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Dalla vicenda della mancata nomina a ministro del procuratore a quella dell’estromissione dalla DNA del pm “voluta da de Raho”

E’ un fiume in piena Luca Palamara. L’ex presidente dell’ANM, sentito ieri in Commissione Antimafia, ha parlato a lungo di alcune vicende “per far comprendere come funzionava il meccanismo interno della magistratura”. Tra queste vicende Palamara ha riferito in merito all’estromissione di Nino Di Matteo dal pool di magistrati che indagano sulle stragi di mafia della Direzione Nazionale Antimafia guidata da Federico Cafiero de Raho. E proprio sul procuratore nazionale antimafia Palamara ha detto essere stato, in sostanza, l’artefice che autonomamente avrebbe deciso per la sua estromissione. "La scelta e la motivazione - ha spiegato - fu appannaggio esclusivo di de Raho, nessuna interferenza ci fu per quanto mi riguarda”. Questa decisione erronea, sulla quale è poi ritornato lo stesso de Raho revocando solo mesi fa la direttiva, “mise d’accordo - ha raccontato Palamara - tutte le correnti”. Il motivo esatto non è chiaro, ma “a me sembra inequivocabile - ha affermato - che sia emersa una sorta di censura da parte di ampi settori correntizi nei confronti dei magistrati che accreditavano la tesi della trattativa Stato-mafia per spiegare le vicende degli anni '92-'93”.
Sempre riguardo Di Matteo Palamara ha riferito in merito alla triste vicenda della guida del Dap, carica, questa, proposta dall’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che poi cambio improvvisamente idea nell’arco di 24 ore virando su Francesco Basentini. Una vicenda, questa, che aveva scatenato aspre polemiche. Per quanto riguarda la nomina di Basentini secondo l’ex numero uno dell’ANM, “al netto del curriculum che nessuno mette in dubbio Basentini non aveva i requisiti per poter ricoprire quell’incarico”. "Per quei determinati incarichi, come nel caso del Dap che gestisce un'importante mole di informazioni, soprattutto nel caso dei 41-bis - ha spiegato - il profilo del capo è molto importante. Se si sceglie un magistrato, che capisce determinati meccanismi - penso ad esempio a Di Matteo la cui esperienza in tema di mafia era nettamente superiore a Basentini - quella mole di informazioni poteva rafforzare ancora di più il personaggio", in questo caso "Nino Di Matteo all'interno della magistratura". Ma "quando questo avviene il sistema si preoccupa. Si cerca un punto di equilibrio che poteva essere trovato nel nome del dottor Basentini, che, da un lato, formalmente poteva essere ricondotto alla corrente di Unità per la Costituzione e, dall’altra, evitava il rafforzamento di Di Matteo”. Qualcosa di simile si è visto anche nel caso della mancata nomina dell’attuale procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri a Ministro della Giustizia durante il governo Renzi. Anche in quel caso “il sistema” si era mosso in maniera decisa animato da un sentimento di preoccupazione. E anche di questa vicenda ha parlato ieri Palamara a Palazzo San Macuto. "Quando Gratteri è in predicato di diventare ministro della Giustizia - ha ricordato Palamara - anche in quel caso nella magistratura si teme che Gratteri possa diventare ministro della Giustizia". "Anch'io ne parlo con l'allora mio procuratore Pignatone e con diversi colleghi. Fatto sta che il nome di Gratteri venne depennato dall'originaria lista". Insomma, scartato. Questo perché, sia Gratteri che Di Matteo “non fanno parte del meccanismo che rappresenta lo schema dei partiti politici, correnti che non necessariamente si muovono per danneggiare il cittadino, ma sono strumenti attraverso i quali si detiene e si esercita il potere, e con cui si cerca un equilibrio”. 

Foto originali © Imagoeconomica

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