-web10di Gian Carlo Caselli - 22 agosto 2013
L’obiettivo è la “scomparsa del reato commesso da Berlusconi e sanzionato da tre gradi di giudizio”. Per conseguirlo si sta praticando un “sovvertimento della realtà”, un “rovesciamento clamoroso del senso” (Ezio Mauro su Repubblica ). Muove nella stessa direzione anche la campagna di attacchi ossessivi contro Magistratura democratica. Nel senso che quando una decisione non piace – come nel caso del giorno – si prescinde totalmente dal punto essenziale se essa sia giusta o meno: si cerca invece di svalutarla nel merito tirando in ballo – a vanvera – le “toghe rosse”, accusandole di malefatte assortite che si possono sintetizzare nella colpa di esistere e di essere indipendenti.  

In realtà, parlare del colore della toga è una furbata. Perché le vicende giudiziarie degli ultimi vent’anni sono lì a dimostrare che le contestazioni del Cavaliere riguardano l’intero ordine giudiziario, e perciò uno spettro assai ampio nel quale sfuma e diventa impercettibile l’eventuale diverso colore delle toghe (quale che sia, perché se vogliamo ci sono anche le toghe “azzurre”...). All’inizio della storia, è vero, a essere oggetto di attacchi apodittici erano solo alcuni procuratori. Ma poi, man mano che i processi si sviluppavano, sono finiti nel mirino anche i magistrati giudicanti tutte le volte che hanno deluso certe aspettative.
C'è stato persino un attacco – personalmente condotto da Berlusconi a reti Tv unificate – contro le Sezioni unite della Cassazione, massimo organo della giustizia ordinaria, “colpevole” di non aver applicato la “legge Cirami” come si sarebbe voluto (un “assaggio” dell’odierna offensiva contro la Sezione feriale della Cassazione?). Anche l’empireo della Corte costituzionale è finito sotto i colpi delle contestazioni basate sulla pretesa “politicizzazione” dei magistrati. È evidente perciò (e non da oggi: ebbi a scriverlo già dieci anni fa in una lettera aperta all’allora premier Berlusconi) che il problema non è costituito da singole toghe, sfumature cromatiche incluse. L’attacco è a geometria variabile, nel senso che può subìrlo qualunque magistrato ministero o giudice, quale che sia la città o l’ufficio in cui opera – che abbia la “sfortuna” di imbattersi in vicende “scomode”. In sostanza, giustizia giusta sembra essere – per il Cavaliere – solo quella che gli conviene, come prova il disinvolto passaggio dal bastone alla carota (“c’è un giudice a Roma o Milano”, non solo a Berlino, e via incensando...) quando le pronunce gli risultino favorevoli. Ma ragionando in questo modo si rischia di sovvertire le regole fondamentali del nostro ordinamento. E non è cosa bella.   
Nella logica berlusconiana, poi, “toghe rosse” è sinonimo di Magistratura democratica, gruppo di magistrati eletto a paradigma di un sistema giudiziario malato in quanto “politicizzato”. In verità fino agli anni Sessanta (non qualche era geologica fa!) la magistratura – secondo la definizione di Luigi Ferrajoli – costituiva “un corpo burocratico chiuso, cementato da una rigida ideologia di ceto”, collocato in tutto e per tutto “nell’orbita del potere”. Mai vista, onestamente, una magistratura più “politicizzata” di quella.  
Eppure i giudici erano tutti bravi e belli, perché non davano fastidio al “potere”. Ma quando hanno cominciato ad assumere un ruolo di attenzione agli interessi di tutte le componenti sociali (anche quelle prima penalizzate), quando hanno dato segni di indipendenza rispetto al blocco dominante, pretendendo di esercitare il controllo di legalità anche verso obiettivi “forti” prima mai neppure sfiorati, ecco scattare le accuse di politicizzazione delle quali il “nuovo” potente Berlusconi è indiscusso campione e primatista. Mentre si può star certi che nessuno protesta o leva accuse verso i giudici che si tirano indietro. In questa benefica modernizzazione della magistratura (che poi non è altro che adeguamento dell’intervento giudiziario al principio costituzionale della legge uguale per tutti) un ruolo formidabile l’ha storicamente svolto proprio Md. Che pur coi suoi limiti (chi non ne ha?) ha avuto il merito straordinario di introdurre, nel corpo fin lì monolitico e conformista della magistratura, elementi di rottura che l’hanno resa capace di cose che prima non si aveva voglia o coraggio di fare. Fino a spingersi – scandalo! – nel pianeta inesplorato dei reati del potere. Le letture caricaturali della storia di Md, avanzate spregiudicatamente per propaganda personale o di cordata, possono anche – come i ritornelli pubblicitari ripetuti fino alla noia – entrare in qualche testa, magari in tante: ma non per questo sono meno grottesche.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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