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Dopo il confronto organizzato da La Repubblica tra alcuni giovani studenti e studentesse dell’università e dei licei, e il professore Costantino Visconti, docente di diritto penale all'università di Palermo che aveva auspicato bavagli e censure contro lo storico giornalista Saverio Lodato e il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, affinché non venissero più invitati nelle scuole, ieri l'edizione locale di Palermo è tornata a dare voce ai giovani.
Nell'intervista di Alessia Candito a Jamil El Sadi emerge come oggi vi sia una differenza netta tra le posizioni espresse durante il confronto.
"Per noi non basta dire 'siamo tutti antimafia'. C’è modo e modo di esserlo. Anche noi crediamo che il sistema mafioso oggi non sia quello delle stragi, ma se si nega che ci sia ancora una parte di Stato collusa con la mafia, non siamo d’accordo. Magari siamo tutti antimafia, ma non dalla stessa parte".
Rispondendo alle domande della giornalista El Sadi ha evidenziato non solo l'importanza del cambiamento culturale, ma soprattutto il ruolo di uno Stato che dovrebbe essere più presente nel territorio, anche promuovendo "strumenti e leggi in grado di affrontare un fenomeno complesso come la criminalità di stampo mafioso oggi".
Purtroppo però la lotta alla mafia non è ai primi posti dell'agenda politica di governi e partiti. "Il governo attuale, in continuità con i precedenti, sta portando avanti solo politiche repressive sui territori, mentre oggi la lotta alla mafia deve partire da riforme di inclusione sociale, dalla garanzia di servizi, di una sanità pubblica, di diritti sociali che permettano di sottrarsi a dinamiche clientelari".
Secondo El Sadi un primo punto importante è quello di porsi e porre domande scomode sui troppi misteri che segnano il nostro Paese come "l’agenda rossa di Borsellino, i floppy disk di Falcone, il mancato attentato all’Addaura, la strage di Ustica, quella di Bologna". Una storia che purtroppo, ha evidenziato, "non esiste neanche nei programmi scolastici" quando invece sarebbe importante chiarirla "per comprendere le collusioni e le coperture politiche e istituzionali che ci sono state. Se un politico ha avuto rapporti con un’organizzazione criminale o l’ha finanziata, il cittadino deve saperlo, in maniera da poter agire in maniera consapevole e auspicabilmente votare di conseguenza".
Alla domanda se l'ex Presidente della Regione Totò Cuffaro, già condannato per fatti di mafia (pena scontata) possa tornare a fare politica, la risposta del giovane studente è stata netta: "La legge glielo consente, mi sembra aberrante che possa accadere. Una persona condannata per reati di mafia può fare quello che vuole, ma non tornare a gestire la cosa pubblica, cioè la vita di tutti noi. Ritengo incomprensibile quella parte di borghesia che vede in lui ancora oggi un sistema politico clientelare e classista che garantisce favori e benefici, spesso a discapito di quella parte di società che a stento sopravvive a causa dell’assenza di beni, servizi e diritti basilari. Chi vive in situazioni di ricattabilità sociale, invece, non può essere giudicato”.

Foto © Paolo Bassani

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