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di Giorgio Bongiovanni

Lo scorso 7 luglio in un cantiere al Foro Italico di Palermo si è consumato l’ennesimo atto di stupro da parte di un gruppo di giovani (alcuni minorenni) a danno di una 19enne. Da giorni non si fa che parlare di questa notizia e soprattutto della goliardia e del vanto che ha esibito il gruppo dopo aver consumato lo stupro. Il caso sui social è esploso. Molte persone hanno espresso solidarietà alla giovane ragazza e hanno condannato - chi più chi meno - il gruppo. Ma non tutti. Come abbiamo già scritto, appresa la notizia si è verificata una vera e propria caccia al video della violenza che i giovani avrebbero registrato. Su Telegram in poche ore si sono formati tre gruppi, due pubblici e uno privato, che inizialmente contavano tra 12mila e 14mila iscritti - fino a raggiungere i 30mila iscritti -, ma che adesso si sono dimezzati, con l'unico obiettivo di trovare il video dello stupro. A questo proposito, il Garante della Privacy - con due provvedimenti d’urgenza - ha rivolto un avvertimento a Telegram e agli utenti della piattaforma affinché venga garantita la necessaria riservatezza della vittima, evitando alla stessa un ulteriore pregiudizio connesso alla possibile diffusione di dati idonei a identificarla, anche indirettamente, in contrasto, peraltro, con le esigenze di tutela della dignità della ragazza. L'Autorità ricorda che la diffusione e la condivisione del video costituiscono una violazione della normativa privacy, con conseguenze anche di carattere sanzionatorio, ed evidenzia i risvolti penali della diffusione dei dati personali delle persone vittime di reati sessuali (art. 734 bis del codice penale).


stupro gruppo pa 7

Un frame dei sette ragazzi che conducono la ragazza al luogo dello stupro


Di fronte a tutto ciò, però, non si possono accusare solo quei “maiali-criminali” che ora si trovano indagati (tutti in carcere), ma anche quelle migliaia di persone che si sono iscritte al canale Telegram in attesa di vedere il video dello stupro. Rendendosi così complici anch’esse della violenza consumata.
Quanto affermato dal Garante della Privacy è giusto ma non basta. Il nostro appello è rivolto al Parlamento e, in modo particolare, al Ministro della Giustizia Carlo Nordio che da quando si è insediato il Governo Meloni si sta prodigando ad emanare una riforma in grado di smantellare l’impianto legislativo antimafia vigente. Ecco, al Guardasigilli chiediamo: invece di fare leggi utili solo alle mafie e ai colletti bianchi che con esse fanno affari, perché non promuove un inasprimento delle pene per questi crimini? Per coloro che commettono stupri di gruppo la pena dovrebbe essere aumentata a 30 anni di carcere. Per i pedofili, invece, l’ergastolo così come prestabilito per omicidio volontario premeditato. Di fronte a uno stupro non ci può essere impunità, anche se questo è stato commesso da minorenni. Lo stupro nei confronti di una donna è paragonabile all’assassinio perché - stando alle migliaia di testimonianze di donne che hanno subito violenze di questo tipo - crea nella sua vita un trauma che segna un prima e un dopo, privandole della vita stessa. Quindi tolleranza zero per questi “maiali” vestiti da uomini. E la città di Palermo, come il resto d’Italia, ne è piena. Che la politica ne prenda atto, perché nel Paese si rispecchia la società; la società rispecchia il popolo che a sua volta rispecchia chi governa. Un governo che in tema di diritti e sul fronte del contrasto delle violenze di genere è tutt'altro che in prima linea. Del resto, cosa aspettarsi quando negli scranni del Potere ci sono fascisti?

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