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"Carlo Palermo il 2 aprile 1985 si trovava a Pizzolungo, mentre il sole splendeva alto e caldo, a bordo della auto blindata della polizia che doveva condurlo in Procura a Trapani. L’auto con a bordo il magistrato sta per superare una VW Scirocco sulla quale si trova Barbara Rizzo, di trent’anni, che sta portando a scuola i figli gemelli Salvatore e Giuseppe, di sei anni. Proprio al momento del sorpasso, una bomba collocata su una autovettura parcheggiata provoca una terribile esplosione ed investe la VW Scirocco che, involontariamente, fa da scudo". L’ha ricordata così, il magistrato catanese e oggi Consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, la strage di Pizzolungo di cui qualche giorno fa si è celebrato il 36° anniversario. "La bomba era destinata a Carlo Palermo ma uccide, per un puro disgraziato caso, altre tre persone innocenti", scrive su Facebook Ardita. "Una grande macchia rossa stampata sulla facciata di una palazzina a circa duecento metri dall’esplosione è quel che resta dei due gemelli. Carlo Palermo è l’unico magistrato sopravvissuto al tritolo di Totò Riina, il simbolo vivente di una stagione fatta di uomini le cui azioni non è possibile replicare". "Ascolto le sue parole che mettono i brividi, quando ricorda il convegno di Sorrento: ‘C’eravamo tutti, Ciaccio Montalto, Falcone, Borsellino e Terranova... adesso sono rimasto solo io…'". "Tutto - dice Ardita - è collegato a quelle maledette indagini che aveva iniziato a Trento e voleva continuare a Trapani sui traffici di armi e droga che avvenivano con la copertura del sistema bancario: un intrigo internazionale tra terrorismo islamico, politica, mafia, affari e massoneria. Sembra fantascienza, ma dietro c’è l’intuito di un uomo per fermare il quale cosa nostra ha fatto brillare l’esplosivo di Pizzolungo. Sembra fantascienza, ma è il racconto di Carlo Palermo, il racconto dell’ultimo simbolo rimasto, che Dio ha voluto scampasse alla morte per rendere testimonianza di un mondo che non c’è più". Anche Paolo Borrometi, vicedirettore dell’agenzia stampa AGI, ha voluto ricordare la tragedia. "Il 2 aprile è ogni volta un pugno allo stomaco. Ricordare che le mafie non hanno nessun onore e uccidono donne e bambini. Ricordare loro, Barbara Rizzo e i due gemellini, Salvatore e Giuseppe Asta. Salvatore e Giuseppe avevano solamente 6 anni e Barbara, la loro mamma, ne aveva soltanto 30 quando, la mattina del 2 aprile del 1985 - 36 anni fa - saltarono in aria in un attentato di mafia. Un’autobomba era stata preparata dalla mafia per il giudice Carlo Palermo e, quando venne fatta esplodere dai mafiosi, a saltare in aria fu l’auto di Barbara che stava portando a scuola i suoi due gemelli. Il corpo squarciato della donna venne catapultato fuori dall'auto, mentre sul muro di una palazzina a duecento metri di distanza una grossa macchia mostra dove è finito un corpicino irriconoscibile dei due bimbi. Margherita Asta, l’altra figlia di Barbara, è un esempio nel suo impegno quotidiano. A Lei, che da quel giorno chiede incessantemente Giustizia, il nostro grazie. Ogni giorno", scrive su Facebook il giornalista.

In foto: Paolo Borrometi e Sebastiano Ardita © Imagoeconomica

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